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nov

Lamentarsi non basta

Sono una giovane lettrice diciottenne, molto contrariata per le lettere dei lettori. Non ne posso più di persone che si lamentano di tutto. Dalla politica alla Chiesa, dalla giustizia alla scuola. Basta! Ma perché non si danno da fare per cambiare le cose che non vanno? Se ci lamentiamo noi che viviamo nei ricchi Paesi del Nord, che devono dire i popoli dell’Africa o dell’Asia che muoiono di fame e malattia? Noi italiani, ahimè, siamo solo capaci di brontolare. Ma quando abbiamo i mezzi per agire, non facciamo nulla. Un grande uomo diceva: «Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo». Mi scusi per la sfuriata.

Giovane lettrice

La lamentela per la lamentela non ha senso. È solo distruttiva. Spesso una lagna insopportabile. C’è chi comincia a dolersi non appena mette piede a terra dal letto. Non gli va bene nulla. Malumore che travasa poi al lavoro, dove arriva già stanco prima ancora di cominciare. Ma la giusta protesta è cosa ben diversa dalla sterile lamentela. È la denuncia, non solo a parole, delle ingiustizie, falsità e ipocrisie che ci circondano. Forse, ci siamo indignati troppo poco di fronte a tanti soprusi. Abbiamo girato lo sguardo altrove. Non vogliamo vedere povertà, discriminazioni, intolleranze. Cara diciottenne, non perdere così presto la “santa indignazione”. Se vuoi, davvero, dare una mano a cambiare il mondo. Ed essere tu stessa il cambiamento.

Pubblicato il 16 novembre 2011 - Commenti (10)

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Postato da brunoi il 23/11/2011 16:52

le parole della giovane lettrice sono piu'profonde di quanto si pensi.Ha ricordato la frase di un grande uomo: "Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo" e ricorda che anche quando si hanno i mezzi non si fa' nulla. Ragionassero cosi tanti giovani di oggi che si aspettano tutto dagli altri.

Postato da Chiara Borsato il 22/11/2011 22:49

Ci siamo indignati troppo poco finora, non è giusto lamentarsi e stare immobili ma è sacrosanto urlare per quello che non va, proprio per non dimenticare quelli che stanno peggio, e che non hanno la forza di farlo.

Postato da giorgio traverso il 22/11/2011 18:40

alla giovane lettrice,vorrei dire per prima cosa di firmarsi,e di non avere paura dele sue azioni,l'anonimato è indice di viltà.seconda cosa se ha mai lavorato in vita sua,e vorrei conoscere il suo tenore di vita.ci saranno degli eccessi,in certe proteste,però sono sacrosante.alla giovane lettrice,vorrei dire che non tutti possono andare a studiare alla bocconi a mio parere bisogna dare a tutti le stesse opportunità.

Postato da brunoi il 22/11/2011 14:43

se non erro la giovane lettrice ha detto che non bisogna limitarci a brontolare,ma dovremmo impegnarci in prima persona 'per cambiare le cose che non vanno. Don Sciortino da sacerdote poteva anche dire che se vogliamo cambiare la societa'dobbiamo cominciare a cambiare noi stessi. Vedo troppi "indignati" in giro che non danno esempio di onesta' e sobrieta' Sono dalla parte della lettrice.Brava,hai detto quello che pensiamo in tanti.

Postato da Profe il 21/11/2011 16:04

Concordo con Sciortino e Sardan: se non ci si indigna per le ingiustizie o la corruzione, si rischia di non prenderle sul serio! Ci sono momenti in cui occorre mostrare pubblicamente la propria indignazione, almeno nelle parole: chi dimentica la forza con cui Giovanni Paolo II ha “chiesto” ai mafiosi di convertirsi? Poteva chiederlo con delicatezza, cautela, prudenza ecc. invece ha usato un tono indignato! Rispondere alla corruzione morale (proposta dai politici e dai media come vincente) con l'invito a comprendere le debolezze umane è fuorviante: mi ricorda l'invito alla rassegnazione e al perdono a chi in famiglia subiva maltrattamenti o tradimenti. L'indignazione insomma è la molla che fa scattare la denuncia e sorgere un movimento di riprovazione pubblica: serve a dare forza a chi scopre che certe situazioni sono diventate intollerabili. Parlandone pacatamente, il problema non sembra pericoloso, e così l'empio continua ad agire indisturbato. Perchè ci siamo indignati per i comportamenti licenziosi di B? Primo perchè lui stesso li ha resi pubblici proponendoceli come esempi di uomo virile (e qui c'è tutto il discorso sul maschilismo e sulla dignità delle donne), ma soprattutto perchè ha “retribuito” con incarichi pubblici le sue favorite, il che non significa solo denaro pubblico, ma che ai posti di responsabilità non sono state proposte brave persone, per le loro idee e/o senso dello Stato, ma ragazze da sistemare (e qui il discorso riguarda gli incarichi pubblici intesi come ricca sistemazione per sé e famigliari, come sta diventando la politica italiana).Possiamo denunciare il male con la dovuta forza, come facevano un tempo i profeti? O è più cristiano perdonare e invitare alla pazienza?

