29 ago
Alessandro Gassman è Franco Maironi in Piccolo mondo antico (foto Webphoto).
«Fu un uomo fuori dal comune»,
osserva Alessandro Gassman,
interprete nella fiction televisiva
tratta dal capolavoro dello
scrittore vicentino. «I suoi libri
sono fondamentali per capire
chi eravamo e chi siamo oggi».
Antonio Fogazzaro raccontò di sé stesso
che all’età di tre anni sapeva già
leggere e che fin da bambino «era avido
di libri». E si autodefinì un enfant
prodige. «Io invece non lo sono stato affatto,
anzi ero considerato la pecora nera della famiglia.
Casomai, sono stato figlio di un enfant
prodige: papà Vittorio se lo ricordano ancora
al Liceo Tasso di Roma per le pagelle mostruose,
piene di dieci. Ma, come spesso accade,
ho recuperato dopo, negli anni, e lo sto
ancora facendo». Eccome.
Alessandro Gassman che, comunque,
neanche diciannovenne recitava già sul palco
Affabulazione di Pasolini e di lì a poco
avrebbe lavorato con un mostro sacro come
Luca Ronconi, accetta con ironia il confronto
insostenibile col grande scrittore risorgimentale
veneto. Fogazzaro lo conosce bene, avendo
interpretato nel 2001 il personaggio di
Franco Maironi in Piccolo mondo antico, la
fiction televisiva per la regia di Cinzia Torrini
tratta dal romanzo omonimo.
Antonio Fogazzaro, nato a Vicenza nel 1842 e morto nel 1911.
«Fogazzaro
è stato anzitutto un uomo al di fuori del comune
», afferma l’attore romano. «Dotato di
una straordinaria capacità di scrittura, è stato
un testimone del suo tempo: i suoi libri
sono precise fotografie dell’Italia dell’epoca.
Riprendere in mano i suoi romanzi, quindi,
in un Paese come il nostro che ha la memoria
cortissima e che pare aver smarrito la
strada maestra è operazione importante
per capire chi eravamo
e, quindi, chi siamo oggi. Insomma,
è un grande classico, che ha
contribuito a segnare la storia
culturale del nostro Paese».
Dello scrittore vicentino Famiglia
Cristiana propone, questa settimana, il volume Il Santo,
che chiuderà la collana Biblioteca universale cristiana,
molto apprezzata dai lettori.
Il caso ha voluto che proprio
Gassman nella sua recente
performance teatrale Dio e
Stephen Hawking (tratta dal
testo di Robin Hawdon) abbia affrontato
il delicato rapporto tra fede e scienza, tema
che aveva appassionato anche Fogazzaro, il
quale si creò non pochi nemici in seno alla
Chiesa per le sue aperture alla teoria evoluzionistica
darwiniana.
«D’altra parte, il confronto tra lo scienziato
e l’uomo di fede, in generale, e nello specifico
la questione delle origini dell’universo mi
hanno sempre affascinato», afferma Gassman.
Molti anni fa aveva già affrontato in
Lourdes, una fiction della Rai, anche il rapporto
tra medicina e fede, interpretando il ruolo
di un dottore che si trova davanti alla guarigione
inspiegabile della moglie». «Una esperienza
che avrebbe insinuato nel protagonista
un dubbio radicale e lo avrebbe scosso così
tanto da sconvolgergli la vita», commenta
l’attore, che da due anni è direttore artistico
del Teatro stabile del Veneto. «Credo che queste
siano tematiche fondamentali, che solo
i grandi scrittori o drammaturghi
sanno trattare e che io
amo particolarmente».
