di Don Sciortino
Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.
14 feb
Di fronte alla crisi economica si diffonde
la convinzione che dobbiamo lavorare di
più. Se questa ipotesi è auspicabile per i tanti
(troppi) disoccupati, precari e cassaintegrati,
lo stesso non può dirsi per padri e madri che,
già ora, hanno poco tempo da dedicare a sé
stessi e alla famiglia. Si dice che il lavoro
nobilita l’uomo, ma perché sia vero occorre
realizzarsi anche al di fuori di esso. Il lavoro
è uno strumento, non il fine della vita.
Alcuni tragici fatti di cronaca di madri che,
nella fretta, hanno dimenticato i figli in
macchina, evidenziano che c’è qualcosa che
non va nei nostri ritmi. Altro che lavorare
la domenica! Dobbiamo ripensare il lavoro
quotidiano. Giustamente si parla di equa
distribuzione delle ricchezze. Ma, forse,
è bene parlare anche di equa distribuzione
del lavoro. Così, chi ne è privo potrà
finalmente averlo. Chi ne ha troppo
alleggerirà il suo peso.
Stefano G.
Più che il lavoro in sé, dobbiamo mettere in
discussione i nostri stili di vita. O, meglio, che tipo
di società vogliamo costruire. E con quali valori
a fondamento. Se il nostro obiettivo è il consumismo,
da realizzare a ogni costo, ogni scelta
è giustificabile. Anche quella che ci opprime.
Ma se vogliamo costruire una società a misura
umana, che non degradi le persone, come fossero
oggetti o semplici ingranaggi di un meccanismo
economico, allora le scelte da fare sono altre.
E con coraggio. Sono quelle che anche tu
suggerisci, caro Stefano. Perché il lavoro sia un
mezzo per vivere e realizzarsi. Non una schiavitù.
Tra l’altro, è dimostrato che dove c’è armonia
tra esigenze lavorative e quelle familiari, la
resa economica è superiore.
Pubblicato il 14 febbraio 2012 - Commenti (0)
06 feb
Da lettrice accanita, anzitutto,
complimenti per la rivista. Nella
mia vita sono stata abituata a vedere
sempre il bicchiere mezzo pieno e non
mezzo vuoto. Di fronte alla grave crisi
che, in questi giorni, è sfociata negli
scioperi di camionisti, tassisti, pescatori,
avvocati... mi sono chiesta: «Se non
ho la benzina nella macchina,
se il supermercato non è fornito,
sarò capace di sopravvivere?». Oggi,
il mondo ci obbliga a vestire all’ultima
moda, ad avere tutte le novità
tecnologiche. Forse, sarebbe meglio
riscoprire la sobrietà dei nostri nonni,
che vivevano bene senza telefonino, Tv,
auto. Non abbiamo saputo far fruttare
al meglio le novità che la tecnologia ci
ha messo a disposizione. Ne abbiamo
abusato. Sono diventati una malattia.
Ora siamo dipendenti da Internet
e dalla posta elettronica. Un ritorno
al “passato” può farci apprezzare
il “presente”. Come per una torta fatta
in casa dalla mamma rispetto a quella
del supermercato. Quando dico in giro
che non sono andata in vacanza, tutti
mi guardano come fossi una mosca
bianca. Ma, forse, sono mosche bianche
anche quelli che la domenica non
vanno al centro commerciale a fare
la spesa, ma si sacrificano per gli altri.
O passano il pomeriggio al parco giochi
coi figli. Cose che aiutano non solo
il fisico, ma anche lo spirito.
M.T.
La crisi e i tentativi in atto per superarla mettono a nudo
non solo i nostri stili di vita, che sono stati al di sopra delle
possibilità economiche, ma anche il modello di società che
vogliamo costruire. Se economia e finanza sono finalizzate
solo al profitto e al consumo, i rischi di una società poco
umana sono alti. Se i provvedimenti sono a misura di famiglia,
allora un altro mondo è possibile. Più sano e solidale.
Più coeso e vivibile. Ma c’è anche un vero guadagno economico.
Il consumismo non è la soluzione di questa crisi. Ne è
la malattia, che l’ha originata. L’economia senza etica ha
conseguenze disastrose. Il rispetto della legalità, invece, ha
anche un ritorno economico. La crisi che ci costringe a fare
delle scelte può rivelarsi un’opportunità per cambiare modelli
di vita e di società. Forse, una maggiore sobrietà può
liberarci dalla schiavitù dei bisogni indotti. Spesso non necessari.
O dall’essere succubi della tecnologia e dei suoi ritrovati.
Oggi, si può essere obesi e bulimici non solo di cibo,
ma anche di Internet, Rete e Web.
Pubblicato il 06 febbraio 2012 - Commenti (2)
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