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Seguo spesso la sua rubrica, pur non essendo un abbonato. Le confermo
la stima per la capacità di ascolto, che è una forma altissima di carità.
Frequento la parrocchia e sono attivo nel volontariato. Mi considero una
persona in ricerca. Sono, però, contrariato dal diniego del nostro vescovo
a una manifestazione contro questo assurdo sistema politico e sociale.
Si
parla di crisi economica, ma non si tagliano sprechi e alti costi della politica.
O le spese militari. Uno schiaffo alla povertà. E al futuro incerto dei nostri
figli.
Ho tanta paura. Né mi rincuorano le stanche catechesi di tanti preti. Se i
laici devono essere il terreno fertile in cui germoglia la Chiesa, perché tarpare
le ali a chi vuol volare?
La primavera del Concilio si sta spegnendo. Mentre
ad Assisi il Papa prega per la pace con i rappresentanti delle religioni, nelle
cattedrali di tante città si ha paura a condannare la guerra. Che è sempre uno
scandalo.
Troppi don Abbondio affollano la nostra Chiesa. Manca la profezia.
Noi cattolici siamo alle prese con beghe da sacrestia.
Francesco M. - Bari
I tempi che viviamo richiederebbero
una Chiesa coraggiosa. Con più
profezia. Ma anche laici “adulti”
nella fede. Non più minorenni, soggiogati
dal clero.
Siamo tornati indietro
rispetto al Vaticano II, che
aveva scoperto vocazione e dignità
dei laici. In forza del battesimo, che
ci accomuna nella Chiesa come “popolo
di Dio”. Pur con diversità di
compiti e ministeri.
Va recuperata
quella spinta profetica del Concilio.
Una speranza non solo per la Chiesa,
ma per il mondo intero. Oggi,
c’è una terribile involuzione. E la
tentazione, non più strisciante, di
un ritorno al passato. Alla ricerca di
false sicurezze.
Pubblicato il
21 dicembre 2011 - Commenti
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dic
Per usare una sua espressione, sembra
che i cattolici comincino ad aprire gli
occhi. Finalmente! Speriamo sia vero. Se ci
troviamo in questo sfascio etico e politico,
qualche responsabilità ce l’ha pure
la Chiesa come istituzione.
Non basta
chiedere perdono per gli errori del passato.
Occorre pentirsi anche per quelli recenti.
Ai cattolici di facciata, preferisco quelli
“adulti”. La maturità nella fede non
è una colpa.
Dovremmo, forse, essere
eternamente bambini, perché qualcuno
possa indirizzarci e condurre dove vuole?
La Chiesa, purtroppo, ha preferito “atei
devoti” a cattolici onesti e competenti.
Lo dobbiamo a Famiglia Cristiana se,
in questi tempi, possiamo dirci cattolici
senza arrossire.
Un lettore
Il lettore ci gratifica al di là del nostro impegno.
Che è quello di raccontare la realtà, senza
manipolarla. E prendere posizione netta a
favore dei valori. A difesa della dignità delle
persone e dell’uguaglianza di tutti gli esseri
umani. Non ci muovono interessi di parte, ma
la ricerca e l’amore per il bene comune. Cioè il
benessere di tutti. A cominciare dalle famiglie
che non hanno voce per essere rappresentate.
Lo facciamo ispirandoci ai princìpi evangelici.
In libertà e autonomia. Da qualsiasi potere.
Con la responsabilità che ogni credente deve
avere nell’offrire il proprio contributo per
la costruzione della “città terrena”.
Pubblicato il
21 dicembre 2011 - Commenti
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dic
Ho letto l’articolo: “Una nota stonata nel Governo Monti” (FC n. 50/2011). Indiscutibile il valore della famiglia. Ma non le pare che stiamo esigendo l’inverosimile da questo nuovo Governo? Appena nato, sta fronteggiando nodi problematici immani. Con una umiltà “da esaurimento” dialoga con tutti. Non mi pare sia disimpegnato, a cominciare dal suo presidente. Non sarà esplicitata la parola famiglia, ma nel programma c’è il rilancio dell’occupazione giovanile. Una speranza per il futuro di nuove famiglie. Insomma, lei è inflessibile e rigido nei giudizi. Un Governo così, l’Italia se lo sogna un’altra volta! Non giochiamo alla santità assoluta. Spezziamo qualche lancia in più di incoraggiamento a questa nuova gente politica. Si stanno accollando pesi inverosimili per il bene del Paese.
Antonietta L. - Padova
D’accordo con te, cara Antonietta. Il Paese ha percepito aria nuova, meno ammorbata da interessi personali e di casta. Ha salutato con entusiasmo il cambio alla guida del Paese. L’opinione pubblica sostiene questo nuovo esecutivo più di quanto non facciano gli stessi parlamentari, che scherzano con il fuoco, ricattando o minacciando di ritirare la fiducia. Quasi non fossero ancora consci della gravità della situazione. E, soprattutto, non avessero compreso l’indignazione e la rabbia della gente, difficile da controllare quando non sa più che dare da mangiare ai propri figli. Proprio per questo, ci voleva più equità negli interventi. E più coraggio nel combattere privilegi, evasioni e corruzione. Spremere i poveri è semplice, lo si è sempre fatto. Avremmo voluto più audacia nel far pagare ricchi e benestanti. Nel tassare i “capitali scudati”, che se hanno pagato una tassa (lieve) per rientrare in Italia, non godono però di immunità perenne. Una cartina da tornasole sarà l’asta delle frequenze televisive. Se verranno regalate ai soliti noti (Rai e Mediaset), vuol dire che c’è ancora tanto cammino da fare nell’equità. O che siamo sotto ricatto. Se c’è qualcosa da regalare, lo si dia ai lavoratori, ai pensionati e alle famiglie.