Il Santo, uscito nel 1905,
fu un libro che ebbe successo
di pubblico, ma fu messo all’Indice
dalla reazione antimodernista
di Pio X. «Oggi per fortuna
l’Indice dei libri proibiti non esiste
più, ma i libri in Italia si leggono
sempre meno. È un dato
deprimente. Per quanto mi riguarda,
cerco di fare la mia parte:
ho preso l’impegno con me
stesso di leggere almeno un libro
al mese». L’ultimo? «Il volumetto
dell’autore austriaco Thomas Bernhard I miei
premi, un ritratto sarcastico e divertente del
mondo dei premi letterari», risponde l’attore
che si è cimentato con successo anche nella regia
e che l’anno prossimo metterà in scena il
Riccardo III di Shakespeare.
Alberto Laggia
Racconta e vinci il grande cinema di Chaplin
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«Ricordate qualche momento in cui la fede vi ha dato conforto?»
Per ognuno dei 13 volumi della collana BUC - I narratori, "sfidiamo" i lettori a inviarci un loro racconto sul tema del libro della settimana.
La redazione di Famiglia Cristiana ogni settimana sceglierà il racconto migliore, che verrà premiato con un cofanetto di 13 Dvd con i grandi capolavori di Charlie Chaplin.
Pubblicato il 29 agosto 2012 - Commenti (2)
21 ago
La grande attrice Valentina Cortese
Per capire chi è Valentina
Cortese basta riportare le
parole di Ingrid Bergman
che nel 1973 le soffiò
l’Oscar come miglior
attrice: «Questo Oscar non
mi appartiene. Appartiene
a Valentina Cortese». Musa
per molti anni di Giorgio
Strehler, ha recitato al
cinema per registi come
Federico Fellini, François
Truffaut e Franco
Zeffirelli. Per quest’ultimo,
con cui ha girato anche
Fratello sole, sorella luna e
Gesù di Nazareth, ha
interpretato la madre
superiora in Storia di una
capinera, il film che il
regista nel 1993 ha tratto
dall’omonimo romanzo di
Giovanni Verga, che
Famiglia Cristiana
propone questa settimana nella collana
Biblioteca universale
cristiana. La grande attrice,
nata a Milano nel 1923 e
che ha da poco pubblicato
la sua autobiografia Quanti
sono i domani passati, ha
scritto per noi queste righe
per spiegarci cosa ha
rappresentato per lei
il romanzo di Verga.
Angela Bettis in Storia di una capinera.
Storia di una capinera è un’opera giovanile
di Giovanni Verga. Ma già lo
studio psicologico dei personaggi è
estremo.
C’è una meravigliosa fusione
fra i personaggi e l’ambiente in cui vivono
e agiscono. È un romanzo intimo. La
realtà descritta è colta nel suo aspetto nudo
e doloroso. Paesaggi e personaggi restano
“veri” eppure immersi in una luce
di favola remota. Una materia perfetta
per il cinema, con le sue descrizioni a
campi lunghi e con i primi piani psicologici
dei personaggi.
Ci sono, nella scrittura di Verga, l’intimità
e il pudore dei sentimenti, la fatica e la
pena del lavoro, insomma, la vita. Sentimenti
e paesaggi visti sul nascere e il morire di
un’esaltazione amorosa.
A Storia di una capinera mi legano pure ricordi
personali. Anch’io, come la giovane
protagonista Maria, non sono stata cresciuta
dalla mia vera madre e durante le riprese del
film di Zeffirelli mi capitava di proiettare su
Angela Bettis, l’attrice che la interpretava,
parte del mio mondo giovanile.
Il ruolo di
madre superiora mi riportava al mio mestiere
di attrice e diventavo altro da me, ma certe
onde emotive provate nella mia infanzia le rivivevo
fortissime quando vedevo Angela nei
panni di Maria. E poi c’era l’ambientazione
contadina, così presente nelle opere di Verga,
abilissimo nel cogliere il rituale quotidiano
del lavoro nei campi, i giochi, le feste stagionali.
Io sono cresciuta in quel mondo e,
anche se di certo non mi rendevo conto di
tutto questo con la sua lucidità, assaporavo i
proverbi, i canti, i balli nell’aia, le favole nella
stalla raccontate dagli anziani del paese.
E ancora oggi che i ricordi risvegliati si
fanno più vividi e presenti, li rivivo con la
poesia delle cose lontane.
