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mag

Tempi del lavoro, tempi della famiglia

Al via l'Incontro Mondiale delle Famiglie.


Oggi, alle ore 14:00, come evento collaterale si terrà all'Abbazia di Mirasole il comvegno Tempi del lavoro, tempi della famiglia, organizzato da UCID, Fondazione Marco Vigorelli, Istituto di Antropologia per la Cultura della Famiglia e della Persona.

«Gestire le risorse umane vuol dire mettere al centro il rispetto dell'individuo, creare le migliori condizioni per il suo lavoro e la sua crescita e valorizzarne le competenze. E vuol dire anche responsabilizzarlo e portarlo a condividere strategie e valori aziendali. Così cresce il dipendente e cresce anche l'impresa». Parola di Linda Gilli, presidente e amministratore delegato di Inaz, una delle più importanti società italiane a occuparsi di software e servizi per l'amministrazione e la gestione del personale.
 
«Sono tanti gli strumenti a disposizione degli imprenditori per gestire le persone perseguendo l'obiettivo della loro crescita e di quella dell'azienda -afferma Gilli-. Si tratta di analizzare il clima aziendale, le competenze del personale, di monitorarne il lavoro nel tempo; ma anche di pianificare accuratamente la formazione interna e di organizzare un sistema premiante per valutare e riconoscere le prestazioni». Un esempio delle Buone Prassi messe in campo dalla stessa Inaz è il progetto Famiglia-Lavoro, volto a conciliare questi due aspetti fondamentali della vita dell'individuo e dell'azienda in modo che entrambe possano trarne vantaggio. «Puntiamo su flessibilità e formazione per mantenere la professionalità di chi si assenta per il congedo parentale -spiega ancora Linda Gilli-. Incentiviamo il rientro dopo tre mesi, su base volontaria, seguendo sempre il dipendente durante l'assenza e applicando dove possibile il part-time e il telelavoro». Dall'altra parte, i colleghi sono sensibilizzati a non considerare un'assenza per maternità o paternità come un aggravio di lavoro e responsabilità. Il management è spinto a proteggere le competenze durante il congedo e a valorizzare le persone al rientro. Continua Gilli: «Vogliamo superare stereotipi che mortificano sia le donne, viste solo nel loro ruolo di "brave mamme", sia gli uomini, ritenuti incapaci di curare e crescere i figli piccoli». 
Per i papà dedicarsi alla famiglia è una straordinaria opportunità di crescita, e questo ha effetti positivi anche sul lavoro. Per le mamme investire su se stesse e sulla propria carriera, cercando di ridurre al minimo il distacco dalla propria realtà professionale, è una scelta che a medio e lungo termine ripaga sul piano economico e personale. A condizione, appunto, che l'azienda sappia sostenerle nel percorso con i giusti strumenti. 
«Crediamo che ogni lavoratore debba essere messo in grado di organizzare il proprio tempo tenendo conto delle sue esigenze familiari e di dare il meglio in azienda -conclude Linda Gilli-. Se questo si verifica, l'impresa può solo crescere».

Il programma completo del pomeriggio è disponibile qui.

Pubblicato il 29 maggio 2012 - Commenti (0)
22
mag

Donna, famiglia e lavoro

Il tema del “lavoro femminile” è un tema relativamente recente, al quale Giovanni Paolo II ha dedicato attenzione specifica sia nella Familiaris Consortio sia nella Mulieris Dignitatem.

«… Non si può non osservare come nel campo più specificamente familiare un'ampia e diffusa tradizione sociale e culturale abbia voluto riservare alla donna solo il compito di sposa e madre, senza aprirla adeguatamente ai compiti pubblici, in genere riservati all'uomo.

