22 mag
Il tema del “lavoro femminile” è un tema relativamente recente, al quale Giovanni Paolo II ha dedicato attenzione specifica sia nella Familiaris Consortio sia nella Mulieris Dignitatem.
«… Non si
può non osservare come nel campo più specificamente familiare un'ampia e
diffusa tradizione sociale e culturale abbia voluto riservare alla donna solo
il compito di sposa e madre, senza aprirla adeguatamente ai compiti pubblici,
in genere riservati all'uomo.
Non c'è
dubbio che l'uguale dignità e responsabilità dell'uomo e della donna
giustifichino pienamente l'accesso della donna ai compiti pubblici. D'altra
parte la vera promozione della donna esige pure che sia chiaramente
riconosciuto il valore del suo compito materno e familiare nei confronti di
tutti gli altri compiti pubblici e di tutte le altre professioni. Del resto,
tali compiti e professioni devono tra loro integrarsi se si vuole che l'evoluzione
sociale e culturale sia veramente e pienamente umana. » (FC, n. 23)
Riconoscendo il fondamentale apporto del “genio
femminile” alla vita economica e sociale, Giovanni Paolo II solleva tuttavia la
questione della cura intesa nella sua accezione più ampia, comprendente sia il
lavoro di cura familiare sia la cura delle relazioni familiari. Un nodo
inscindibile, che ancora oggi appare problematico ma che è necessario
considerare sotto i molteplici aspetti che lo caratterizzano
La questione del lavoro femminile emerge come
significativa, nel dibattito pubblico, a partire dagli anni Cinquanta/Settanta
(a seconda dei Paesi ai quali facciamo riferimento: emerge prima nei Paesi a
economia più avanzata, come Stati Uniti e Paesi Nordici, e solo dopo il boom
economico degli Anni ’60 in Paesi quali l’Italia, la Spagna, la Francia). Sono
gli anni nei quali la partecipazione delle donne al mercato del lavoro si fa
via via sempre più diffusa; sono anche gli anni nei quali, in numero sempre più
crescente, le donne accedono ai gradi di istruzione superiore, e sono, infine,
gli anni del femminismo, con le molteplici accezioni e le derive che tale
corrente di pensiero assume. In particolare sottolineiamo come la cultura del
genere e della sostanziale in-differenza rispetto al maschile e al femminile,
considerati come “costruzioni sociali” e quindi come “stereotipi” da abbattere,
sia diventata pressoché mainstreaming. A questo si oppone la visione
antropologica cristiana:
«… La donna
rappresenta un valore particolare come persona umanae, nello
stesso tempo, come quella persona concreta,per
il fatto della sua femminilità.Questo
riguarda tutte le donne e ciascuna di esse, indipendentemente dal contesto
culturale in cui ciascuna si trova e dalle sue caratteristiche spirituali, psichiche
e corporali, come, ad esempio, l'età, l'istruzione, la salute, il lavoro,
l'essere sposata o nubile.» (Mulieris
Dignitatem, n. 29)
Gli ultimi decenni del Novecento vedono la
definitiva consacrazione della parità (formale) tra uomini e donne sul luogo di
lavoro, e l’accesso delle prime donne a livelli di alta dirigenza; in molti
Paesi tra i quali l’Italia, tuttavia, una grande maggioranza di donne, con il
passaggio alla maternità, sceglie di ritirarsi dal lavoro per svolgere il
proprio compito di cura familiare, soprattutto le donne con più alti livelli di
istruzione appartenenti alle classi più agiate. L’ascesa del protagonismo
femminile nel mercato del lavoro è segnato anche da profondi cambiamenti
nell’ambito della famiglia, e da un’equazione sostanziale tra presenza della
donna nel mercato del lavoro e bassi tassi di fertilità.
A partire dalla metà degli anni Novanta, tuttavia,
il quadro muta radicalmente in alcuni aspetti specifici. Nel campo
dell’istruzione, le donne giungono al culmine della parabola ascendente: si
laureano prima e con voti migliori dei colleghi maschi, un dato che è rimasto
costante in questi ultimi vent’anni. La partecipazione femminile al mercato del
lavoro diventa quindi un dato realmente importante: sono le donne con livelli
di istruzione più alti quelle che, avendo presumibilmente stipendi migliori e maggiori
possibilità di carriera, rimangono al lavoro. La massiccia presenza numerica di
donne nel mondo del lavoro non porta tuttavia con sé un’altrettanto rapida e
conseguente presenza delle donne ai livelli decisionali: in tutti i Paesi (e in
alcuni più di altri) le donne che rimangono nel mercato del lavoro sperimentano
l’esistenza di quel “soffitto di cristallo” che preclude loro di arrivare ai
livelli alti: un soffitto che non si vede, ma c’è, perché la parità uomo-donna
è formalmente dichiarata, ma sostanzialmente disattesa.