È questa la grande
forza della letteratura: è il grande specchio
dove l’umanità si riflette e si riconosce,
è la memoria che ci lega nel tempo.
Vorrei vivere un’altra vita ancora per leggere
e per rileggere i grandi libri.
Storia di una capinera di Verga in edicola e in parrocchia da giovedì 23 agosto
Racconta e vinci il grande cinema di Chaplin
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«Nella vostra vita c'è un grande desiderio che è rimasto irrealizzato?»
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Pubblicato il 21 agosto 2012 - Commenti (3)
14 ago
David Riondino.
Mettete che un bel giorno il ministero
della Cultura decida di lanciare
una campagna per alzare il livello
medio dei cabarettisti. Immaginate
poi che l’ispettore inviato dal ministero sia
David Riondino e che il comico ignorante da
istruire sia Dario Vergassola.
Considerate, infine,
che tema della lezione sia uno dei capolavori
dell’Ottocento, Madame Bovary di Gustave
Flaubert.
Quale sarà il risultato di Riondino
accompagna Vergassola a incontrare
Flaubert, se non un avvincente, divertente e
serrato duello sul campo della letteratura?
«Fu uno scrittore “popolare”, capace di affrontare
temi di comune interesse, di indagare
i sentimenti», dice Riondino a proposito
dell’autore che viene proposto nella collana
della Biblioteca universale cristiana con il numero di Famiglia Cristiana di questa settimana.
Già
bibliotecario alla Biblioteca nazionale di Firenze,
nato artisticamente con la generazione
dei cantautori degli anni Settanta, musicista
(ebbe l’onore di aprire i concerti di De André),
verseggiatore satirico con la passione
per la divulgazione, Riondino ha ripetuto
l’esperimento, sempre in compagnia di Vergassola,
con Don Chisciotte, Pinocchio, I promessi
sposi. Prova che la grande letteratura,
se declinata nelle forme adatte, può davvero
conquistare ogni tipo di pubblico.
E a darcene
una prova convincente e tangibile è proprio
Flaubert, con i suoi grandi romanzi. «La
forza della trama, il realismo con cui descrive
le relazioni fra i suoi personaggi, l’abilità nel restituire l’intimità e i chiaroscuri delle
situazioni fanno sì che il lettore resti
incantato, che si preoccupi per le involuzioni
emotive dei protagonisti, che
attenda con trepidazione l’esito degli
eventi», continua Riondino.
Accade
che l’autore stesso si identifichi nelle
sue creature – è celebre la frase di Flaubert secondo
cui «Madame Bovary c’est moi», Madame
Bovary sono io – e quindi «ogni lettore
può riconoscersi in esse».
Il capolavoro di Flaubert – materia troppo
ghiotta per non ingolosire il cinema, che infatti
ne ha tratto diverse versioni, con protagoniste
fra le altre Jennifer Jones (1949), Isabelle Huppert
(1991), mentre l’anno prossimo sarà Mia
Wasikowska a vestirne i panni – «racconta comela
protagonista venga conquistata da un sogno
che la allontani da una vita quotidiana percepita
come insostenibile e non soddisfacente.
È affascinata dall’altrove, da una felicità “esotica”,
dal desiderio di altri mondi. Chi non prova
desideri, profondi ma misconosciuti? Chi
non avverte, a volte, l’estraneità di chi gli
sta vicino?
Il bisogno di assoluto, la ricerca di
pienezza sentimentale, il diritto alla bellezza
sono insopprimibili, e il pubblico in tutto ciò
scopre sé stesso», conclude Riondino.
E proprio questi aneliti a una grandezza e
realizzazione spirituale sono i temi che il lettore
ritroverà nei Tre racconti allegati alla rivista in edicola e in parrocchia da giovedì 16 agosto.
