17
apr
Sono un giovane insegnante di
Lettere e Religione nella Scuola
secondaria. Dopo l’intervento di
Celentano al Festival di Sanremo, i miei
ragazzi mi hanno chiesto come mai
la rivista si chiami Famiglia Cristiana.
La maggior parte di loro pensano
che sia un settimanale solo per preti
e suore. O, comunque, per “addetti
ai lavori”. Inoltre, sostengono che,
in un contesto pluralista, l’aggettivo
“cristiana” può sembrare elitario.
Ho cercato di dire loro, secondo
l’intuizione del beato Giacomo
Alberione, che Famiglia Cristiana «non
deve parlare solo di religione, ma di
tutto cristianamente». E che, quindi, c’è
posto per tutto!
Sandro P. - Vicenza
Grazie, caro Sandro, per la risposta corretta
data ai tuoi studenti. Sì, Famiglia Cristiana
«parla di tutto cristianamente». O,
in altre parole, non parla solo di religione,
ma di «tutto quello che è vero, nobile, giusto,
puro, amabile, onorato, quello che è
virtù e merita lode», per usare le parole di
san Paolo (Fil 4, 8-9). Forse, come Gesù disse
ai primi apostoli «venite e vedete», si potrebbe
dire ai tuoi studenti «provate e giudicate
». Solo così si supera la non conoscenza
o il pregiudizio che la nostra sia
una rivista per preti, suore e “addetti ai lavori”.
E che parla solo di religione. Fin dalla
sua origine, nel 1931, Famiglia Cristiana
si è rivolta alle famiglie e a ogni componente
della famiglia. Per tutti ha una parola
interessante. Basta sfogliarla. Quanto
all’aggettivo “cristiana” che campeggia
nella testata, accanto al sostantivo “famiglia”,
esso rappresenta la nostra “bandiera”.
È la nostra identità. Il modo con cui
leggiamo i fatti della vita e della cronaca
quotidiana. In una società pluralista ci distingue,
ma non ci restringe gli orizzonti.
È, semmai, un surplus di responsabilità,
tra tanta stampa frivola. Tra i nostri lettori
non ci sono solo cattolici e praticanti. Ci
leggono tantissimi non credenti. E ci apprezzano
per la coerenza e la credibilità.
Ma anche per la nostra autonomia e libertà
di giudizio, nella ricerca sincera della verità.
Senza pregiudizi.
Pubblicato il
17 aprile 2012 - Commenti
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22
feb
Errare è umano, perseverare è davvero diabolico.
È quanto ha fatto Celentano al Festival
di Sanremo, con due attacchi, a distanza
di giorni, a preti, frati, vescovi. Con due
sole eccezioni: don Gallo e don Mario. In particolare,
si è scagliato contro Avvenire e Famiglia
Cristiana. Tutti colpevoli di non parlare di
Paradiso e di Dio, ma soltanto di politica e delle
vicende di questo mondo.
Il “molleggiato” come
cantante non si discute. Le sue canzoni fanno
parte della storia della musica italiana. Ma
all’artista manca una piccola virtù cristiana:
l’umiltà. Ma anche il senso del limite. Che, forse,
può aver recuperato quando dall’Ariston,
per la prima volta, gli hanno urlato “basta”
agli sproloqui. Ma anche le sue pause e i silenzi
sono insopportabili. Più che “eloquenti”, esprimono
un vuoto di idee. Ci è parso patetico vederlo
destreggiarsi su terreni a lui inconsueti,
come la teologia. Soprattutto, quando assume
l’aria del “predicatore” o del “profeta”.
«Gli argomenti
alti», ha detto il presidente della Rai
Garimberti, «andrebbero toccati in altro contesto
e con ben altro livello intellettuale».
L’attacco a Famiglia Cristiana e ad Avvenire
ha dimostrato che Celentano non legge la stampa
cattolica. Certo, per il “re degli ignoranti” non
è una colpa. Ma se si aggrediscono due giornali,
invocandone la chiusura (naturalmente, nel nome
della libertà!), bisognerebbe almeno documentarsi.
Parlare a ragion veduta. E non mosso
dall’acredine per una critica, mal digerita, ai suoi
esosi compensi.
Paradossalmente, al di là del clamoroso
successo di audience, Sanremo è stata
una sconfitta per Celentano. Gli si ritorcerà contro
come un boomerang. Ha vinto una battaglia,
ma perso la guerra. I fischi e l’interruzione del
suo monologo in eurovisione ne sono il segno.
Mai successo prima per un artista del suo calibro.
Nonostante il soccorso di un patetico Morandi.
Celentano ha dato un duro colpo, forse mortale,
anche al Festival di Sanremo, che ha sacrificato
tutto alla logica dell’audience. A cominciare
dal buonsenso.
Ma dal disastro non s’è
salvata nemmeno la Rai, smarrita e ipocrita,
che all’Ariston plaudiva alle battute di Celentano.
Una Rai soggiogata dal clan del “molleggiato”,
cui ha permesso tutto. Se è vero che in
democrazia ciascuno è libero di esprimere le
proprie critiche, questo non lo si può fare senza
contraddittorio su una Tv pubblica, pagata
con il canone di tutti. Soprattutto se le parole
hanno il sapore di una vendetta. Non basta
qualche scusa “privata” a chiudere il caso.
Un grazie, infine ai lettori e a tutti coloro che ci hanno manifestato solidarietà (QUI trovate una valanga di interventi), anche sottoscrivendo un nuovo abbonamento. È la migliore risposta a Celentano. Nel frattempo, l’ho abbonato a Famiglia Cristiana. Così, potrà leggere il commento ai Vangeli del cardinale Tettamanzi, la rubrica di monsignor Ravasi, le risposte del teologo, le pagine sul Catechismo... e tutto il resto, che serve a vivere una fede meno disincarnata. Come ci ricorda la Bibbia: «La gloria di Dio è l’uomo vivente».
Pubblicato il
22 febbraio 2012 - Commenti
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