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set
Così può finire una vita
Qualche tempo fa, mia sorella veniva
trasferita in una struttura di lunga
degenza nei dintorni di Roma. Una sera,
ci chiamarono perché si annunciava il suo
tramonto. Ci precipitammo al suo capezzale.
Aveva la mascherina d’ossigeno. A un certo
punto, fummo invitati ad abbandonare
la struttura. Il regolamento non permetteva
la nostra permanenza oltre l’orario di visita.
Ci fu detto semplicemente: «Forse, ha ancora
qualche ora di vita. Quando mancherà,
ci penseremo noi a lavarla e comporla,
e a portarla nel sotterraneo, ove domani
potrete vederla». Invano, ho insistito per
restare. Per un’ultima vicinanza o gesto di
affetto. Poi, con una lettera, ho manifestato
il mio disappunto al responsabile della
struttura. Non ho mai avuto una risposta.
Mi consta che comportamenti simili non
siano isolati in certe strutture. E perfino in
qualche ospedale. Invocare i diritti umani
per i lontani è facile. Ma qui da noi si muore
come cani. Nel falso rispetto delle regole.
E tutti a far finta di nulla.
Angelo A. - Roma
Quando il rispetto delle regole contrasta
con i più elementari diritti delle persone, c’è
qualcosa di irrazionale e assurdo. Difficile da
capire. Tanto meno da giustificare. Soprattutto
quando si ha a che fare con la sofferenza o
con situazioni estreme come la morte. Non c’è
ragione che possa annullare sentimenti di
umanità e compassione. E privare le persone
di quei momenti intimi con chi sta lasciando
per sempre la vita. Una burocrazia ottusa è
peggio di tanti cattivi comportamenti.
Pubblicato il 11 settembre 2012 - Commenti (4)