Non c'è dubbio che l'uguale dignità e responsabilità dell'uomo e della donna giustifichino pienamente l'accesso della donna ai compiti pubblici. D'altra parte la vera promozione della donna esige pure che sia chiaramente riconosciuto il valore del suo compito materno e familiare nei confronti di tutti gli altri compiti pubblici e di tutte le altre professioni. Del resto, tali compiti e professioni devono tra loro integrarsi se si vuole che l'evoluzione sociale e culturale sia veramente e pienamente umana. » (FC, n. 23)

Riconoscendo il fondamentale apporto del “genio femminile” alla vita economica e sociale, Giovanni Paolo II solleva tuttavia la questione della cura intesa nella sua accezione più ampia, comprendente sia il lavoro di cura familiare sia la cura delle relazioni familiari. Un nodo inscindibile, che ancora oggi appare problematico ma che è necessario considerare sotto i molteplici aspetti che lo caratterizzano

 

La questione del lavoro femminile emerge come significativa, nel dibattito pubblico, a partire dagli anni Cinquanta/Settanta (a seconda dei Paesi ai quali facciamo riferimento: emerge prima nei Paesi a economia più avanzata, come Stati Uniti e Paesi Nordici, e solo dopo il boom economico degli Anni ’60 in Paesi quali l’Italia, la Spagna, la Francia). Sono gli anni nei quali la partecipazione delle donne al mercato del lavoro si fa via via sempre più diffusa; sono anche gli anni nei quali, in numero sempre più crescente, le donne accedono ai gradi di istruzione superiore, e sono, infine, gli anni del femminismo, con le molteplici accezioni e le derive che tale corrente di pensiero assume. In particolare sottolineiamo come la cultura del genere e della sostanziale in-differenza rispetto al maschile e al femminile, considerati come “costruzioni sociali” e quindi come “stereotipi” da abbattere, sia diventata pressoché mainstreaming. A questo si oppone la visione antropologica cristiana:

 

«… La donna rappresenta un valore particolare come persona umanae, nello stesso tempo, come quella persona concreta,per il fatto della sua femminilità.Questo riguarda tutte le donne e ciascuna di esse, indipendentemente dal contesto culturale in cui ciascuna si trova e dalle sue caratteristiche spirituali, psichiche e corporali, come, ad esempio, l'età, l'istruzione, la salute, il lavoro, l'essere sposata o nubile.» (Mulieris Dignitatem, n. 29)

 

Gli ultimi decenni del Novecento vedono la definitiva consacrazione della parità (formale) tra uomini e donne sul luogo di lavoro, e l’accesso delle prime donne a livelli di alta dirigenza; in molti Paesi tra i quali l’Italia, tuttavia, una grande maggioranza di donne, con il passaggio alla maternità, sceglie di ritirarsi dal lavoro per svolgere il proprio compito di cura familiare, soprattutto le donne con più alti livelli di istruzione appartenenti alle classi più agiate. L’ascesa del protagonismo femminile nel mercato del lavoro è segnato anche da profondi cambiamenti nell’ambito della famiglia, e da un’equazione sostanziale tra presenza della donna nel mercato del lavoro e bassi tassi di fertilità.

 

A partire dalla metà degli anni Novanta, tuttavia, il quadro muta radicalmente in alcuni aspetti specifici. Nel campo dell’istruzione, le donne giungono al culmine della parabola ascendente: si laureano prima e con voti migliori dei colleghi maschi, un dato che è rimasto costante in questi ultimi vent’anni. La partecipazione femminile al mercato del lavoro diventa quindi un dato realmente importante: sono le donne con livelli di istruzione più alti quelle che, avendo presumibilmente stipendi migliori e maggiori possibilità di carriera, rimangono al lavoro. La massiccia presenza numerica di donne nel mondo del lavoro non porta tuttavia con sé un’altrettanto rapida e conseguente presenza delle donne ai livelli decisionali: in tutti i Paesi (e in alcuni più di altri) le donne che rimangono nel mercato del lavoro sperimentano l’esistenza di quel “soffitto di cristallo” che preclude loro di arrivare ai livelli alti: un soffitto che non si vede, ma c’è, perché la parità uomo-donna è formalmente dichiarata, ma sostanzialmente disattesa.

