Don Sciortino

di Barbara Tamborini

Barbara Tamborini, psicopedagogista, autrice di libri sull'educazione. Ha 4 figli.

 
26
mar

A tu per tu

«…la mia cella... è da lì che osservo il mondo, gli eventi, le persone che me lo rendono famigliare e amato; è lì che assumo consapevolezza delle gioie e delle sofferenze che attraversano i miei giorni; ed è lì che prendono forma le parole con cui tento di narrare qualcosa della mia vita e della mia fede nella compagnia degli uomini». (E. Bianchi – Priore della Comunità Monastica di Bose, Ogni cosa alla sua stagione, Einaudi, 2010. Un libro semplice e intenso che vi consiglio).

Una mamma può avere una cella in cui trovare rifugio, un luogo silenzioso dove ritirarsi? A ogni parto, qualche giorno dopo il rientro a casa dall’ospedale, ricordo l’istante in cui ho telefonato per prendere un appuntamento da un parrucchiere, evitando quello dove vado di solito per poter stare in silenzio. Sempre lo stesso gesto: un’ora al massimo, dopo una poppata abbondante, l’emozione di uscire da sola, magari con un libro, aspettare per qualche attimo il mio turno, sedermi senza niente da fare, godere di quelle dita che mi massaggiano la testa, vedermi nello specchio stanca ma in ordine e poi correre di nuovo a casa. Osservare la faccia stupita di mio marito che stenta a riconoscermi. Un momento tutto per me in cui risentirmi. Ogni volta che mi faccio una doccia bollente, senza fretta, con la porta del bagno chiusa e i bambini sanno che devono aspettare che la mamma la riapra per chiedermi qualcosa. Quando entro nella Chiesa a fianco delle scuola materna dove accompagno i miei figli più piccoli. Qualche volta, non sempre, perché ci sono tanti buoni motivi per non fermarsi, magari anche solo un caffè al volo con un’amica al bar dell’angolo. Sedermi sulla panca e addomesticare i pensieri che corrono veloci altrove, la tentazione di fare in fretta, la fatica di stare. “Mamma” “Mamma” “Mamma” almeno cento volte al giorno o mille quando c’è tanto da chiedere. È difficile trovare una cella per una mamma e poi diventa sempre più difficile anche solo desiderarla. La tentazione più forte è quella di pensare che Dio possa fare poco per le mie fragilità. Ognuno ha le sue aree di debolezza, inquietudini che ci mettono alla prova, che ci fanno sentire insoddisfatti. La testa rumina questi pensieri e lo sforzo per fare spazio alle preghiera sembra inutile. Il monaco racconta il non senso che minaccia chi sta in cella con questa domanda: «Cosa ci sto a fare?... e assieme …avvertivo il disgusto per lo sforzo spirituale, il rifiuto a pensare e a meditare, l’impossibilità a pregare. …la cella diventa una prigione, …un tempo vuoto». La tentazione per una mamma è credere che un tempo vuoto sia uno spreco oltre che qualcosa di impossibile. Riempire ogni buco di tante cose da fare è un frutto irresistibile. C’è sempre una risposta da dare, un gioco da raccogliere, un risotto da girare.

J (11 anni): “Mamma, come va il tuo fioretto di Quaresima?”
“Bene, e il tuo?”
J: “Ce la sto facendo, non sto aggiungendo sale a niente”.
“Bravissimo! Credevo non riuscissi a mantenere l’impegno”.
J: “È faticoso. L’altro giorno poi la nonna ha fatto una pasta insipida”.

Una pietanza insipida dopo un giorno di fioretto è terribile. Dopo quattro settimana è tollerabile, ci si può accorgere del sapere della pasta e dell’olio, si è capaci di apprezzare gusti delicati. Auguro a tutte le mamme qualche attimo in cella, da vivere con perseveranza, anche quando sembra inutile, anche quando avremmo motivi ragionevoli per continuare a correre. A tutte le mamme il piacere di percepire i sapori nascosti dell’incontro col silenzio. Mi piacerebbe molto che le mamme (e non solo) raccontassero come stanno vivendo la Quaresima, le fatiche di ritagliarsi uno spazio di raccoglimento con se stessi, gli istanti in cui si è sperimentato il piacere del silenzio. Raccontateci se lo stare da soli è per voi una cella, una prigione… o forse solo un’utopia.

Un piccolo regalo per chi legge: Ma io voglio bene a Giuda – Giovedì Santo 1957 – Omelia di don Primo Mazzolari   Perché “il più grande dei peccati è quello di disperare” non quello di tradire. Buona Quaresima a tutti.  

Pubblicato il 26 marzo 2012 - Commenti (1)
16
mar

Un figlio su quel pullman

Stavano tornando da una vacanza sulla neve, da una delle settimane più belle della loro vita. Desiderata, supplicata, conquistata, alla fine erano riusciti a esserci e ne era valsa la pena. Quando i figli sono piccoli siamo noi a spingerli verso l’esterno. Loro ci vogliono vicini, sono abituati a fare tutto con noi, a essere accompagnati, scortati.
“J. (9 anni) a catechismo adesso vai da solo”.
“No mamma, ti prego, accompagnami. E se incontro un bullo?”
“Vai tranquillo, devi solo fare poca strada (abitiamo a 400 metri dall’oratorio) e a quest’ora c’è un sacco di gente, ce la puoi fare!”
“Ti prego! Vieni con me”.
“No. Devi andare e tornare da solo. Stai molto attento ad attraversare”.