I tre racconti di Gustave Flaubert, in edicola e in parrocchia da giovedì 16 agosto
Racconta e vinci il grande cinema di Chaplin
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«Nel racconto Un cuore semplice Flaubert descrive una domestica estremamente umile e buona al servizio di una donna difficile. Secondo voi, la semplicità è una virtù?»
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Pubblicato il 14 agosto 2012 - Commenti (2)
09 ago
Arnoldo Foà, il “grande vecchio” (è nato a Ferrara il 24 gennaio 1916) del nostro teatro.
Di fronte alla poesia, da sempre vengo
colpito non tanto dalle tecniche
dell’autore, ma dai concetti che
esprime, e dall’atmosfera che riesce
a creare, il contesto in cui si muove la
sua fantasia.
Nonostante io sia noto anche
per le letture pubbliche, sono convinto che
la poesia sia un fatto assolutamente intimo,
e andrebbe letta privatamente, perché
la lettura della poesia è un tale misto di tecnica
e di spiritualità che richiede il silenzio
assoluto per ascoltare gli intimi echi che suscita
in noi.
La poesia per me è pensiero e armonia, ma
nel corso della lettura non è semplice evidenziare
l’uno e l’altra senza propendere per
uno dei due elementi a scapito dell’altro.
Kahlil Gibran
Khalil Gibran mi ha colpito proprio per la
sua costante ricerca di una comunione di
questi due elementi, sia dal punto di vista puramente
estetico che per i contenuti.
Rileggendo
in questi giorni i suoi versi, ho riscoperto
quanto me lo aveva fatto apprezzare a
suo tempo, quando l’ho letto pubblicamente
e poi registrato per l’editore Lettera “A”: la
sua idea di amore universale, anche per
quanto non conosciamo.
Io ho sempre pensato che solo l’amore
possa dare un senso alla nostra vita; per chi
crede, l’amore ha anche un valore religioso,
ma l’amore spirituale è qualcosa che può toccare
l’animo di ognuno, senza differenze di
cultura o di religione, e questo sentimento
mi sembra di aver percepito proprio nella
poesia di Gibran.
Gibran parla di amore come di un percorso
intimo verso qualcosa di inspiegabile, che
è parte dell’universo, e di una dimensione
più spirituale e più vera. L’amore arriva a
chiunque, ci dice Gibran, ma molti non lo capiscono,
o lo allontanano perché non sono
pronti o sono distratti dalla ricerca di un sentimento
più superficiale.
Per il poeta, l’amore vero è il viaggio di
ognuno verso la conoscenza e la verità, in
armonia con quanto è intorno a noi. E di
amore vero c’è necessità, in questi tempi travagliati!
«...I vostri figli non sono i vostri figli. / Sono
i figli e le figlie della fame che in sé stessa
ha la vita. / Essi non vengono da voi, ma attraverso
di voi, / E non vi appartengono benché
viviate insieme...».
"Ali spezzate" di Kahlil Gibran. Questa settimana in edicola con Famiglia Cristiana.
Racconta e vinci il grande cinema di Chaplin
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«Gibran mette in scena un lacerante "amore impossibile". Conoscete qualcuno a cui è stato impedito di vivere i propri sentimenti?»
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Pubblicato il 09 agosto 2012 - Commenti (1)
01 ago
Giuseppe Lupo
Milano, 1630: durante l’epidemia di
peste che infesta la città due uomini
vengono ingiustamente accusati
di essere untori, propagatori del
contagio; vengono arrestati, atrocemente torturati
fino alla confessione e condannati a
morte. Alessandro Manzoni rimase colpito
da questa vicenda giudiziaria: durante il lungo
lavoro su I promessi sposi, prese in mano
il caso, ne studiò a fondo tutti i documenti, fino
a scriverne un libro, una ricostruzione in
forma di asciutta cronaca giudiziaria dal titolo
Storia della colonna infame.
