21
feb

Maternità e lavoro: oltre alla RAI c'è di più

Viviamo in un Paese a volte strabico, questo si sa. Le donne, poi, lo sperimentano in prima persona quando diventano madri. Santificate sull'altare della maternità, infangate sul posto di lavoro. Ho visto inappuntabili imprenditori stracciarsi le vesti parlando del congedo di maternità. Obbligatorio, e non.


Ieri il tema è tornato di grande attualità grazie a una denuncia sporta attraverso il blog Errori di Stampa: nei contratti di collaborazione a Partita IVA sarebbe stata inclusa una clausola nella quale è prevista la rescissione del contratto in caso di "infortunio, malattia, gravidanza...". Dal che si deduce, in prima battuta, che infortunio, malattia e gravidanza pari sono.

Ma la gravidanza è una malattia?

I dirigenti RAI si sono affrettati a rispondere che tale clausola è inserita in un contratto di collaborazione a Partita IVA, e quindi non si tratta di lavoro subordinato, non contravviene cioè in modo formale al divieto di licenziamento in caso di gravidanza. Ma l'argomentazione appare degna di Totò, più che altro. Perché qui abbiamo il secondo capo della questione, l'altro sintomo dello strabismo tutto italiano: un lavoratore a Partita IVA è a tutti gli effetti, formalmente, un libero professionista. Ma così, evidentemente, non si sentono nei confronti di "mamma Rai" i numerosi giornalisti con contratti di collaborazione a Partita Iva - giornalisti per i quali "mamma RAI" è forse, con tutta probabilità, l'unico committente. 

Ma dunque, per dirla ancora con Totò, siamo liberi professionisti o precari?

D'altronde, paradossalmente, c'è anche chi precario non è e gode di tutti i diritti della maternità, tavolta anche degli obblighi dell'astensione dal lavoro, come racconta la giornalista del Sole24Ore Anna Zavaritt sul suo blog: intercettata ad appena 1 mese e mezzo dalla nascita del suo ultimo figlio a una riunione di lavoro sulla conciliazione, le è stato detto che "non poteva" essere presente, dato che si trovava in astensione obbligatoria per maternità. 

Ma siamo sicuri che non sia possibile una via di mezzo?

Tento tre risposte, che sono anche tre passaggi culturali che porterebbero a cambiare radicalmente la visione della maternità, del lavoro, e del posto delle madri nel mondo del lavoro in Italia. Senza il primo passaggio che implica una vera e propria rivoluzione copernicana sulla concezione della maternità, certamente, anche gli altri due non trovano alimento e sostegno

1. La gravidanza NON è una malattia. Anzi, a dirla tutta, la cosa più offensiva della clausola inserita nel contratto RAI è proprio la sostanziale assimilazione di gravidanza e malattia. Tutti quanti dovremmo iniziare a ribellarci a questa costante, continua assimilazione. 

2. Il tema di maternità e contratti di lavoro precari rimane in tutta la sua attualità. Una donna con contratti a termine, di qualsiasi tipo, sa che con tutta probabilità dovrà affrontare il trade-off tra la decisione di avere un figlio e il rinnovo del contratto di lavoro. Forse basterebbe aggiungere una clausola (in positivo, questa volta) nei contratti di lavoro a termine che obbliga al prolungamento del contratto di lavoro per 6 mesi, in caso di gravidanza (e NON di malattia e infortunio!). 

3. La flessibilità anche nei congedi di maternità. L'utilizzo delle nuove tecnologie, il lavoro mobile, percorsi di rientro soft... Si interrompe quell'idilliaca simbiosi tra madre e figlio? Siamo sicuri che le madri non preferirebbero avere flessibilità per un anno e magari anche di più, laddove è possibile, invece di rimanere in obbligatoria cinque mesi, con l'ansia di non trovare più la scrivania una volta tornate in ufficio, dove poi devono altrettanto obbligatoriamente soggiornare per 8 ore di fila, senza via d'uscita? Il che significa, stravolgere l'organizzazione del lavoro per come viene pensata oggi in Italia. Il che significa anche, togliere tutti gli alibi. 

Pubblicato il 21 febbraio 2012 - Commenti (0)
16
feb

Papà perfetti o conciliazione, finalmente?

Oggi si discute sul Web, e in particolare su Twitter, di un articolo pubblicato oggi su Repubblica online, dal titolo emblematico: Papà perfetti, rivoluzione silenziosa. Così si trasforma la famiglia in Italia.