Pubblicato il
14 dicembre 2011 - Commenti
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Fino al primo Dopoguerra (1945) esistevano valori come la famiglia, la generosità, l’estro artistico, la passione per lo sport, la gioia di vivere. Oggi, i cattolici non sono più come al tempo di Pio XII. E la famiglia è in profonda crisi. L’individualismo e il relativismo morale hanno corroso il concetto di bene e male. Obbedienza e fedeltà non sono più virtù, ma quasi una colpa. C’è assuefazione, se non tolleranza, alla corruzione. Non c’è più umanità né rispetto dei diritti di tutti. Diamo i vestiti alla Caritas, ma non riconosciamo la cittadinanza a chi ne ha diritto. C’è una classe politica non all’altezza dei problemi. Inamovibile, grazie a leggi “porcellum”. Gli italiani meriterebbero uno Stato migliore. E politici più onesti e saggi. Oggi, la gioia di vivere degli italiani è avvelenata dal virus di una politica malata. Quella che bada solo a interessi personali e privati. Spero che la crisi ci faccia rinsavire. Nelle menti e nel cuore.
Giancarlo M.
C’è poco da aggiungere alla tua lucida analisi, soprattutto sulla situazione in cui ci troviamo oggi. Mi associo al tuo auspicio, che anche dalla crisi possa venirne qualcosa di buono. Come un cambio di mentalità nel modo di vivere e negli stili di vita, improntati più a sobrietà e rigore etico. E più onestà e saggezza in chi è chiamato a gestire la “cosa pubblica”. Cioè il bene di tutti.
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12 dicembre 2011 - Commenti
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Non si può avere Dio per padre se non si ha la Chiesa per madre. Critichiamo la Chiesa perché la amiamo. Da ragazzo, ho fatto una domanda al mio prete dell’oratorio sulle ricchezze del Vaticano. Ho compiuto settant’anni, quel bravo sacerdote marcia verso i novanta, ma non mi ha ancora risposto. È vero che le riforme nella Chiesa hanno tempi biblici e che bisogna avere pazienza. Di fronte ai casi di bisogno, non si possono preferire gli ornamenti superflui delle chiese e la suppellettile preziosa del culto divino. Al contrario, potrebbe essere obbligatorio alienare questi beni per dare cibo, casa e vestiti a chi ne è privo. Così dicono alcuni documenti ecclesiali. Ora, in tempo di crisi, sarebbe bene che la Chiesa desse il buon esempio in fatto di sobrietà. E, per aiutare i poveri, utilizzasse non solo i contributi dei fedeli e dello Stato, ma anche i propri beni. Una cura dimagrante sarebbe opportuna anche per lei.
Carlo M.
Se dopo tantissimi anni non le è giunta la risposta del suo prete, forse la domanda era mal posta. Assecondava pregiudizi e luoghi comuni. Con scarsissimo fondamento. L’invito a maggiore sobrietà e condivisione dei propri beni è, comunque, sempre valido. Non solo per i preti. Contro la tentazione di adagiarsi nel benessere. O illudersi nella ricchezza, trascurando i poveri. A fronte di qualche “controtestimonianza” (la Chiesa è fatta di uomini peccatori), ci sono esempi splendidi di condivisione e comunione. Il cardinale Tettamanzi ha donato i propri beni a favore dei poveri. In questi giorni, nella diocesi di Locri-Gerace, i sacerdoti hanno deciso di autotassarsi. E destinare una parte del loro stipendio o della loro pensione “ai più poveri tra i poveri”. Un piccolo gesto pubblico, oltre a quanto già fanno nel silenzio, aiutando tante famiglie bisognose.
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06 dicembre 2011 - Commenti
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Siete l’unico giornale che riesco a leggere. Ogni tanto, sfoglio altri settimanali, ma dopo aver letto qualche articolo, lascio perdere. A me sembra che voi siate la mia voce. Riuscite a dire quello che penso, ma non riesco a esprimere. È la prima volta, in vita mia, che scrivo a un giornale. C’è sempre una prima volta! Lo faccio in merito all’articolo “Il vero perdono arriva da lontano” (FC n. 47/2001) su monsignor Betori (foto). L’ho trovato di una bellezza totale. Primo per il contenuto. Poi per come è scritto. Ne ho fatto diverse fotocopie per farle leggere agli amici. E da tenere in borsa, per rileggerlo o darlo all’occorrenza. I miei più vivi complimenti, la mia ammirazione e tanta “sana invidia” alla Bonanate per questo suo bellissimo talento. Scrivo da Treviso e sono un’impiegata. Figlia, moglie, mamma e nonna di cinquantotto anni. Il tutto con un po’ di affanno, ma con tanta serenità.
Anna
Giro i tuoi complimenti a Mariapia Bonanate. Davvero il perdono non si improvvisa. Viene da lontano. È un valore sacro. Non voglio aggiungere altro alle sagge parole espresse dalla Bonanate. Vorrei, però, riportare quel passaggio che lei stessa ha ripreso da una risposta di don Zega. Riguarda Erika che, a giorni, torna libera in famiglia, assieme al padre. Immagino già quali saranno le reazioni. «La giustizia umana», scriveva don Zega, «giudica e condanna secondo le sue regole. Il perdono cristiano non è un atto di giustizia e neppure di liberalità o di filantropia, ma l’umile riconoscimento di una fragilità condivisa, che tutti ci accomuna nel bisogno della misericordia del Padre. Senza il perdono il cristianesimo crolla su sé stesso. È necessario ritornare a questa sorgente in tempi di insicurezza diffusa e di rivendicazioni astiose, perché anche la pace del nostro cuore riposa su questo fondamento».
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05 dicembre 2011 - Commenti
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