«Con questo libro, che è molto particolare,
si può dire che sia cominciato il genere
dell’inchiesta giudiziaria. Anche Leonardo
Sciascia scrisse un saggio sulla Storia della colonna
infame e si avvicinò a Manzoni: per lo
scrittore siciliano era fondamentale il rapporto
tra letteratura e giustizia». A commentare
l’opera manzoniana è Giuseppe Lupo, docente
di Letteratura italiana contemporanea
all’Università Cattolica di Milano e Brescia,
saggista e scrittore: il suo ultimo romanzo,
L’ultima sposa di Palmira, del 2011, è stato finalista
al Premio Campiello.
Alessandro Manzoni
– In che senso la Storia della colonna infame
è un libro particolare?
«Contiene tutto il travaglio dello scrittore:
dopo I promessi sposi Manzoni mette in crisi
la formula del romanzo come componimento
misto di storia e invenzione. Lo
scrittore è roso dal tarlo dell’insoddisfazione:
del resto, avere ripensato
la sua opera più grandiosa,
I promessi sposi, per
vent’anni, è segno di sfiducia e
insoddisfazione. A un certo
punto, Manzoni abbandona
l’invenzione per privilegiare
la verità storica. La Storia della
colonna infame segna il fallimento
del romanzo storico.
È un atto di fiducia estrema
dello scrittore alla verità
del documento».
– Alla base di questo libro c’è un
profondo problema etico e cristiano...
«Tutte le opere manzoniane sono guidate
da un problema etico, il modo in cui l’uomo
si pone di fronte alla storia. Nella Storia della
colonna infame Manzoni critica l’obbedienza
alla superstizione, che durante la pestilenza
crea la paura degli untori, ma soprattutto
rivolge un atto di accusa verso chi detiene
il potere, i magistrati, che pur avendo gli
elementi per affermare la verità finiscono
per assecondare l’ignoranza
collettiva. Manzoni si pone il
problema, fortemente cristiano,
della coscienza individuale,
della responsabilità personale
che ognuno assume di
fronte alla storia e alle scelte».
– Pensa che sia un’opera ingiustamente
trascurata?
«Sì, è un libro poco letto, ma
molto interessante, perché pone
problemi molto attuali. Per esempio,
il rapporto tra i singoli cittadini
e il grande ordigno dello Stato che si scatena
contro di loro. Negli anni Sessanta si è sviluppata
una filmologia che denunciava proprio
le vessazioni della macchina dello Stato
sul cittadino. A scuola, purtroppo, Manzoni
si studia in modo tale che gli studenti finiscono
per odiarlo. Poi, magari, viene riscoperto
e apprezzato anni dopo, come ho fatto io».
– All’inizio del 2013 uscirà il suo nuovo romanzo.
Ci anticipa qualcosa?
«Lo avevo in mente da quindici anni. È un
romanzo di guerre, viaggi e amori ambientato
nel Quattrocento: un periodo storico non
facile per me che sono abituato a scrivere sul
Novecento. Ma un autore deve cimentarsi
con nuove sfide. È una storia che passa per
Venezia, Mantova, Milano, la Francia, e che,
come tutti i miei romanzi, parte da verità storiche
per arrivare all’invenzione. Mi piace
pensare alla letteratura come visita di luoghi
immaginari. La chiave di lettura dei miei libri
è il sogno della storia. E la letteratura è il
luogo dove la storia si può sognare».
"Storia della colonna infame" di Alessandro Manzoni. Questa settimana in edicola con Famiglia Cristiana.
Racconta e vinci il grande cinema di Chaplin
Utilizzando lo spazio commenti e senza superare le 1000 battute, rispondi a questa domanda:
«Manzoni racconta un caso di colossale ingiustizia. Vi è mai capitato di provarla sulla vostra pelle?»
Per ognuno dei 13 volumi della collana BUC - I narratori, "sfidiamo" i lettori a inviarci un loro racconto sul tema del libro della settimana.
La redazione di Famiglia Cristiana ogni settimana sceglierà il racconto migliore, che verrà premiato con un cofanetto di 13 Dvd con i grandi capolavori di Charlie Chaplin.
Pubblicato il 01 agosto 2012 - Commenti (2)
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