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lug
Maternità da difendere. Anche sul lavoro
Dal 1987 lavoro in un grande ospedale del Nord, uno di quelli dove la gente accorre da tutta Italia. E pure dall’estero. Anche qui il rispetto e la dignità di noi dipendenti sono calpestati. Sono stata spostata di reparto una decina di volte, di cui tre solo perché ho avuto la “cattiva idea” di fare dei figli e usufruire del congedo maternità. Ho visto colleghi umiliati in pubblico, davanti a pazienti e medici. Sono stata denigrata dalla mia caposala, per qualche giorno di malattia. Eppure, non era cosa leggera. Ho assistito al dolore di colleghi ai quali non è stato rinnovato il contratto. Clientelismo e nepotismo la fanno da padrone. I turni sono massacranti. La notte dura undici ore, senza soste. Non esistono festività. Se non lavorasse anche mio marito, lo stipendio non mi basterebbe a mantenere la famiglia.
Una lavoratrice
È una delle tante lettere giuntemi, dopo che ho pubblicato i lamenti d’una giovane lavoratrice che, in fabbrica, si sentiva trattata come un numero e non come persona. Cambiano i luoghi, ma le proteste si rassomigliano.Tra tutte, quella che più fa male, è la scarsa considerazione che ancora si ha della maternità. Che non viene affatto favorita, come si dovrebbe in un Paese civile, ma è biecamente considerata come un ostacolo alla produttività. E, per questo, penalizzata. Anche con mezzi subdoli. In Italia le donne sono costrette a dover scegliere tra maternità e professione. Manca una politica familiare orientata ai figli e al rispetto della vita. In questo siamo davvero masochisti, perché il Paese ha il tasso di natalità più basso al mondo. E senza figli non c’è futuro, né speranza di un domani migliore. Altro che produttività!
Pubblicato il 20 luglio 2010 - Commenti (1)