Postato da SIBERENE1973 il 21/11/2011 12:16

Probabilmente è difficile non indignarsi in questo momento storico così particolare. Ma per tanta gente come me questo settimanale è uno strumento immenso soprattutto di speranza, per cui dobbiamo sforzarci di fare si le critiche ma sempre proponendone una possibile soluzione. Possiamo e dobbiamo, nel nostro piccolo, fare al meglio la nostra parte e rendere più vivibile e bello l'ambiente in cui viviamo.E' come un mosaico che prende forma poco alla volta...

Postato da Sardan il 18/11/2011 06:40

Sono indignato, eccome! Per il male che vedo in Italia e nel mondo! E la mia indignazione non si tramuta in distruzione ... Certi "ragionamenti" dei commenti, in passato, sono serviti ad una forma di acquiescenza verso chi praticava egoismo e ingiustizia. E ciò non penso rispondente al messaggio di Cristo. Sono d'accordo con la risposta di Don Sciortino. Sardan

Postato da Franco Salis il 17/11/2011 07:30

In direttore dice"La lamentela per la lamentela non ha senso. È solo distruttiva. Spesso una lagna insopportabile. C’è chi comincia a dolersi non appena mette piede a terra dal letto. Non gli va bene nulla. Malumore che travasa poi al lavoro, dove arriva già stanco prima ancora di cominciare" giuso, però attenzione potrebbe o e per lo più è una patologia,allora più comprensione e invito alla cura.Buona giornata.

Postato da Libero Leo il 16/11/2011 23:47

Pare che don Sciortino ci inviti alla indignazione. Ma la indignazione può essere il primo passo verso la violenza. Infatti, se la indignazione non dà risultati, è facile che si passi alla rivendicazione, e poi alla protesta pacifica, alla protesta violenta, alla rivoluzione ed infine alla guerra. Non mi pare che Gesù ci inviti alla indignazione. Forse egli si indigna solo verso i farisei (“fate quel che dicono, ma non fate quel che fanno”) ed i mercanti nel tempio, cioè verso coloro che usano la chiesa e la religione per raggiungere i loro scopi personali, che possono essere non solo i guadagni, ma anche il successo, l’imporre le proprie idee, il potere, ecc.. Il Vangelo di domenica scorsa ci presenta la parabola dei talenti, attraverso la quale Gesù ci invita ad impegnarci comunque, senza indignarci se abbiamo ricevuto un solo talento. Pare che ci dica che è normale che in questo mondo non ci sia la giustizia. Pare che ci inviti ad accettare quella che a noi sembra ingiustizia (un solo talento invece di cinque), e che il più delle volte potrebbe non essere ingiustizia. Perciò, se vediamo qualche situazione che ci sembra ingiusta, non indigniamoci e serenamente manifestiamo il nostro pensiero dialogando e cercando di capire gli altri, tenendo presente che potremmo essere in errore. Se poi siamo convinti che la situazione può essere migliorata, con serenità e senza indignazione, impegniamoci per migliorarla. Infine, se non ci riusciamo, non indigniamoci, ma accontentiamoci nella serena consapevolezza di esserci impegnati al massimo per quello che a noi sembra il bene comune.

Postato da Andrea Annibale il 16/11/2011 23:27

“Il male va bene fino a quando non tocca a me”. In quanti, da più giovani, abbiamo ragionato così? Più che ipocrisia, è codardia. Ne La collina dei conigli, di Adams, 1972, i conigli liberi soffrono ogni disavventura e devono conquistarsi tutto nella libertà. I conigli invece in schiavitù hanno superato apparentemente ogni problema: hanno da mangiare a iosa e senza sforzo salvo che ogni tanto uno di essi sparisce per la mattanza. Ma io immagino che gli altri esclamino: “Non è toccato a me!”. Lo stesso vale per chi perde i soldi per il fallimento di una banca, per chi perde il lavoro, per chi perde una persona cara per un incidente automobilistico eccetera. Qual è dunque il modo giusto di ragionare? In Isaia il Messia è descritto come servo sofferente, l’uomo dai molti dolori che ben conosce il soffrire e si adossa i peccati della collettività. Al SERMIG di Ernesto Olivero la Croce della piccola Chiesa interna è detta “croce dei dolori del mondo”. Siamo chiamati ad essere conigli liberi, che affrontano ogni giorno le difficoltà della vita, consapevoli che, per tutelare la nostra libertà, non dobbiamo lasciare indietro nessuno. Facebook: Andrea Annibale Chiodi; Twitter: @AAnnibale.

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Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.

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