di Don Sciortino
Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.
26 apr
Sono d’accordo con il presidente della
Repubblica nel definire indegni dell’Italia
evasori e speculatori. Ma, ancor più indegni,
sono i politici corrotti che hanno tradito la
fiducia dei cittadini. Piuttosto che dedicarsi
al risanamento del Paese, si sono occupati
solo dei propri affari, appropriandosi di
soldi pubblici per pagarsi case, auto, diplomi,
lauree... Politici che hanno contribuito, in
maniera determinante, al declino dell’Italia.
Eppure, non si vergognano. Anzi, continuano
a restare al loro posto. E a condizionare
l’operato di quei “tecnici” che, tra mille
ostacoli, stanno tentando l’ultima carta
per non far scivolare l’Italia nel baratro.
Che cosa dobbiamo aspettarci? Dobbiamo
temere il ritorno degli stessi politici, corrotti
e indegni?
Silvano B. - Cuneo
A mio parere, i partiti non possono
incassare i rimborsi elettorali già previsti.
Quei soldi sono risorse sottratte alle
famiglie. Gli sperperi e la corruzione che,
in continuazione, vengono a galla sono
una provocazione continua nei confronti di
lavoratori e pensionati, cui abbiamo chiesto
tanti sacrifici. Faccio parte della Caritas
parrocchiale e, mi creda, ogni giorno
incontriamo tanta disperazione. Gridiamolo
forte in tutte le piazze, e con tutti i mezzi:
«Quei soldi si devono restituire alle famiglie»!
Silvia A. - Lecco
A qualche politico, che pensa di rifarsi la verginità,
dopo anni di permanenza al governo in
ruoli di primissimo piano, e dichiara di non voler
ritirare a luglio i soldi dei rimborsi elettorali,
bisognerebbe ricordare che restituisce semplicemente
ciò che non gli sarebbe mai spettato. Se
una legge “truffa” non avesse aggirato la volontà
degli italiani, che si erano opposti al finanziamento
pubblico dei partiti. Ora, a scandali in
corso, tutti fanno le “verginelle”. Pensano di
darla a bere ai cittadini con i loro buoni propositi
di trasparenza e controllo sull’uso dei soldi
pubblici ai partiti. Purtroppo, non hanno più
credibilità. Ogni giorno, è sempre peggio per ruberie
e scandali che vengono a galla. Senza un
radicale segnale di ravvedimento e di rinnovamento,
questi partiti rischiano la morte. Non
per colpa dell’antipolitica e del populismo. Che
pur ci guazzano. Ma per responsabilità proprie.
Per eccesso di ingordigia di risorse pubbliche.
Anche in tempi grami, come quelli attuali.
Pubblicato il 26 aprile 2012 - Commenti (13)
25 apr
Tutto fa spettacolo. Soprattutto la morte di un calciatore
venticinquenne. Sabato scorso, mentre giocava, si è spento un
giovane centrocampista del Livorno. La spettacolarizzazione della
morte è stata una sorta di esorcismo globale. Eppure, ogni giorno,
migliaia di bambini muoiono di sete e di fame. Un vero dramma.
C’è, forse, una morte che sia “meno morte” di altre? Non sarebbe
stato meglio, anche nei confronti di Pierpaolo Morosini, essere
un po’ più sobri? Non tutto deve fare spettacolo. La vita non può
essere svenduta, a beneficio dei mass media.
Mario
Sono rammaricato di come qualche telegiornale ha dato la notizia
della morte del giocatore Morosini. I giornalisti hanno mancato di
rispetto a lui e ai suoi cari. Ormai, in Tv ci stiamo abituando a tutto.
Non c’è più pudore né
rispetto per la sofferenza
o per la morte. Morosini,
prima d’essere un calciatore,
è un uomo. Non è giusto
aver mostrato, con
insistenza e morbosità,
primi piani del giocatore
morente. Con l’obiettivo
della telecamera a scrutare
ogni minimo particolare di
questo dramma. Non si può
sbattere in faccia al pubblico
la morte in diretta,
per ragioni di audience.
È una gravissima mancanza
di etica. E di rispetto
della dignità umana.
Francesco B. - Aquila
Come non condividere queste osservazioni, così umane e rispettose
della dignità della persona e dello sfortunato calciatore Pierpaolo Morosini?
