Vincent van Gogh, Pioggia (1889). Filadelfia, Philadelphia Museum of Art.
Come la pioggia e la neve scendono giù dal cielo, e non vi ritornano senza averla irrigata, fecondata e fatta germogliare, per dare seme al seminatore e pane a chi mangia, così sarà della parola uscita dalla mia bocca.
(Isaia 55, 10-11)"
La parola ebraica majîm, “acqua”, risuona
580 volte nell’Antico Testamento, come
l’equivalente greco hydôr ritorna 76
volte nel Nuovo Testamento (metà di esse
nel solo Vangelo di Giovanni). Circa 1.500
versetti dell’Antico e oltre 430 del Nuovo Testamento
sono “intrisi” d’acqua perché – oltre
ai vocaboli citati – c’è una vera e propria
costellazione di realtà che ruotano attorno
a questo elemento vitale, a partire dal mare
che spesso ha connotati negativi, quasi fosse
simbolo del caos che attenta al creato, passando
attraverso le piogge (che in ebraico
hanno nomi diversi secondo le stagioni), le
sorgenti, i fiumi, i torrenti, i canali, i pozzi, le
cisterne, la neve e così via.
Si comprende, allora, perché l’acqua si trasformi
in un emblema di Dio che in un Salmo
“primaverile”, il 65, è celebrato come il
supremo agricoltore che irriga le campagne
con il carro delle acque. Anche nella letteratura
dei Cananei, gli indigeni della Terra Santa,
si cantava «la pioggia effusa dal Cavaliere
divino delle nubi versate dalle stelle», mentre
il bacio fecondo del dio Baal faceva germogliare
la vegetazione e il temporale era
concepito come il suo orgasmo che donava alla
terra arida e assetata il seme vitale della
pioggia. A questa visione “panteistica” e materialista
la Bibbia si oppone e vede nella
«sorgente di acqua viva» (Geremia 2,13) solo
un simbolo del Signore.
Nel frammento che ora proponiamo – e
che costituisce in pratica l’ultima pagina del
cosiddetto Secondo Isaia (capp. 40-55), profeta
anonimo del VI sec. a.C. la cui opera è entrata
nel libro del grande Isaia (VIII sec. a.C.) –
l’acqua, unita alla neve, diventa invece un segno
della parola di Dio senza la quale l’esistenza
umana si tramuta in un deserto sterile.
Ciò che il profeta vuole marcare è soprattutto
la fecondità e l’efficacia di questa parola,
comparata al tipico processo naturale della
pioggia, dell’evaporazione, delle nubi e della
nuova pioggia. È un ciclo vitale che trasforma
la nostra vicenda umana quasi in una parola
divina capace, a sua volta, di rendere fertili altri
ambiti della storia.
Soprattutto si insiste sul vigore che ha in
sé la parola di Dio: essa «non ritorna a me»,
dice il Signore, «senza effetto, senza aver operato
ciò che desidero e senza aver compiuto
ciò per cui l’ho mandata». Come è evidente,
l’immagine idrica trascolora e trapassa in
quella di un messaggero celeste che ritorna
dal suo re dopo aver compiuto la sua missione.
Lasciamo, però, questa suggestiva raffigurazione
della rivelazione divina, fonte di vitalità
spirituale, e ritorniamo alla più realistica
pioggia da cui siamo partiti, che è anch’essa
principio di vitalità ma fisica.
Concluderemo, dunque, con un’invocazione
delle Diciotto Benedizioni, testo capitale
del culto giudaico: «Siano rugiada e pioggia
come una benedizione su tutta la superficie
della terra. Benedici i prodotti della terra perché
ne goda il mondo intero e concedi benedizione,
abbondanza e successo all’opera delle
nostre mani!».
Pubblicato il
07 luglio 2011 - Commenti
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