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Adesso che è terminata la campagna
pubblicitaria dell’otto per mille al
clero, lasciateci dire che lo spot non
ci è piaciuto. Siamo laici impegnati
nel volontariato come tantissime altre
persone, e ci è sembrato spudorato,
prima ancora che offensivo, che il clero
voglia apparire come l’unico soggetto
che si occupa di chi è meno fortunato.
Ancora una volta, disconoscendo o
sottovalutando l’apporto dei cristiani laici nella Chiesa.
Se dobbiamo basarci sulla nostra esperienza diretta,
non ci sembra che l’occupazione principale del clero
sia l’assistenza diretta ai meno fortunati. Ma sappiamo
che non è il loro compito principale. Ci è sembrato
che la Cei abbia posto l’accento sull’opera sociale
dei preti, perché questo tocca le coscienze e i portafogli
dei donatori. Nello spot si respira un clima cupo.
Non si dà l’idea della gioia del cristiano. Il prete
è solo. Ma che ne sarebbe di lui senza una comunità?
Alessandro e Margherita P. - Livorno
Ho visto sulla rivista una pubblicità che mi ha
sconcertata. Su uno sfondo tutto nero, a piena pagina,
risaltava la parola “Nessuno”, ripetuta tre volte.
E sotto, in piccolo, la domanda: «Se non ci fossero
i sacerdoti, al fianco di molti, chi ci sarebbe?». Come
a dire che, senza i sacerdoti, non ci sarebbe nessuno
a testimoniare l’amore di Dio verso il prossimo. La
realtà è ben differente. E sono tantissime le persone che
si dedicano al volontariato. Nel silenzio e nellagratuità.
Perché questo bisogno di dirsi “unici”, quasi fossero
una “casta”? Mi è parso un autogol.
Marisa S. - Verona
Osservazioni più che pertinenti. Ma non credo che chi
ha realizzato quella pubblicità volesse mettere in “santa”
competizione clero e laici, per verificare chi è più vicino ai
poveri. L’amore per il prossimo, nella Chiesa, non è compito
appaltato a qualcuno. Riguarda tutti, perché il giudizio
finale verterà solo sulla carità (vedi Matteo 25). Il termine
“Nessuno” non intendeva essere esclusivo. Né ignorare
il vasto impegno dei laici nel volontariato. Certo, si è
puntato sui preti, perché loro erano lo scopo della campagna
promozionale. Ma, forse, si è data un’idea di Chiesa
ancora clericale e gerarchica. Distante dal concetto di “popolo
di Dio”, che il Concilio ci ha fatto riscoprire.
Pubblicato il
16 gennaio 2013 - Commenti
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dic
Abito in un piccolo paese
di provincia. Desidero
sottoporle due domande.
Prima: il fedele può
“richiamare” (certamente
con garbo) il proprio
parroco sulla necessità
o dovere di fissare un
giorno per le confessioni?
Non si può trascurare questo
sacramento, anche se il prete
deve correre tra le diverse
chiese sparse nelle frazioni
del paese. Seconda: il fedele
può chiedere al viceparroco,
persona giovane, di tenere
l’omelia domenicale stando
più aderente alla pagina
evangelica? E non limitarsi
a una semplice e generica
esposizione religiosa? Cosa
possiamo fare noi fedeli
quando constatiamo qualche
carenza nei preti? È nostro
diritto-dovere intervenire?
Nella M.
Nel Vangelo si parla di correzione
fraterna. E non ci sono limiti,
se non quelli della carità
e della verità. In una comunità,
se c’è pieno coinvolgimento
di tutti nella corresponsabilità,
ci si può dire tutto. E trovare
anche le soluzioni migliori per
il giorno e l’orario delle confessioni.
Così come si può fare un
garbato appunto, in spirito costruttivo,
sulle omelie. Ma, al
tempo stesso, tutti devono mettersi
in discussione. Nel dialogo
e nel confronto. Nessuno è
spettatore o giudice. Altrimenti,
criticare e sparare addosso
al parroco o ai suoi coadiutori
è fin troppo facile e comodo.
Un pretesto lo si trova sempre.
Più proficuo, invece, è “camminare
insieme”.
Pubblicato il
03 dicembre 2012 - Commenti
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25
ott
Mi capita di leggere spesso su Famiglia Cristiana lettere
critiche nei confronti della Chiesa. Talvolta, sono così
superficiali da farmi sorgere il dubbio che possano averle
scritte dei cattolici praticanti. Le cito quel lettore che critica
perfino i ricchi paramenti liturgici. Come se i celebranti li
usassero per vanità. La citazione della “Chiesa del grembiule”
la trovo fuori luogo. Si può servire il prossimo anche
indossando dei paramenti che esprimono decoro e bellezza.
Nelle feste di ingresso di parroci e vescovi è auspicabile una
maggiore sobrietà. Ma sarebbe dannoso ripetere gli errori del
dopo concilio Vaticano II. Quando nel nome dell’essenzialità
si liquidarono feste patronali e tradizioni religiose popolari.
In cambio di “feste” goderecce senza alcun richiamo religioso.
Da lei mi sarei aspettato un commento più articolato.
Simone
L’amore per la Chiesa, quando è sincero, non è esente da critiche.
È quella “correzione fraterna”, cui ci chiama il Vangelo.
Giorni fa, commemorando a Spello fratel Carlo Carretto, un profeta
dei nostri tempi, che ha vissuto il Vangelo nella sua essenzialità,
mi ha molto colpito un suo testo. Duro e sincero. Lo affido alla
tua riflessione, caro Simone, e a quella dei lettori: «Quanto sei
contestabile o Chiesa, eppure quanto ti amo. Quanto mi hai fatto
soffrire, eppure quanto a te devo. Vorrei vederti distrutta, eppure
ho bisogno della tua presenza. Mi hai dato tanti scandali, eppure
mi hai fatto capire la santità. Nulla ho visto nel mondo di
più oscurantista, più compromesso, più falso, e nulla ho toccato
di più duro, di più generoso, di più bello. Quante volte ho avuto
la voglia di sbatterti in faccia la porta della mia anima, e quante
volte ho pregato di morire tra le tue braccia sicure».
Pubblicato il
25 ottobre 2012 - Commenti
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