A partire dalla fine degli anni Novanta, il mercato
del lavoro inizia a mutare secondo quei trend che sono diventati oggi evidenti
a tutti: maggiore precarizzazione dei posti di lavoro, e perdita del potere di
acquisto dei salari. Questi due aspetti congiunti fanno sì che, nel budget
familiare, il lavoro femminile venga considerato sempre meno come un elemento
accessorio, e sempre più come reale necessità per “arrivare a fine mese”. Al
contempo, emerge come evidente un altro dato statistico: sono le donne che
lavorano quelle che decidono di avere figli, mentre i Paesi e i territori nei
quali maggiore è il livello di disoccupazione/inoccupazione femminile, minori
sono i tassi di fertilità (accade in Italia rispetto all’Europa, al Sud Italia
rispetto al Nord Italia).
La doppia presenza sul mercato del lavoro e come caregiver di riferimento all’interno
della famiglia, ruolo che le donne hanno mantenuto, ha posto il contesto
familiare di fronte a nuove sfide, sia all’interno (definizione dei ruoli,
gestione della cura) sia all’esterno (a chi e come affidare i compiti di
cura?). Molteplici le soluzioni adottate nei vari Paesi, che non sono riusciti
finora a trovare la “ricetta magica”, in un difficile bilanciamento tra
politiche di pari opportunità e matrifocali centrate sull’affidamento della
cura ai servizi e politiche di supporto alla cura familiare.
In particolare, all’interno del dibattito sul lavoro
femminile e sulla cura, appare necessario:
- riconoscere la necessità di politiche di conciliazione famiglia-lavoro come politiche familiari, e non solo come politiche di pari opportunità. Se le politiche di pari opportunità appaiono necessarie nel nostro Paese, è altresì necessario riconoscere che le responsabilità genitoriali stanno in capo a entrambi i genitori, e non solo alle madri. Tale riconoscimento darebbe luogo alla formulazione di politiche che siano realmente di armonizzazione tra la vita lavorativa (di entrambi i genitori) e la vita familiare.
- riconoscere a livello sociale e fiscale
l’insostituibile ricchezza prodotta dal lavoro di cura familiare; tale lavoro
di cura è equiparabile oggi, secondo recenti studi, a oltre il 30% del PIL
europeo. Eppure, la scelta di molte donne di dedicarsi alla famiglia è oggi fortemente
penalizzata non solo a livello sociale, ma anche a livello fiscale e
contributivo.
- riconoscere che la dimensione della cura non
consiste solo nel lavoro di cura familiare e nell’accudimento dei bambini
piccoli o degli anziani fragili, secondo quell’accezione restrittiva e
strumentale adottata dalle maggiori agenzie internazionali. La cura è una
dimensione complessa che comprende la relazionalità, l’espressività, la
dedizione, la piacevolezza, il reciproco riconoscimento e deve essere
considerata fine a se stessa.
- permettere
alle famiglie una reale libertà di scelta tra molteplici opzioni: lavoro fuori
casa, lavoro di cura familiare, un mix tra i due; libertà di scelta tra
differenti tipologie di servizi, baby-sitter, o un mix tra servizi e cura
privata; libertà di scelta riguardo alla quantità di tempo da dedicare al
lavoro remunerato e al lavoro di cura familiare.
Abstract dell'intervento tenuto a Bareggio, 11.05.2012.
Pubblicato il 22 maggio 2012 - Commenti (0)
02 apr
Sono stata a due convegni su famiglia e lavoro organizzati da due associazioni diverse, in due contesti territoriali molto differenti: a Rovigo, a un incontro organizzato dal MLAC - Movimento Lavoratori di Azione Cattolica, e a Roma, alla presentazione dei risultati del progetto Famiglie in Centro, promosso dal Forum delle Associazioni Familiari del Lazio.
Al centro di entrambi gli incontri, il tema della crisi economica e le ripercussioni sulle famiglie, in particolare sul tema della conciliazione famiglia-lavoro. Da questi incontri è stato davvero interessante l'emergere di una domanda che raramente viene esplicitata, quando si parla di conciliazione famiglia-lavoro: cosa possono fare le associazioni? Quale il ruolo delle associazioni nell'ambito della costruzione di percorsi di conciliazione famiglia-lavoro?
Il mondo delle associazioni è fuor da ogni dubbio estremamente variegato: basti pensare che, per esempio, all'interno del Forum Famiglie convivono associazioni che si occupano in modo specifico di lavoro (ACLI, MCL) e associazioni che invece hanno tutt'altra mission, e la cui attenzione è focalizzata su altri temi. E tuttavia, forse è possibile tracciare una sorta di road-map sul ruolo delle associazioni rispetto al tema della conciliazione famiglia-lavoro.
1. Essere luoghi di vicinanza e di ascolto. I problemi legati alla conciliazione famiglia-lavoro non rientrano certo in quei temi solitamente classificati come temi di bisogno sociale conclamato (come può essere per esempio la disoccupazione). Tuttavia, non possiamo notare che in questi anni i problemi legati al tentativo di tenere insieme un lavoro sempre più precario e i compiti di cura sempre più impegnativi siano in costante aumento. Come abbiamo già ricordato, tra i motivi delle patologie correlate allo stress da lavoro sono compresi i problemi legati alla mancata conciliazione. Un recente articolo pubblicato su La Stampa conferma questo dato, acutizzato dalla crisi economica. Secondo una recente ricerca Iref/Acli, il 67,7% delle persone con un lavoro a professionalità medio-bassa teme di perdere il lavoro, percentuale che aumenta al 72% se in famiglia si è l'unico percettore di reddito. L'aumento di ansia e stress è anche una delle patologie registrate durante l'esperienza di Famiglie in Centro.
