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ago
La Chiesa italiana non può tacere. Anzi,
dovrebbe farsi portavoce della rivolta
morale di tanti credenti. Il degrado etico
è sotto gli occhi di tutti. Assistiamo, ogni giorno,
alla mercificazione del corpo delle donne,
all’uso della comunicazione per manipolare
fatti e notizie a proprio beneficio, alla denigrazione
del dissenso attraverso la macchina del
fango. Il potere non è più a servizio dei cittadini.
La legalità è piegata a interessi individuali.
Si fa esibizione sfacciata della ricchezza.
La corruzione dilaga negli appalti pubblici. E
i diritti dei più deboli sono elargiti come assistenza.
Tra morale personale e pubblica c’è
ampio divario. La stessa religione è usata e strumentalizzata.
I poteri dello Stato si delegittimano
l’un l’altro. E la democrazia è ridotta a demagogia
mediatica e populismo.
Per tutto ciò, la Chiesa è chiamata a far trasparire
la sua funzione profetica. Altrimenti,
verrebbe meno alla propria vocazione. Non si
può scambiare la prudenza con la diplomazia
del silenzio. Né ci si può estraniare, quando
sono in ballo valori evangelici. Sant’Ambrogio
lasciò fuori dalla chiesa l’imperatore Teodosio,
reduce dalla strage di Tessalonica. San
Leone Magno fermò Attila, che marciava su
Roma. Cara Chiesa non tacere! Se non ora,
quando?
Gian Mario - Macerata
È difficile, purtroppo, contestare la tua analisi,
caro Gian Mario. Il nostro Paese versa
in uno stato di profondo “coma etico”.
Il degrado morale, soprattutto quando alberga
in alto, rischia d’essere devastante nei confronti
delle nuove generazioni. I cattivi esempi, come
i vizi, fanno facile presa. Per questo, tu esigi
una denuncia netta da parte della Chiesa. Dai
pastori ai semplici fedeli.
L’attuale degrado è segno di una profonda
crisi morale. Tra le conseguenze, c’è il diffondersi
di un “pensiero debole”, che considera normale
la prevaricazione. E il progressivo affermarsi
di una mentalità utilitarista, che elimina la distinzione
tra ciò che è giusto e ingiusto. Per ridurre
tutto a interessi e tornaconto personale o
di gruppo. D’altra parte, se abbiamo uomini
delle istituzioni compromessi con legalità, giustizia
e malcostume, che non si preoccupano del
bene comune ma solo dei propri affari, tutto ciò
(e altro ancora) non piove dal cielo.
Se la classe politica è allo sbando, una giusta indignazione deve chiamare in causa anche quei cattolici che appoggiano provvedimenti inconciliabili con i diritti umani e i princìpi evangelici. A dire il vero, la Chiesa istituzione, in più occasioni, s’è pronunciata con forza su importanti questioni sociali: famiglia, lavoro, migranti (irregolari e rom). E, più ampiamente, sull’attuale modello di sviluppo, che dilapida le risorse naturali. E accresce le disuguaglianze tra i Paesi ricchi e quelli poveri.
Non sono mancati ripetuti richiami del Papa e dei vescovi ai cattolici che militano nei diversi partiti e schieramenti, perché siano coerenti al Vangelo e ai valori morali che professano. La missione della Chiesa non può essere altra che annunciare il Vangelo e i valori di uguaglianza, giustizia e fraternità che ne derivano. Una missione profetica. E, quindi, necessariamente critica. Forse, non sempre la Chiesa è intervenuta in modo tempestivo. E con voce netta, senza balbettare.
Il vero problema è chiedersi quanto le direttive del Magistero siano alla base dell’agire dei cattolici in politica. In qualunque schieramento e partito essi militino. E, soprattutto, qual è la formazione a un’autentica coscienza sociale della comunità cristiana. A cominciare dalla parrocchia, nel suo ruolo insostituibile di formare le coscienze. In vista di comportamenti competenti e onesti, sia nella sfera privata che in quella pubblica. In questa direzione, l’esito dei recenti referendum ha segnato un risveglio delle coscienze. E manifestato una maggiore partecipazione alla vita del Paese. Senza eccessive deleghe. Soprattutto in bianco. È tempo, semmai, di chiedere conto del loro operato a chi ci rappresenta in Parlamento. Nonostante l’esproprio del diritto a votare, dopo l’ignominiosa “legge porcata”. Da abolire quanto prima. Un altro segnale l’hanno dato le donne, con il loro sussulto di dignità, sfociato nelle manifestazioni di “Se non ora quando?”. La voglia di cambiamento si avverte nell’aria. Il soffio di una nuova primavera spira forte.
D.A.
Pubblicato il
10 agosto 2011 - Commenti
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27
giu
Sono un affezionato lettore da molti anni e le scrivo per avere un parere sulle multe che l’Autorità della comunicazione ha dato ad alcuni Telegiornali per aver violato la legge sul regolamento elettorale. Tra questi spicca il Tg1 con un’ammenda di 258.000 euro. Chi pagherà, realmente, questa multa?
Come sempre, i soldi saranno presi dal canone. Noi cittadini, oltre a pagare fior di stipendi ai direttori dei notiziari televisivi, ci facciamo carico anche dei loro errori. Perché non tirano fuori un soldo di tasca propria? Altrimenti, con un atto di umiltà, si dimettano, non essendo stati all’altezza dell’incarico ricevuto. Perché non si applicano in Tv le buone regole civili che valgono per tutti in società?
Amedeo Z. - Vicenza
La Tv pubblica si sta degradando a livelli mai toccati in passato. Per via di una logica che non risponde al bene degli utenti, ma agli interessi dei politici. Senza distinzione di colore, perché a ogni cambio di Governo si perpetuano gli stessi mali. A cominciare dalla lottizzazione e dalla mortificazione delle competenze professionali. Contro le stesse leggi di mercato e dell’editoria, il servilismo è premiato più della bravura. Complici gli stessi giornalisti, senza più dignità ed etica, che a ogni cambio fiutano l’aria che tira, per farsi trovare già proni davanti al potente di turno. Sarebbe bene ricordare a chi spadroneggia in Tv che i veri “padroni” cui rispondere sono i cittadini, che pagano il canone.
Pubblicato il
27 giugno 2011 - Commenti
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