Ruby, al centro del processo milanese.
Ho letto il commento del sociologo Franco
Garelli sulla divisione dei cattolici
sul “caso Ruby”.
Mi reputo un “cattolico
del dissenso”. Così, trentacinque anni fa,
veniva chiamato un gruppo di giovani della
mia città, che si opponeva alle posizioni rigide
della Chiesa. Per questo, le sembrerò un po’
severo e non troppo ortodosso nelle mie interpretazioni.
L’articolo si chiedeva come mai i
praticanti sono più tolleranti rispetto a chi frequenta
di meno la Chiesa. Probabilmente, a
mio parere, perché sono più “ortodossi”. Mentre
i meno praticanti sono più abituati a pensare
con la propria testa e non secondo i voleri
dell’autorità.
Purtroppo, nella storia, si è creato un sodalizio
poco virtuoso tra Chiesa e potere. Le masse
poco alfabetizzate facevano comodo ai potenti.
Questi elargivano benefici e leggi a favore della
Chiesa, perché predicando l’obbedienza al potere,
tenesse le masse nell’ignoranza.
Che c’entra
ciò con la situazione attuale? Anche oggi, la
Chiesa ha preferito appoggiare un potente,
dai comportamenti moralmente discutibili,
che però le garantiva leggi a suo favore sulla
vita e la scuola, piuttosto che schierarsi dalla
parte di chi ha maggior senso dello Stato,
dell’onestà, della democrazia.
Mi lasci fare, per un attimo, il “comunista”
(non lo sono, ma voglio provocare). Qual è il
grande vulnus del pensiero progressista di sinistra?
È la sottrazione del potere della Chiesa
sui temi della bioetica. Quel che conta non è
l’onestà della società, ma che il monopolio sulla
sfera vitale e sessuale rimanga saldo nelle
mani della Chiesa.
È facile che chi è ai margini
della Chiesa sia portato a essere severo con i
comportamenti libertini. Mentre chi è più ortodosso
consideri che la maggior disgrazia sia
il pericolo comunista. Non l’immoralità, la
corruzione o il rischio totalitario.
Aggiungiamoci, poi, un sentimento tipicamente
italiano: è meglio fare invidia che pietà.
Così l’immagine del “macho”, dell’aggressivo,
del vincente, attira le masse. Ne abbiamo
avuto un esempio circa ottant’anni fa. Anche
allora un signore diceva: «Me ne frego». E a lui
abbiamo consegnato la Patria, i figli e anche
l’oro delle fedi nuziali.
La Chiesa, oggi, deve
scongiurare il pericolo di una guerra fratricida.
Non voglio dire che debba rinunciare ai
propri princìpi, ma c’è anche il bene dello Stato
da tutelare. Le democrazie sono molto più
fragili, e le vite umane più preziose di ogni
dogma.
Credo sia più meritorio per la Chiesa
convincere i cattolici a combattere contro il
pericolo della disgregazione.
Non dimentichiamo il danno che farà quella
dottrina che porta a legalizzare l’illecito,
pur di rimanere in sella. Siamo a un novello
machiavellismo: il fine che giustifica i mezzi.
Oggi, però, il fine è molto meno nobile di
quello di “messer Machiavelli”. Non più il governo
dello Stato, ma il tornaconto personale.
A ogni costo, in modo arrogante e sfacciato.
Gian Piero
Sulla vicenda del caso Ruby, che ha coinvolto
direttamente e pesantemente il capo
del Governo, i cattolici più praticanti
hanno dimostrato una maggiore tolleranza rispetto
a chi frequenta meno la Chiesa. Così, almeno
secondo i sondaggi. Come spiegare questa
differenza? In particolare, come interpretare
la tolleranza di una vicenda che non è proprio
tollerabile?
Gian Piero indulge sulla tesi di
un certo sodalizio tra Chiesa e potere politico. Di qui l’enfasi sull’obbedienza al potere politico,
piuttosto che sull’agire secondo la propria
coscienza. Anche in un eventuale disaccordo
con l’ordine costituito. È una tesi che, in assoluto, non rende ragione
del fatto che, nella storia, si sono verificati
più contrapposizioni che compromessi tra Chiesa
e potere politico.
L’altra obiezione riguarda
la massa analfabeta e disinformata di una volta,
lasciata volutamente in questa condizione
da parte della Chiesa. Ignorando, invece, quanto
essa ha fatto per l’istruzione dei ceti popolari.
Grazie anche a tante iniziative di istituzioni
religiose.
Forse, una maggiore tolleranza sul caso
Ruby, da parte dei più praticanti, va trovata
in quella tendenza del mondo cattolico a
identificarsi in una cultura conservatrice.
Considerando più sovversivi persone e gruppi
sociali che propongono profondi cambiamenti
sociali.
Si pensi, nel mondo cattolico di allora,
alla scarsa recezione dell’enciclica sociale Rerum
novarum di Leone XIII. C’è stato chi ha letto
quel documento, che rivoluzionario non era,
in chiave favorevole al socialismo e al comunismo.
Chiunque faceva un discorso di giustizia
sociale o di lavoro era considerato di sinistra
(comunista).
L’articolo 1 della Costituzione italiana
recita: «L’Italia è una Repubblica democratica,
fondata sul lavoro». E non è mancato,
tra i commentatori, chi ci ha visto l’influsso della
cultura marxista. Come se la problematica
del lavoro fosse monopolio del marxismo.
E così
i cattolici più praticanti stavano con il potere
politico della destra, considerata baluardo contro
i comunisti. Unico pericolo dal quale occorreva
difendersi.
Un’altra spiegazione della maggiore tolleranza
sta nel prevalere di interessi, finalizzati al dominio
su ogni altra istanza. O nel ridurre la politica
a un mestiere redditizio, nel sostituire la normalità
della menzogna alla verità morale dei diritti
umani, alla verità storica e alla verità giudiziaria.
Non sparisce il richiamo ai valori, ma
il riferimento è abbastanza retorico, perché
i valori non sono legati a ideali di vita che riguardano
giustizia, società e storia.
Se c’è una maggiore tolleranza dei cattolici
praticanti del malcostume personale e politico,
c’è da chiedersi come mai la dottrina sociale
della Chiesa intercetta così poco i credenti praticanti.
È segno, forse, che la fede cristiana è ancora
ridotta alla celebrazione del culto. Con poca
o scarsa incidenza nella formazione sociale
delle coscienze. Rese, così, incapaci di indignazione,
protesta e proposta.
Pubblicato il
19 ottobre 2011 - Commenti
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