La stessa cosa abbiamo detto ad A. E così per la palestra o la cartoleria in piazza. Abitiamo in una piccola cittadina, il traffico è modesto, ci si conosce un po’ tutti. Possiamo osare. Nessuno dei nostri figli ha un cellulare e quindi non abbiamo modo di verificare che siano arrivati a destinazione, dobbiamo credere che tutto sia andato per il meglio e aspettare il loro rientro. Le prime volte ero agitata. Li ho anche seguiti da lontano per verificare che se la cavassero. Mio marito mi ha aiutato a placare le ansie, a lasciarli andare. Tra qualche anno saranno loro a voler andare da soli, useremo tutte le nostre forze per moderare i loro slanci. Ci chiederanno di uscire, di andare in vacanza con un amico, di stare fuori la sera. Noi li sosteniamo perché imparino a stare lontano dai pericoli e a comportarsi bene.. Li ammiriamo nel vederli crescere, gioiamo quando tornano felici da una trasferta con la squadra di calcio. I figli, nelle loro sperimentazioni, rimettono in discussione quello che hanno appreso in famiglia per costruire una nuova sintesi… molte volte anche migliore di quella che noi abbiamo provato a impostare per loro.

I figli nascono per viaggiare e i genitori per attenderli. Non ci sono parole per raccontare il dolore dei genitori all’obitorio di Sion. Chi gli è prossimo avrà modo di fare sentire tutta la solidarietà che in questi momenti non è mai abbastanza. Tutti noi che assistiamo da lontano alle immagini del loro dolore possiamo solo essere prossimi nella preghiera per chi crede. Una cosa concreta però la possiamo fare tutti. Possiamo continuare a lasciare i nostri figli liberi di andare. È quasi tempo di gite e di decidere le vacanze estive. Tutti noi ci sentiamo interpellati pensando ai viaggi che anche i nostri figli faranno in pullman, alle gallerie che dovranno attraversare, ai pericoli nascosti ovunque. Eppure il valore di una settimana bianca ben vissuta con amici e insegnanti è troppo grande e importante. Lo è per tutti quelli che torneranno a casa felici di riabbracciare i loro genitori. Ma lo è anche per chi a dodici anni è morto in un incidente. Spero con tutto il cuore che nessun genitore prenda su di sé oltre il dolore per la perdita del figlio, il rimpianto o il senso di colpa per aver messo il proprio bambino su quel pullman. Gli effetti di chi trattiene per paura i figli sono meno evidenti, forse oggi si vedono solo i vantaggi, ma se si guarda la vita dall’alto si scopre la verità. Un genitore che  non lascia sperimentare ai figli le gioie di una gita, di una vacanza, di un’esperienza di gruppo fa un grave danno al proprio bambino. Genera una morte con la “m” minuscola che si alimenta di piccole rinunce fino a diventare potente e distruttiva.

Quei genitori che oggi piangono un dolore infinito, resteranno per sempre nel mio cuore quando dovrò scegliere per il bene dei miei figli. Li penserò quando li lascerò andare verso qualcosa di buono, nonostante i rischi che questo comporta. E che i genitori siano uniti nel sostenere le esplorazioni che fanno bene ai figli. Che nessuno dica mai: “Te l’avevo detto di non mandarlo!”  

Pubblicato il 16 marzo 2012 - Commenti (3)
08
mar

Essere mamma è...

Ho chiesto a un po’ di amiche mamme di provare a rispondere con una frase. Lo hanno fatto in un po’ e qui di seguito trovate le loro risposte.


Esserci sempre! Quando sei in super forma ma anche e sopratutto quando sei stanca e vorresti avere solo tempo per te! (Valentina)

A 18 anni ero in vacanza in montagna con i miei genitori. Ricordo che avevamo in programma di raggiungere un ghiacciaio e un lago, un percorso piuttosto lungo e difficile, e proprio la notte prima non ero stata bene. Nonostante ciò intrapresi il cammino ancora scombussolata, e dopo diverse ore, raggiunsi la meta: ancora sono vive in me la soddisfazione e l’emozione di fronte a tanta bellezza…ecco essere mamma, per me, è come la scalata di una montagna. (Francesca)

Essere come me! (Giulia)

Costruire insieme un aquilone ed insegnare ai propri figli a farlo volare anche nelle tempeste. Occhio però ai fulmini. (Lorena)

Essere mamma è l'espressione più bella di essere donna, è una dimensione che riesce a riempirti di immenso. (Stefania)

In ogni momento, per sempre! (Emanuela)

Vivere con il telefonino appresso sperando che non suoni mai la suoneria dei figli e il sabato sera inventarsi pranzi speciali domenicali per passare la notte e veder tornare i figli; mia zia dice non si finisce mai! (Annalisa)

Un dono immenso e una sfida quotidiana. (Francesca)

Un cammino con un panorama mozzafiato! Andare…dove ti porta il cuore, scoprire che non sei un fenomeno ma neppure una frana e capire  che tua madre è stata un gran donna! (Nicoletta)

Stare al gioco e ridurre tutto all'essenziale. (Milena)

L'abbraccio più dolce che c'è. Generare nell'amore, accudire con amore, condurre con amore: incarnare l'amore affinchè i nostri figli in quest'amore abbiamo la forza di sperimentare se stessi. È ....come annaffiare un piccolo fiore. (Elena)

Trovare ogni giorno un motivo per essere felice. (Barbara)


Grazie di cuore a tutte queste donne e ora aspettiamo le vostre risposte: cos’è per voi essere mamma? Possono rispondere anche gli uomini (so che ci sono anche dei sacerdoti che leggono il blog e mi piacerebbe sentire la loro voce!). Un caro saluto a tutti.

Ps. Ad Andrea: non so darti una risposta, ma ti auguro che la vita ti aiuti a trovare le risposte che cerchi! (post del 29 febbraio)  

Pubblicato il 08 marzo 2012 - Commenti (1)
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