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lug

Corradino il puro

Franco Cardini, esperto di Medioevo.
Franco Cardini, esperto di Medioevo.

«Non so che cosa mi aspetterà, dopo che il boia mi avrà giustiziato. Ma so per certo che benedirò, da quel momento, la fortuna di essere nato». Con queste parole messe in bocca al protagonista, Italo Alighieri Chiusano conclude l'autobiografia romanzata del sedicenne Corradino di Svevia, re di Napoli, Sicilia e Gerusalemme, venuto in Italia a sfidare il francese Carlo d'Angiò, appoggiato dal Papa. Konradin è il prossimo volume proposto con Famiglia Cristiana per la serie della Biblioteca universale cristiana. Ne parliamo con Franco Cardini, fra i massimi esperti del Medioevo.

– Cardini, come va letta questa vicenda?

«Chiusano non pretende di scrivere un romanzo storicamente attendibile: la vicenda di Corradino è per lui l'occasione di riflettere sull'immagine romantica di un personaggio che ha affascinato la cultura romantica tedesca e italiana. La figura di Corradino riassume alcuni grandi archetipi: la sacralità dell'investitura regale, la purezza degli ideali della giovinezza, il sacrificio eroicamente vissuto. Corradino affronta con coraggio e onestà un'avventura più grande di lui: la perfidia di chi lo ha ingannato, tradito e giustiziato gli costa la vita».

– Quale era la sensibilità religiosa di suo nonno, il grande Federico II e cosa ha rappresentato per l'Italia il suo regno?

«Federico II dovette affrontare forti contrasti con alcuni Pontefici, ma ciò non significa che fosse eretico o ateo. Quanto all'Italia, della quale come imperatore Federico era re, egli cercò inutilmente di piegare i Comuni centrosettentrionali alla sua volontà. In Germania, invece, seppe assecondare saggiamente le iniziative che, nella fedeltà alla corona, tendevano all'autonomia e prefiguravano il futuro federalismo tedesco. In Sicilia instaurò un governo autoritario e centralista, sulla base del precedente modello normanno, affidò le finanze e le risorse dell'isola ai mercanti e agli imprenditori del continente, specie genovesi e pisani, imponendo un'economia di dominio che diventò una delle cause del mancato sviluppo del meridione d'Italia».

– La lotta tra la dinastia angioina e sveva per il dominio dell'Italia ci riporta ai tempi delle lotte tra guelfi e i ghibellini, due anime che, forse, coesistono ancora oggi nella coscienza nazionale...

«Le lotte cittadine e familiari che derivano dalle vicende storiche passate non sono un fenomeno esclusivo della penisola italica. Solo dopo la Rivoluzione francese le rivalità e le inimicizie in Italia assumono una nuova veste ideologico- politica. Non dobbiamo leggere il Risorgimento e il periodo successivo alle due grandi guerre mondiali alla luce della contrapposizione tra neoguelfi e neoghibellini, né attribuire ai guelfi una natura clericale e ai ghibellini un'anima anticlericale».

Konradin si collega alla serie di romanzi ambientati in epoca medievale: perché ci affascina questo periodo?

«Il Medioevo ci attrae per la sua natura indistinta, nella quale trova posto tutto e il contrario di tutto: fede ed empietà, religione e magia, amore per la scienza e la filosofia e culto del mistero, afflati di pace e impulsi violenti. Dal Quattrocento in poi si è guardato al Medioevo come a un periodo confuso e retrogrado, mentre a partire dall'Ottocento è stato rivalutato come un'epoca di libertà, fantasia e sentimento».

– Cosa si può dire sulla figura della madre di Corradino, Elisabetta di Wittelsbach, a cui il figlio si rivolge nella lunga lettera con cui inizia il romanzo.

«Non sappiamo molto di lei se non che era una principessa colta e pia. Appartenendo alla dinastia dei duchi di Baviera, tradizionalmente avversari dei duchi di Svevia, cui apparteneva invece il marito. Era ben conscia dello scontro dinastico che, dalla prima metà del XII secolo, dilaniava l'Impero romano-germanico. Anche Federico I Barbarossa, del resto, era figlio di un duca svevo e di una duchessa bavara».

Racconta e vinci il grande cinema di Chaplin

Utilizzando lo spazio commenti e senza superare le 1000 battute, rispondi a questa domanda:

C'è un'occasione in cui avreste voluto essere più coraggiosi e leali di quanto siate effettivamente stati?

Per ognuno dei 13 volumi della collana BUC - I narratori, "sfidiamo" i lettori a inviarci un loro racconto sul tema del libro della settimana.

La redazione di Famiglia Cristiana ogni settimana sceglierà il racconto migliore, che verrà premiato con un cofanetto di 13 Dvd con i grandi capolavori di Charlie Chaplin.

Pubblicato il 12 luglio 2012 - Commenti (2)

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Postato da Galvanor il 25/08/2012 13:14

La domanda è fuorviante e rende difficile la risposta, senza una precisazione. Sembra, infatti, che “coraggio” e “lealtà” siano due facce della stessa medaglia e marcino sempre di pari passo. Purtroppo così non è, a meno che non si voglia traslare l’etimologia, riservando alle due virtù un’accezione esclusivamente positiva. Anche in questo caso, però, il problema resta, perché si può essere leali quanto si vuole, ma il coraggio se uno non ce l’ha, non se lo può dare. In talune circostanze, però, la “lealtà” si dimostra un valido stimolo per il coraggio: quale genitore, ad esempio, seppur incapace di nuotare e terrorizzato dall’acqua, esiterebbe a tuffarsi notando un figlio in difficoltà? Il “coraggio” dei criminali, poi, come noto, è fine a se stesso e viaggia su binari ben distinti da quella della lealtà che, è bene ribadirlo, è una virtù solo se basata su principi. Se concessa senza riserve, magari a chi non la merita, può facilmente trasformarsi in uno strumento per agire male. Il compagno ideale della “lealtà”, invece, è “il dovere”, come ci ricorda Robert Anson Heinlein: “Quando questi concetti gemelli vengono disprezzati... squagliati in fretta! Magari riuscirai a salvarti, ma è troppo tardi per salvare quella società. È spacciata”. (Lino Lavorgna)

Postato da Galvanor il 25/08/2012 12:17

La domanda è fuorviante e rende impossibile una risposta chiara, se non dopo una doverosa precisazione. Sembra quasi, infatti, che coraggio e lealtà siano due facce della stessa medaglia, che marciano sempre insieme. Ma non è così, a meno che non si voglia traslare il primo sostantivo dal suo costrutto etimologico e riservargli esclusivamente una accezione positiva. Ciò, però, non migliora le cose. E' indubbio che vi siano criminali coraggiosi, che magari possono essere "anche" leali, ma è ben chiaro che nel mondo del male si trova di tutto e quindi anche "coraggiosi" e "traditori". E' bene precisare, poi, che la lealtà è una virtù quando si basa su "principi". " La lealtà concessa senza riserve, in particolare a chi non la merita, è negativa, perché si trasforma in uno strumento per agire male. Vi sono persone lealissime, poi, alle quali tremano le gambe in talune circostanze. Il coraggio, si sa,se uno non ce l'ha, non se lo può dare. Caso mai è proprio la lealtà che funge da stimolo, a volte, per stimolare "coraggio" in che ne è privo. Quale genitore, seppur incapace di nuotare, esiterebbe a tuffarsi notando un figlio in difficoltà?

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