I giornali ne hanno parlato qualche giorno fa, e finalmente sono riuscita a metterci le mani sopra. Sto parlando di uno studio della Banca d'Italia, a cura di Concetta Rondinelli e Roberta Zizza, su Effetti (non) persistenti della fecondità sull'offerta di lavoro femminile, disponibile sul sito di Banca d'Italia (abstract in italiano e versione integrale in inglese)
Le due studiose di Bankitalia affermano che «In gran parte della letteratura economica, si stima una relazione negativa tra maternità e offerta di lavoro femminile: l’impegno per la cura dei figli sembrerebbe quindi costituire un ostacolo alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro.» Se questo poteva essere vero all'inizio degli anni Novanta, tutte le statistiche (sia nazionali sia internazionali) hanno ormai largamente confutato questo approccio. Tuttavia, dato anche il basso tasso di partecipazione delle donne italiane al mercato del lavoro (nel 2008 intorno al 47,2 e calato ulteriormente nel corso del 2009), rimane da stabilire se avere figli possa essere un deterrente all'occupazione delle donne.
Rondinelli e Zizza analizzano il rapporto tra fecondità e partecipazione al mercato del lavoro non a partire dalle statistiche sui primi anni di vita dei bambini, ma a partire da una serie di statistiche sulla fecondità delle donne intorno ai 40 anni. Inoltre, hanno analizzato l'impatto dell'infertilità sulla partecipazione al lavoro.
Incrociando questa serie di dati è emerso come avere figli non incida, nel lungo termine, sulle scelte lavorative delle donne. Al contrario, secondo questo studio emerge che
avere figli costituisce un «leggero effetto spinta» verso l'occupabilità femminile.
Dall'esame incrociato delle tipologie di lavoro (full-time o part-time), dai tipi di contratto (a tempo indeterminato o altre tipologie) e dal tipo di occupazione emerge tuttavia come avere figli continua a costituire una «long-run penalty», una penalizzazione a lungo termine, sulla qualità del lavoro femminile, un refrain che chi si occupa di lavoro femminile conosce bene.
Due aspetti in particolare emergono dallo studio e mi sembrano degni di nota, oltre che spunti di riflessione e di ulteriori ricerche:
1. Da un'indagine sul gap tra figli desiderati e figli avuti (2008) emerge come, nella scelta di avere meno figli di quelli desiderati, i due fattori che incidono maggiormente (se si escludono le cause biologiche o fisiche) sono il reddito insufficiente (5,2%) e l'incompatibilità con il lavoro (5,3%). La mancanza, lontananza o il costo degli asili nido incide per lo 0,3%.
2. Anche da questo lavoro emerge come il titolo di studio sia una determinante fondamentale nel tasso di occupazione femminile (più elevato è il titolo di studio, più elevato il tasso di occupazione), mentre le due economiste legano il successo scolastico all'educazione impartita dalla madre. Questo approccio matrifocale risulta molto interessante, e il tema dell'educazione al lavoro all'interno della famiglia merita certamente più attenzione.
Trovate il testo integrale in inglese
qui
Pubblicato il 26 gennaio 2011 - Commenti (0)