La vita sembra essersi accanita su di lui. La situazione familiare
non gli ha risparmiato sofferenze, lutti e tragedie. Ma anche la sua
morte improvvisa su un campo di calcio non è stata esente da polemiche
e speculazioni. Non solo per la tempestività dei soccorsi, ma soprattutto
per la strumentalizzazione mediatica che ne hanno fatto i mass
media. Quando la tragedia e la morte sono spettacolarizzate, per ragioni
di audience, non possiamo più parlare di informazione o diritto
di cronaca. È solo bieco cinismo, di cui vergognarsi. Dal calciatore Morosini,
invece, ci viene una lezione di dignità per come è vissuto, riuscendo
a non soccombere alle dure prove della vita.
Pubblicato il 25 aprile 2012 - Commenti (1)
18 apr
Ancora una volta,
l’indignazione esplode
prepotente di fronte
allo spettacolo di un partito che,
da quando esiste, ha sempre
sparato contro “Roma ladrona”.
E ora anche “farabutta”. Ma chi si
spacciava per “puro” ha finito per
usare i denari dei contribuenti per
pagare di tutto: case, diplomi,
lauree, auto di lusso, scuole
private... Come rimediare a tutto
ciò? Non basta affermare che «chi
ha sbagliato paga». O che «non
guarderemo in faccia nessuno».
E via scherzando! Ormai la politica
ha toccato il fondo. Non ha più
un briciolo di etica. Mi auguro che
tanti elettori leghisti provino la
mia stessa indignazione. Contro
questa metastasi, ci vuole un vero
sussulto da parte di tutti gli onesti.
Prima che la “barca Italia” vada
davvero a fondo.
Mario M.
I primi a indignarsi dovrebbero essere i
militanti leghisti, che ci hanno messo l’anima
e il cuore, nonché tanti sacrifici e soldi,
per sostenere l’ideale padano, oggi così
miseramente deturpato. La loro “fede” è
stata ferita. Tradita come non mai. Né basta
qualche apprezzabile e scontato buon
proposito a raddrizzare la barca, che fa
acqua da tutte le parti. Se la pulizia va fatta,
per essere credibile, dev’essere totale. E
non selettiva. Sia pure per salvare una
“trota” di papà. Più che vantarsi ora di
qualche “passo indietro” da cariche istituzionali
e politiche, per riaffermare la differenza
dagli altri partiti, bisognava resistere
e opporsi prima a qualche candidatura
“familista”. In Regione e con lauto stipendio,
senza alcun merito. Anzi! Ma dov’erano
allora coloro che oggi si apprestano a
prendere le redini del partito? Troppo facile
scalciare un leone ferito!
Pubblicato il 18 aprile 2012 - Commenti (15)
17 apr
Sono un giovane insegnante di
Lettere e Religione nella Scuola
secondaria. Dopo l’intervento di
Celentano al Festival di Sanremo, i miei
ragazzi mi hanno chiesto come mai
la rivista si chiami Famiglia Cristiana.
La maggior parte di loro pensano
che sia un settimanale solo per preti
e suore. O, comunque, per “addetti
ai lavori”. Inoltre, sostengono che,
in un contesto pluralista, l’aggettivo
“cristiana” può sembrare elitario.
Ho cercato di dire loro, secondo
l’intuizione del beato Giacomo
Alberione, che Famiglia Cristiana «non
deve parlare solo di religione, ma di
tutto cristianamente». E che, quindi, c’è
posto per tutto!
Sandro P. - Vicenza
Grazie, caro Sandro, per la risposta corretta
data ai tuoi studenti. Sì, Famiglia Cristiana
«parla di tutto cristianamente». O,
in altre parole, non parla solo di religione,
ma di «tutto quello che è vero, nobile, giusto,
puro, amabile, onorato, quello che è
virtù e merita lode», per usare le parole di
san Paolo (Fil 4, 8-9). Forse, come Gesù disse
ai primi apostoli «venite e vedete», si potrebbe
dire ai tuoi studenti «provate e giudicate
». Solo così si supera la non conoscenza
o il pregiudizio che la nostra sia
una rivista per preti, suore e “addetti ai lavori”.