Al di là dello scambio di battute tra amici, le famiglie e i lavoratori rimangono sostanzialmente abbandonati a se stessi nella gestione di questa "nuova ansia"; le associazioni, che per loro natura sono enti intermedi, hanno la possibilità di costituire un prezioso luogo di ascolto, e anche di consiglio e rimessa in moto. Quante volte, incontrando le persone, ci siamo sentiti dire che "la situazione è questa, e non ci si può far nulla"? Davvero non c'è modo di cambiare un mondo del lavoro che appare sempre più alienato e alienante, incapace di vedere i bisogni relazionali dei propri dipendenti?
2. Costituire Rete. Per fare questo, le associazioni hanno bisogno di conoscersi e scambiarsi esperienze, e questo mi sembra uno degli aspetti più importanti dell'esperienza di Famiglie in Centro a Roma, che ha mappato e messo in rete le attività delle varie associazioni. In questo senso, le associazioni possono diventare luoghi di ascolto qualificato e di rimessa in moto: pensiamo a quanto sia importante, nella costruzione di percorsi di conciliazione, solo un ascolto competente, un consiglio su come gestire un'astensione di maternità, l'indicazione di un servizio innovativo, una proposta alternativa. Questo implica anche la presenza e la possibilità di mettere in rete le diverse competenze e le differenti capacità delle associazioni, così come mettere in rete i problemi e le soluzioni possibili, che non sono mai semplici. Un problema di conciliazione è sempre un problema complesso (di scelte e aspirazioni personali, di vincoli contrattuali, di relazione, di costruzione di competenze, di capacità di negoziazione, di vincoli e cultura familiare...) e come tale andrebbe affrontato: ma nessuna realtà, al momento nel nostro Paese, è in grado di fornire questo tipo di approccio né di aiuto.
3. Dare voce. Il servizio troppo spesso silenzioso delle associazioni può diventare un prezioso strumento per dare voce ai "non problemi" (e cioè alle difficoltà che non emergono come emergenze, quali sono le difficoltà legate alla conciliazione), affinché le famiglie abbiano finalmente voce e consapevolezza. Questo però implica la necessità che il lavoro e il ruolo delle associazioni, anche per quanto riguarda il tema della conciliazione famiglia-lavoro, venga formalmente (e sostanzialmente) riconosciuto, nell'ottica di un empowerment delle famiglie e della possibilità che le famiglie diventino realmente attori nei processi di costruzione di percorsi di conciliazione famiglia-lavoro, accanto alle aziende e alle istituzioni, in un'ottica di alleanza e non di contrapposizione.
Pubblicato il 02 aprile 2012 - Commenti (0)
19 gen
Eccoci qui, a scrivere un altro blog.
Ancora? Sì
Inutile? No
Noioso? Speriamo di no.
Un blog su famiglia e lavoro sul sito del Cisf - Centro Internazionale Studi Famiglia ha tanti perché.
Prima di tutto perché il Nono Rapporto Cisf sulla Famiglia in Italia, nel 2005, affrontava (quasi) per primo il tema famiglia lavoro che, in questi ultimi anni, è diventato decisamente mainstreaming. Il titolo del Rapporto era, d'altronde, significativo: Dal conflitto a nuove sinergie. Consapevole di una fatica, tutta sulle spalle della famiglia, per quanto riguarda la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, il Rapporto gettava il sasso oltre lo stagno con proposte innovative, come il contratto relazionale, che oggi stanno entrando nella riflessione sulle nuove forme di contrattazione aziendale.
Dalla riflessione maturata con il Nono Rapporto è nata, con la collaborazione dell'Agenzia per la Famiglia del Comune di Parma, una Banca Dati di buone prassi di conciliazione famiglia-lavoro. Esperienze differenti, sia in grandi aziende, sia in enti pubblici, sia in piccole e medie imprese, che hanno saputo sicuramente dare una risposta positiva alle necessità dei dipendenti, senza arrivare però a fare sistema.
Infine, terzo e ultimo perché: perché abbiamo un appuntamento importante per il quale prepararci. Il settimo incontro mondiale delle famiglie, che si terrà proprio qui a Milano dal 28 Maggio al 3 Giugno 2012, avrà proprio a tema famiglia e lavoro: La famiglia: il lavoro e la festa è infatti il titolo scelto dal Santo Padre per questo evento.
Non sarà un blog inutile, dunque. Vogliamo invece che diventi luogo di scambio, riflessione e rilancio su un tema complesso che, soprattutto in questi ultimi anni e in seguito alla crisi economica, sta affrontando un passaggio epocale. E' cn le contraddizioni e le possibilità insite in ogni crisi, in ogni rottura, che vogliamo confrontarci.
E quindi, pronti via. Il cammino verso il 2012 è iniziato.
Pubblicato il 19 gennaio 2011 - Commenti (0)
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