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Le ricchezze del Vaticano
Non si può avere Dio per padre se non si ha la Chiesa per madre. Critichiamo la Chiesa perché la amiamo. Da ragazzo, ho fatto una domanda al mio prete dell’oratorio sulle ricchezze del Vaticano. Ho compiuto settant’anni, quel bravo sacerdote marcia verso i novanta, ma non mi ha ancora risposto. È vero che le riforme nella Chiesa hanno tempi biblici e che bisogna avere pazienza. Di fronte ai casi di bisogno, non si possono preferire gli ornamenti superflui delle chiese e la suppellettile preziosa del culto divino. Al contrario, potrebbe essere obbligatorio alienare questi beni per dare cibo, casa e vestiti a chi ne è privo. Così dicono alcuni documenti ecclesiali. Ora, in tempo di crisi, sarebbe bene che la Chiesa desse il buon esempio in fatto di sobrietà. E, per aiutare i poveri, utilizzasse non solo i contributi dei fedeli e dello Stato, ma anche i propri beni. Una cura dimagrante sarebbe opportuna anche per lei.
Carlo M.
Se dopo tantissimi anni non le è giunta la risposta del suo prete, forse la domanda era mal posta. Assecondava pregiudizi e luoghi comuni. Con scarsissimo fondamento. L’invito a maggiore sobrietà e condivisione dei propri beni è, comunque, sempre valido. Non solo per i preti. Contro la tentazione di adagiarsi nel benessere. O illudersi nella ricchezza, trascurando i poveri. A fronte di qualche “controtestimonianza” (la Chiesa è fatta di uomini peccatori), ci sono esempi splendidi di condivisione e comunione. Il cardinale Tettamanzi ha donato i propri beni a favore dei poveri. In questi giorni, nella diocesi di Locri-Gerace, i sacerdoti hanno deciso di autotassarsi. E destinare una parte del loro stipendio o della loro pensione “ai più poveri tra i poveri”. Un piccolo gesto pubblico, oltre a quanto già fanno nel silenzio, aiutando tante famiglie bisognose.
Pubblicato il 06 dicembre 2011 - Commenti (27)