14
set
Premessa numero 1: quando parliamo di flessibilità non intendiamo mai la precarietà, un fenomeno tutto italiano che tutti quanti ci auguriamo finisca presto.
Premessa numero 2: quando ho letto questo articolo ho pensato che, anche in Italia, a volte succede la stessa cosa.
Il titolo dell'articolo di cui sto per parlarvi è molto interessante: "
Chi vuole la flessibilità? Gli uomini". In questo articolo la columnist di
BNet afferma che alla domanda: "Sareste disposti a decurtare di un 10% il vostro stipendio in cambio di flessibilità oraria sul posto di lavoro?", a rispondere affermativamente sono stati più gli uomini delle donne. Il 12% degli uomini ha risposto affermativamente, contro il 6% delle donne.
Certo, non sono grandi numeri. Ma la proporzione tra uomini e donne è abbastanza sorprendente, anche se consideriamo il fatto che gli uomini guadagnano mediamente più delle donne. L'editorialista di BNet si pone però una domanda ancora più radicale: perché pensare la flessibilità solo in termini di meno presenza in ufficio, e quindi stipendio minore, e non pensare la flessibilità come opportunità di lavorare anche da casa o secondo orari non standard, dove possibile? E questa è un'opportunità per tutti, uomini o donne.
Pubblicato il
14 settembre 2011 - Commenti
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08
set
Finalmente una buona notizia. Prende corpo, dopo 4 anni, una misura prevista nella L. 247/07 per far fronte al precariato: bonus per chi assume giovani (sotto i 36 anni) genitori con contratti a tempo indeterminato, anche part-time. Per ogni giovane assunto l'azienda può ottenere sgravi fiscali per 5 mila euro, e possono essere assunti al massimo 5 giovani.
Per l'operazione sono stati stanziati 51 milioni di euro, per poter essere accreditati è necessario iscriversi su uno specifico database dell'Inps.
Qui trovate tutti i dettagli.
Incrociamo le dita e speriamo che con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il decreto diventi effettivo e qualche giovane (osiamo ancora di più, qualche giovane mamma!) possa effettivamente essere assunto in modo stabile. Sarebbe interessante poter poi monitorare l'andamento di questa misura, e i risultati ottenuti.
P.S. Il racconto della presentazione ad Ancona per Tobia a presto!
Pubblicato il
08 settembre 2011 - Commenti
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07
set
Oggi alle 17:30 in P.zza Cavour, ad Ancona, presenterò il libro Artefici del nostro destino di Nuria Chinchilla, alla libreria Tobia. L'edizione italiana del testo è stata curata dalla Fondazione Marco Vigorelli.
Insieme a me, discuteranno di conciliazione famiglia-lavoro Lidia Borzì (ACLI) e Tina Leonzi (MOICA): prevedo che la discussione sarà interessante! Parleremo di scelte personali, modi differenti di conciliare famiglia e lavoro, giovani donne, precarietà. Siete (ovviamente) tutti invitati.
Pubblicato il
07 settembre 2011 - Commenti
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05
set
Quote rosa sì o no? Da tempo si discute sull'introduzione delle quote rosa nei board di amministrazione, grazie anche al recente iter parlamentare della legge discussa e approvata alla Camera e al Senato in primavera, che introduce una quota obbligatoria (25%) di donne nei consigli di amministrazione a partire da quelli rinnovati nel 2012.
Anche l'
Economist si è interrogato sull'efficacia dell'introduzione per legge delle quote rosa, partendo dalla constatazione che le donne costituiscono ormai la metà della forza lavoro statunitense, ma il 15% delle presenze ai posti di comando (e tale percentuale scende al 10% in Europa). In un interessante articolo dal titolo piuttosto esplicito (
The Wrong way to promote Women, ossia
Il modo sbagliato di promuovere la presenza femminile) il giornale prende in considerazione le cause (ormai da tempo note e dibattute) che impediscono la presenza ai vertici delle donne (e, potremmo dire per l'Italia, la presenza delle donne in posti di dirigenza tout court).
Non solo tuttavia uomini che promuovono solo uomini, ma anche il fatto che le carriere di top management sono sempre più carriere globali, che richiedono spostamenti continui e sempre più difficilmente conciliabili con il ruolo familiare.
(Cosa che, peraltro, suona vera anche per gli uomini - ma su questo non sembra esserci ancora un pensiero "aperto").
L'Economist si chiede allora se, invece di introdurre quote rosa che possono risultare rischiose anche per il benessere e la salute dell'azienda (la promozione "obbligatoria" di donne impreparate non è certo un bene per l'azienda) non sia il caso di promuovere politiche di conciliazione famiglia-lavoro realmente efficaci, utilizzando al massimo potenziale gli strumenti di comunicazione che in questi ultimi anni si sono andati affermando: "I manager incontrano quotidianamente tutto il loro staff? La tecnologia rende il telelavoro molto più semplice (e facilita la possibilità di fare networking al di là dei classici luoghi di incontro tra uomini, il bar e il campo da golf). Le aziende più sagge tenteranno di rimuovere le barriere che impediscono alle donne di crescere, anche se la proporzione delle donne nelle posizioni di top management potrebbe rimanere inferiore a quanto desiderato dai Governi, in parte anche perché i pregiuidizi nei confronti delle donne hanno radici ben più profonde. Ma le aziende che affronteranno la questione nel modo più innovativo vinceranno la sfida dei talenti, e ne guadagneranno il premio."
Questa ultima frase mi sembra davvero efficace: sta forse iniziando a entrare nella coscienza collettiva delle aziende che le politiche di conciliazione famiglia-lavoro non sono solo un costo, ma un investimento per attrarre talenti? Quanto tempo ci impiegherà, questa convinzione, per attraversare l'Atlantico?
L'articolo integrale sull'Economist:
qui
Immagine: Keystream
Pubblicato il
05 settembre 2011 - Commenti
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