di Don Sciortino
Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.
27 nov
In questo periodo di tagli all’occupazione, lavori
precari, aumento di tasse e tariffe, il peso della crisi
si sta scaricando sulle famiglie. Ma nessuno fa nulla
di concreto per aiutarle. Solo chiacchiere. Il Presidente
del Consiglio che è buon cattolico, e il ministro per
la Cooperazione internazionale e l’integrazione, con
delega per la famiglia, fanno ben poco. Nonostante
l’impegno della Chiesa, non ci sono proposte concrete
a sostegno della famiglia. Anche i sindacati e i politici
fanno finta di nulla. Si è appena svolto il Festival
della famiglia 2012 a Trento, cui ha partecipato
anche lei. Mi auguro che abbia sollecitato il Governo
a prendere misure concrete per le famiglie, con equità
e giustizia. Un’ultima cosa, infine: perché nella rubrica
“In tutta confidenza” non intervistate anche persone
“normali” come un disoccupato, anziani, studenti
e casalinghe? Anche loro avrebbero storie interessanti
da raccontare. A mio parere, sarebbe più in coerenza
col giornale.
Luigi C.
Se sei un lettore abituale, avrai notato che non manchiamo
occasione per richiamare l’attenzione di chi ci governa
a sostenere la famiglia. E a considerarla come la
cellula fondamentale della società. Da cui non si può prescindere,
pena il declino del Paese. Non abbiamo atteso
il Festival della famiglia di Trento per intervenire al riguardo.
Ogni giorno per noi è buono. Fino a quando
una mentalità “amichevole” verso la famiglia non prenderà
piede nel Paese. Ma concretamente. Non solo a parole
o con promesse. Cambiando tema, poi, di storie di persone
“normali” ne puoi trovare diverse sulla rivista. In
modo più approfondito di quanto avviene, con brevi domande,
nella rubrica “In tutta confidenza”.
Pubblicato il 27 novembre 2012 - Commenti (1)
02 mag
Ho cinquantotto anni e sono un cattolico praticante da sempre. Ho
appena finito di leggere la notizia che, in appena quattro mesi e
mezzo, ben ventitré imprenditori si sono tolti la vita per disperazione.
Una buona percentuale sono del ricco Nordest. Dati agghiaccianti.
Di fronte a una simile situazione, perché la Chiesa, che è chiamata
a difendere i più poveri e le persone in difficoltà, non alza nemmeno
un dito? Perché resta impassibile di fronte all’abuso di potere di chi
ci governa? Ce l’ho anche con quei politici cattolici che vanno a Messa
e poi, tranquillamente, pensano solo ai loro affari e interessi privati.
Hanno una bella faccia tosta! Sto perdendo fiducia in questa Chiesa
poco credibile, che non prende posizioni forti. D’altronde, le chiese
sono sempre più vuote e calano anche i cattolici praticanti.
Giovanni - Verona
“Padova, strangolato dai debiti impresario edile si uccide”; “Non riesce a
pagare gli stipendi, imprenditore si uccide”; “Gli affari vanno a picco, si uccide
il titolare di un minimarket”... Ogni giorno, sono queste le notizie che
fanno capolino, con più frequenza, sui giornali. Una vera escalation, che
non può lasciare indifferenti, ma deve scuotere le coscienze di tutti. Lo Stato
così sollecito nell’incassare i soldi dei cittadini, con qualche eccesso di intimidazione
per i più deboli, è sordo ai reclami di imprenditori che falliscono,
anche perché lo Stato non paga. La Chiesa è in prima linea, con Caritas e
parrocchie, in aiuto a famiglie e lavoratori in difficoltà. E si sprecano gli appelli
solidali. Non ultimo quello del cardinale Scola, per una maggiore attenzione
«al prolungarsi della crisi, con le sue drammatiche ricadute».
Pubblicato il 02 maggio 2012 - Commenti (23)
06 feb
Da lettrice accanita, anzitutto,
complimenti per la rivista. Nella
mia vita sono stata abituata a vedere
sempre il bicchiere mezzo pieno e non
mezzo vuoto. Di fronte alla grave crisi
che, in questi giorni, è sfociata negli
scioperi di camionisti, tassisti, pescatori,
avvocati... mi sono chiesta: «Se non
ho la benzina nella macchina,
se il supermercato non è fornito,
sarò capace di sopravvivere?». Oggi,
il mondo ci obbliga a vestire all’ultima
moda, ad avere tutte le novità
tecnologiche. Forse, sarebbe meglio
riscoprire la sobrietà dei nostri nonni,
che vivevano bene senza telefonino, Tv,
auto. Non abbiamo saputo far fruttare
al meglio le novità che la tecnologia ci
ha messo a disposizione. Ne abbiamo
abusato. Sono diventati una malattia.