E che parla solo di religione. Fin dalla
sua origine, nel 1931, Famiglia Cristiana
si è rivolta alle famiglie e a ogni componente
della famiglia. Per tutti ha una parola
interessante. Basta sfogliarla. Quanto
all’aggettivo “cristiana” che campeggia
nella testata, accanto al sostantivo “famiglia”,
esso rappresenta la nostra “bandiera”.
È la nostra identità. Il modo con cui
leggiamo i fatti della vita e della cronaca
quotidiana. In una società pluralista ci distingue,
ma non ci restringe gli orizzonti.
È, semmai, un surplus di responsabilità,
tra tanta stampa frivola. Tra i nostri lettori
non ci sono solo cattolici e praticanti. Ci
leggono tantissimi non credenti. E ci apprezzano
per la coerenza e la credibilità.
Ma anche per la nostra autonomia e libertà
di giudizio, nella ricerca sincera della verità.
Senza pregiudizi.
Pubblicato il 17 aprile 2012 - Commenti (6)
12 apr
Le voglio raccontare una storia a lieto fine, che mi
piacerebbe fosse letta dal signore di Padova, che
le ha scritto (FC n. 13/2012). Nostro figlio (unico),
a diciannove anni ci ha comunicato che non avrebbe
più frequentato la Messa e i sacramenti. Noi abbiamo
rispettato la sua scelta, come ha scritto anche lei,
pensando che sarebbe stato controproducente
obbligarlo. Era un ragazzo normale: studio, amicizie,
uscite il sabato sera. Non ci ha mai dato problemi.
Anche se capivo che era insoddisfatto. Per la Giornata
mondiale della gioventù, a Roma nel 2000, abbiamo
ospitato due ragazzi olandesi. Lui s’era preso il compito
di accompagnarli. Così ha partecipato ad alcune Messe.
Dopo quell’evento, ci è sembrato che tutto fosse
tornato come prima. Così non è stato. Il Signore stava
lavorando per la sua rinascita. E dopo tanto travaglio,
l’esito è stato sorprendente. Non solo mio figlio
è tornato alla fede, ma è entrato in seminario.
E l’anno prossimo sarà ordinato sacerdote.
A.B.
Caro don Antonio, la sua risposta al lettore
di Padova preoccupato per i suoi figli, che non
partecipano più alla Messa, mi ha lasciato perplesso.
Lei ha scritto che la fede quando diventa obbligo è
controproducente. Mi chiedo: se anche la scuola fosse
una libera scelta, crede che i miei figli vi andrebbero?
I miei genitori mi hanno insegnato a “santificare
le feste”. Ai miei tempi, la domenica non ci mettevamo
a tavola se non eravamo andati a Messa. Sarà stata una
costrizione, ma oggi sono grato ai miei genitori. Anche
il mio parroco dice sempre di non costringere i figli ad
andare a Messa. Ma il risultato è che in chiesa non ci va
più nessuno. Io credo che un genitore dovrebbe dare
ai figli quello che ritiene utile per loro.
CESARE
Le vie del Signore non sono le nostre. E sono
anche infinite. Egli lavora nel silenzio e non ha
fretta. Lascia che le decisioni maturino al momento
giusto. E, soprattutto, senza costrizioni.
Non può esserci merito dove a prevalere è l’obbligo
e non una libera scelta. Così è per la crescita
e la maturazione della fede dei nostri ragazzi.
La prima preoccupazione non dovrebbe essere
quella di riempire, comunque, le chiese. Ma
formare cristiani adulti, maturi e consapevoli,
che sappiano dare ragione della propria fede.
La partecipazione alla celebrazione eucaristica,
la domenica, seguirà poi come un bisogno, una
necessità di cui non possiamo fare a meno. Per
attingere dall’Eucaristia quella forza e alimento
necessari per essere veri testimoni nella società.
Purtroppo, oggi, i cristiani sembrano dissociati
tra quanto vivono nelle liturgie e gli stili di
vita pubblica, poco evangelici.
Pubblicato il 12 aprile 2012 - Commenti (16)
04 apr
Carissimo don Antonio, grazie per quanto
ha scritto nell’editoriale “Tagli alle spese
militari, è solo fumo negli occhi” (FC n.