 

A partire dalla fine degli anni Novanta, il mercato del lavoro inizia a mutare secondo quei trend che sono diventati oggi evidenti a tutti: maggiore precarizzazione dei posti di lavoro, e perdita del potere di acquisto dei salari. Questi due aspetti congiunti fanno sì che, nel budget familiare, il lavoro femminile venga considerato sempre meno come un elemento accessorio, e sempre più come reale necessità per “arrivare a fine mese”. Al contempo, emerge come evidente un altro dato statistico: sono le donne che lavorano quelle che decidono di avere figli, mentre i Paesi e i territori nei quali maggiore è il livello di disoccupazione/inoccupazione femminile, minori sono i tassi di fertilità (accade in Italia rispetto all’Europa, al Sud Italia rispetto al Nord Italia).

 

La doppia presenza sul mercato del lavoro e come caregiver di riferimento all’interno della famiglia, ruolo che le donne hanno mantenuto, ha posto il contesto familiare di fronte a nuove sfide, sia all’interno (definizione dei ruoli, gestione della cura) sia all’esterno (a chi e come affidare i compiti di cura?). Molteplici le soluzioni adottate nei vari Paesi, che non sono riusciti finora a trovare la “ricetta magica”, in un difficile bilanciamento tra politiche di pari opportunità e matrifocali centrate sull’affidamento della cura ai servizi e politiche di supporto alla cura familiare.

 

In particolare, all’interno del dibattito sul lavoro femminile e sulla cura, appare necessario:

 

- riconoscere la necessità di politiche di conciliazione famiglia-lavoro come politiche familiari, e non solo come politiche di pari opportunità. Se le politiche di pari opportunità appaiono necessarie nel nostro Paese, è altresì necessario riconoscere che le responsabilità genitoriali stanno in capo a entrambi i genitori, e non solo alle madri. Tale riconoscimento darebbe luogo alla formulazione di politiche che siano realmente di armonizzazione tra la vita lavorativa (di entrambi i genitori) e la vita familiare.


- riconoscere a livello sociale e fiscale l’insostituibile ricchezza prodotta dal lavoro di cura familiare; tale lavoro di cura è equiparabile oggi, secondo recenti studi, a oltre il 30% del PIL europeo. Eppure, la scelta di molte donne di dedicarsi alla famiglia è oggi fortemente penalizzata non solo a livello sociale, ma anche a livello fiscale e contributivo.

 

- riconoscere che la dimensione della cura non consiste solo nel lavoro di cura familiare e nell’accudimento dei bambini piccoli o degli anziani fragili, secondo quell’accezione restrittiva e strumentale adottata dalle maggiori agenzie internazionali. La cura è una dimensione complessa che comprende la relazionalità, l’espressività, la dedizione, la piacevolezza, il reciproco riconoscimento e deve essere considerata fine a se stessa.

- permettere alle famiglie una reale libertà di scelta tra molteplici opzioni: lavoro fuori casa, lavoro di cura familiare, un mix tra i due; libertà di scelta tra differenti tipologie di servizi, baby-sitter, o un mix tra servizi e cura privata; libertà di scelta riguardo alla quantità di tempo da dedicare al lavoro remunerato e al lavoro di cura familiare.

Abstract dell'intervento tenuto a Bareggio, 11.05.2012.

Pubblicato il 22 maggio 2012 - Commenti (0)

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Autore del blog

Famiglia e Lavoro

Lorenza Rebuzzini

Laureata in filosofia, mamma di due bambini, per me la conciliazione famiglia-lavoro è pratica quotidiana e oggetto di riflessione da quando, nel 2005, inizia la mia collaborazione con il Cisf per il Nono Rapporto Cisf su Famiglia e Lavoro. Qui riprendo le fila del discorso...

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