09
mag
Vorrei rispondere alla mamma che le ha
scritto sulla sua situazione di donna incinta
con un contratto non a tempo indeterminato
(FC n. 16/2013). Come donna condivido il
sentimento di rabbia e frustrazione per l’abuso
di potere esercitato dai datori di lavoro. Come
dipendente di una grande azienda dove, invece,
sono le future mamme ad abusare dello stato
di “donne incinte” e “puerpere” per i benefici
che lo Stato riconosce loro, sono dalla parte dei
datori di lavoro. Spesso si guarda solo ai diritti
delle donne e non a quelli delle aziende che,
in questo periodo di crisi, devono sopportare
i costi della scelta affrettata di una dipendente
ad avere un nuovo figlio. Viviamo in un
Paese troppo garantista verso le donne, che
pretendono, tra l’altro, la “parità” con l’uomo.
Non ho mai provato la gioia d’essere madre, ma
mi chiedo se sia giusto abusare della maternità
“per farla pagare ai maschi”.
Laura
Cara Laura, faccio fatica a ritrovarmi nel tuo linguaggio.
Anzi, non mi pare vero che una donna possa
avere un concetto di maternità così poco rispettoso.
Il lavoro è per l’uomo, non è l’uomo servo del lavoro.
La vita è il bene più prezioso che abbiamo, e
tutto deve ruotare, con armonia, attorno a essa. Il risentimento
è cattivo consigliere.
Pubblicato il
09 maggio 2013 - Commenti
(9)
18
ott
Sono un suo affezionato lettore trentenne. Sposato
da due anni, con infinita gioia aspettiamo il nostro
primo figlio. Sia io che mia moglie siamo stati educati
al rispetto del prossimo. Voglio raccontarle un
episodio che ci ha tanto feriti, legato alla gravidanza di
mia moglie. Lei, libera professionista, lavora a Venezia
e si sposta con i mezzi
pubblici. È al settimo mese
di gravidanza e continua
a lavorare, non potendo
usufruire del permesso
di maternità. Una mattina,
sul vaporetto che la portava
a Venezia, era seduta nei
posti riservati ai disabili,
alle donne in gravidanza
e agli anziani. Poco dopo,
sale una signora anziana,
ma in perfetta forma fisica,
che in modo arrogante
le ordina di alzarsi e lasciarle il posto. Tre ragazze
sedute accanto avrebbero potuto alzarsi, ma fanno
“orecchie da mercante”. Anzi, insultano mia moglie.
Nell’indifferenza generale. Solo una signora interviene
allibita. E fa notare la gravidanza avanzata di mia
moglie. A quel punto, lei si era già alzata. L’episodio mi
ha fatto sorgere tanti interrogativi. Ma in che mondo
viviamo? Perché prevalgono solo i furbi e gli arroganti?
Che rispetto c’è per la vita? L’inciviltà ha davvero preso
il sopravvento su tutto il resto?
Un futuro papà
Non c’è nulla di peggio dell’indifferenza. Se ciascuno
bada solo a sé stesso e chiude gli occhi (e il cuore) sui bisogni
degli altri, siamo al trionfo dell’egoismo. Mauna società
che non rispetta nemmeno una donna incinta al settimo
mese, è davvero poco umana. Più che le invettive dell’anziana
signora e la strafottenza delle tre ragazze, colpisce il
silenzio dei presenti. Nessuno ha avuto il coraggio di intervenire,
eccetto una donna. Quando di fronte al sopruso si
gira lo sguardo altrove, è un gran brutto segno.
Pubblicato il
18 ottobre 2012 - Commenti
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02
feb
Con dolore ho deciso di non rinnovare l’abbonamento. Ma
non volevo andarmene senza salutarla. Ci siamo fatti ottima
compagnia per molti anni. Famiglia Cristiana arrivava puntuale
nella casa, dove sono cresciuta prima che mi sposassi. Poi mi
sono abbonata io stessa. Non lo faccio per la crisi economica,
ma per una crisi dello spirito. Purtroppo, dopo quattro anni
di matrimonio, non sono arrivati bambini. E, salvo miracoli,
non ne arriveranno. Abbiamo iniziato le pratiche per l’adozione,
ma anche questa via è risultata tortuosa. Ci sono pochi bambini
adottabili e molte coppie desiderose di adottare. La spuntano
quelli con i redditi più alti.
Tornando a noi, col tempo mi sono accorta che, sfogliando la rivista, i miei occhi cadevano sempre sulle
foto di famiglie con bambini. Gli articoli che catturavano il mio
interesse erano quelli sull’educazione dei figli, sul ruolo dei nonni,
sulla scuola, sull’infanzia. Per anni ho pensato: «Queste cose, un
giorno, mi serviranno». Ora, invece, dopo aver ingoiato il boccone
amaro della sterilità, devo salvare me stessa dalla depressione
e tenere in piedi il matrimonio. Purtroppo, continuare a vedere foto
e titoli sui bambini, per me è un pugno allo stomaco. Riconosco che
non sono mancati articoli su adozione o sterilità. E che gli interventi
su attualità, politica italiana ed estera, cultura... sono ottimi. Inutile
dirle che la saluto con la speranza di ritrovarci.
Un’amica
Spero che tu, cara “amica”, lettrice fedele da tanti anni, non ti sia già
allontanata del tutto. Perché alla familiarità con la rivista, con la quale
sei cresciuta, fa contrasto una decisione che mi appare affrettata. E anche
poco logica. A mio parere, non aiuta a vincere la depressione chiudersi
in sé stessi. E tormentarsi su quel bene prezioso dei figli che non sono
arrivati. Ci sono altre forme di maternità e paternità, per sentirsi realizzati.
Capisco il dolore di chi ha mandato giù un “boccone amaro” come
il tuo, ma più che tagliare i ponti (anche con la nostra rivista), occorre
reagire con forza. E aprirsi. La via dell’adozione, pur con tutte le sue
difficoltà, va ancora perseguita. Non è una questione di soldi.
Pubblicato il
02 febbraio 2012 - Commenti
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