13/2012). Il suo coraggio nel dire la verità,
mi rende orgogliosa di appartenere a questa
Chiesa, con persone come lei. È importante
ricordare ai politici che è ingiusto spendere
tanti soldi per le armi. Il Paese ha altre
priorità. Come responsabile di una
Confraternita di Misericordia, mi
complimento con Famiglia Cristiana anche
per la difesa del servizio civile, ultima
e dimenticata dimensione formativa per
i nostri giovani. Ricordo, con soddisfazione,
le sue rimostranze verso quel ministro “delle
dimissioni annunciate”, per non aver mosso
un dito a favore di una società più solidale.
Anche oggi, con altri responsabili politici, lei
non le manda a dire. Le sue critiche, precise
e circoscritte, le fanno onore come cristiano.
Non molli e non ci abbandoni. Continui
a non farci vergognare di essere cristiani.
Vogliamo camminare sempre a testa alta.
Giancarlo G. - Arezzo
Quando un Paese, come l’Italia, è alle prese
con una gravissima crisi economica, che getta
nella disperazione numerose famiglie con figli
e le fasce più deboli della popolazione, è immorale
spendere miliardi di euro per le spese militari.
Ci sono altre priorità da rispettare. In cima
non ci sono i costosissimi bombardieri F35, di
cui possiamo fare tranquillamente a meno. Soprattutto
in una rinnovata concezione della difesa
dello Stato. E destinare quei soldi alle politiche
del Welfare, su cui sono in atto tagli da vera
“macelleria sociale”. Per risollevare le sorti
del Paese, le famiglie non possono essere spremute
come limoni. Ormai non resta che cavargli
il sangue. Cosa possono dare di più, a secco
come sono, senza lavoro e soldi per il cibo quotidiano?
La scure va calata, anche pesantemente,
là dove si sperperano tante risorse pubbliche.
Sull’acquisto delle armi e sull’elefantiaca
burocrazia statale. Ma anche sui partiti e i loro
cospicui rimborsi, soldi che andrebbero restituiti
ai cittadini. Se ancora sussiste nel Paese un
briciolo di decenza e dignità.
Pubblicato il 04 aprile 2012 - Commenti (14)
03 apr
Ho sedici anni e frequento la seconda
liceo presso una scuola statale. Prima
frequentavo un istituto paritario cattolico
che, come tanti altri, ha dovuto cessare
la sua attività. Quando sono arrivato nella
nuova scuola, assieme ad altri studenti,
non siamo stati accolti nel migliore
dei modi. Ci prendevano in giro perché
provenivamo da una scuola religiosa.
Ci siamo scontrati anche con gli insegnanti,
che non accettavano i nostri metodi
di lavoro. Abbiamo constatato molta
superficialità. Svolgono il loro ruolo non
come una missione. Sembra che lo facciano
solo per lo stipendio. L’insegnante deve
avere carisma, deve essere un’autorità
morale, saper andare al di là delle nozioni.
Oggi si elogia tanto la scuola statale,
ma non ha niente di più di quella cattolica.
Anzi, spesso sembra avere smarrito il suo
“scopo”.
Tommaso M.
Non giova a nessuno la contrapposizione
tra scuola statale e paritaria. Entrambe svolgono
un ruolo pubblico. E come tali devono essere
considerate. E anche sostenute dallo Stato.
Considerare private le scuole cattoliche è
concezione errata, perché il loro servizio è pubblico.
Spero si possa arrivare, quanto prima, a
riconoscere questo dato. Anche per evitare che
molte altre scuole cattoliche, come la tua, caro
Tommaso, siano costrette a chiudere per impossibilità
di sostenere i costi. I genitori devono
poter avere la libertà di scegliere la migliore
offerta formativa, senza dover pagare una
seconda volta se mandano i figli in una scuola
paritaria. Il nodo «senza oneri per lo Stato»,
scritto nella Costituzione, si scioglierebbe se solo
si badasse al bene degli studenti e delle famiglie
e non alle ideologie. Quanto agli insegnanti,
essi devono essere consci della responsabilità
che hanno e del delicato compito che
svolgono nella società. Nelle loro mani si formano
i cittadini del domani.
Pubblicato il 03 aprile 2012 - Commenti (1)
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