L'articolo presenta una ricerca curata dalla sociologa Tiziana Canal, una ricercatrice dell'Isfol, nella quale vengono presentati per la prima volta alcuni dati sui padri italiani, che sempre più si stanno trasformando da padri "assenti" a padri "high care", cioè padri che dedicano particolare attenzione al mondo della cura dei figli. 

Come emerge anche dalla ricerca tuttavia, e come sottolineato anche da G.Esping Andersen nel suo ultimo libro (La rivoluzione incompiuta. Famiglia, Donne, Welfare, Il Mulino, 2011), i padri "high care" sono nella quasi totalità dei casi uomini giovani, con un alto livello di preparazione scolastica, e soprattutto con mogli che guadagnano quanto, se non più, di loro. 

Vengono dunque confermate alcune tesi sulla conciliazione famiglia-lavoro all'interno delle famiglie: 
1. Le coppie sono sempre più omogame, si formano cioè sempre più spesso dall'incontro di due persone con uguali livelli di cultura, e appartenenze sociali del tutto simili; 
2. dato che sono le donne con un alto titolo di studio a rimanere, nonostante tutto, nel mercato del lavoro, sarà in questo tipo di coppie che i problemi di parità di genere si presenteranno; 
3. tuttavia, come nota il sociologo danese, a creare quella che lui definisce una reale "convergenza di genere" non è tanto il titolo di studio, quanto quello che potremo definire il "potere contrattuale" all'interno della coppia. In soldoni, quanto guadagna la donna; 

Sono le coppie con livelli di retribuzione paritetici (o le coppie in cui lei guadagna più di lui, addirittura) quelle nelle quali la figura del padre accudente è più frequente. Ciò sta sicuramente a dimostrare che le famiglie sono molto meno legate alle ideologie, e molto più capaci di trovare soluzioni innovative al problema della conciliazione, di quanto non lo siano stati finora mondo imprenditoriale e istituzioni. Proprio in questi giorni, infatti, riprende la discussione sulla legge del congedo obbligatorio di paternità.

Pubblicato il 16 febbraio 2012 - Commenti (0)
13
feb

Flessibilità oraria: una provocazione

Un articolo molto interessante, e molto provocativo, esce oggi su Inc., edizione online di Inc Magazine, dedicato a imprenditori e organizzazioni di business.


Margaret Heffernan, autrice di programmi televisivi e imprenditrice, riflette su una delle questioni più spinose nell'organizzazione aziendale: la gestione dell'orario di lavoro dei propri collaboratori.

La riflessione parte da un colloquio di lavoro, nel quale una noeassunta chiede a Mrs. Heffernan "A che ora vuole che cominci?" e lei, spiazzandola, le dice che può cominciare quando crede. Chiosando che non c'è peggior perdita di tempo, che stare a contare quante ore lavorano i propri dipendenti - in genere autori TV, producer, e team creativi legati alla produzione di audio e video.

In una cultura puramente anglossassone, quello che conta non è l'orario di lavoro ma il risultato ottenuto. Lo stesso approccio, mutatis mutandis, la Heffernan adotta per il congedo di maternità: ogni famiglia deve essere in grado di gestire liberamente il proprio congedo parentale e decidere, dopo la nascita del bambino, quando e quanto tempo dedicare al lavoro.

Molte le obiezioni che possono essere mosse a questo approccio totalmente destrutturato (potete leggere l'articolo nella versione integrale in inglese qui), a partire dal fatto che la Heffernan gestisce un team creativo e un'impresa di dimensioni relativamente ridotte. E tuttavia, quanti manager gestiscono gruppi di lavoro sostanzialmente ridotti con un'ottica del tutto differente? E quanto differente è l'approccio nell'organizzazione?

La Heffernan afferma una cosa particolarmente interessante, a mio avviso, riguardo ai propri dipendenti e che è fonte di riflessione per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro in Italia: "Trattare i propri dipendenti come persone adulte aumenta grandemente la possibilità che si comportino proprio come tali". Questo approccio chiama in causa il tema della responsabilità non solo degli imprenditori, ma anche dei dipendenti: è possibile creare circoli virtuosi di reciproca responsabilizzazione?

Foto: Flickr

Pubblicato il 13 febbraio 2012 - Commenti (0)

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Autore del blog

Famiglia e Lavoro

Lorenza Rebuzzini

Laureata in filosofia, mamma di due bambini, per me la conciliazione famiglia-lavoro è pratica quotidiana e oggetto di riflessione da quando, nel 2005, inizia la mia collaborazione con il Cisf per il Nono Rapporto Cisf su Famiglia e Lavoro. Qui riprendo le fila del discorso...

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