Ora siamo dipendenti da Internet
e dalla posta elettronica. Un ritorno
al “passato” può farci apprezzare
il “presente”. Come per una torta fatta
in casa dalla mamma rispetto a quella
del supermercato. Quando dico in giro
che non sono andata in vacanza, tutti
mi guardano come fossi una mosca
bianca. Ma, forse, sono mosche bianche
anche quelli che la domenica non
vanno al centro commerciale a fare
la spesa, ma si sacrificano per gli altri.
O passano il pomeriggio al parco giochi
coi figli. Cose che aiutano non solo
il fisico, ma anche lo spirito.
M.T.
La crisi e i tentativi in atto per superarla mettono a nudo
non solo i nostri stili di vita, che sono stati al di sopra delle
possibilità economiche, ma anche il modello di società che
vogliamo costruire. Se economia e finanza sono finalizzate
solo al profitto e al consumo, i rischi di una società poco
umana sono alti. Se i provvedimenti sono a misura di famiglia,
allora un altro mondo è possibile. Più sano e solidale.
Più coeso e vivibile. Ma c’è anche un vero guadagno economico.
Il consumismo non è la soluzione di questa crisi. Ne è
la malattia, che l’ha originata. L’economia senza etica ha
conseguenze disastrose. Il rispetto della legalità, invece, ha
anche un ritorno economico. La crisi che ci costringe a fare
delle scelte può rivelarsi un’opportunità per cambiare modelli
di vita e di società. Forse, una maggiore sobrietà può
liberarci dalla schiavitù dei bisogni indotti. Spesso non necessari.
O dall’essere succubi della tecnologia e dei suoi ritrovati.
Oggi, si può essere obesi e bulimici non solo di cibo,
ma anche di Internet, Rete e Web.
Pubblicato il 06 febbraio 2012 - Commenti (2)
26 ago
La rivista mi fa tanta compagnia. Soprattutto in momenti così difficili per le famiglie. Spesso, assieme a mio padre, commentiamo gli articoli e troviamo conforto nel sapere che ci sono persone che combattono contro tanta precarietà economica. Da anni, ho dovuto tagliare molte spese. Anche quelle necessarie.
Mi arrabbio quando sento che i nostri politici, “poverini”, hanno rinunciato alle vacanze per occuparsi di noi. O, meglio, per cercare cosa ancora sottrarci per risanare il debito del Paese. Sono sedici anni che non faccio una vacanza. La mia famiglia non se lo può permettere. Dovevo aiutare i figli negli studi e finire di pagare il mutuo, con il solo mio reddito di dipendente comunale. Ho imparato a non vergognarmi nell’accettare i vestiti usati di qualche mia amica. Per fortuna, c’è ancora mio padre che ci sostiene negli imprevisti. Non voglio mostrare ai figli la mia tristezza, ma ci sono giorni in cui sono afflitta. Continui a levare la sua voce contro chi, per mantenere i propri privilegi, continua a tartassarci. La sua voce ci dà coraggio. Mantiene viva la speranza che, un giorno, qualcosa cambierà.
Anna Maria P.
Non c’è rabbia nella tua lettera, cara Anna Maria, ma tanta dignità, che non è rassegnazione. Sono famiglie come la tua, con tanti sacrifici, che tengono in piedi il Paese. E che non meriterebbero una classe politica così inetta e incapace, come l’attuale. Nei frangenti in cui è il Paese, se un politico avesse ancora la spudoratezza di lamentarsi per le ferie interrotte, ci sarebbe davvero di che indignarsi. Soprattutto, pensando a chi, come te, da anni non fa ferie. Mi piacerebbe poter pubblicare la notizia di uno o più parlamentari che hanno provveduto a “pagarti”, di tasca propria, una vacanza. Sarebbe un atto di giustizia. Cari onorevoli, c’è qualcuno che vuole ripulirsi la coscienza?
Pubblicato il 26 agosto 2011 - Commenti (1)
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