13 giu
"Non da sangue né da volere di carne,
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati"
(Giovanni 1,13)
Madonna col bambino di Giovanni Bellini (1430-1516). Bergamo, Accademia Carrara.
Il soggetto di questa frase è presente nel versetto precedente
del grandioso inno che funge da prologo al Vangelo di Giovanni: «I figli di Dio, quelli che credono nel suo nome»
(v.12). Si avrebbe, quindi, la proclamazione di quella che
san Paolo definirà come l’adozione a figli da parte di Dio
mediante la fede (Galati 4,4-7; Romani 8,15-17).
È curioso,
nell’originale greco, l’uso del plurale “sangui”, che riflette
un’antica concezione fisiologica secondo la quale l’embrione
era generato dall’impasto del sangue materno e dal semesangue paterno. La formula “volere [o desiderio] di uomo” è
evidentemente anch’essa legata alla cultura del tempo di
stampo maschilista: era il maschio l’agente principale della
generazione (tra l’altro, si ricordi che l’ovulo femminile fu
identificato solo nel 1827!).
Fatte queste puntualizzazioni, è facile immaginare la domanda dei nostri lettori: dov’è mai la difficoltà di questo versetto? La risposta è più di indole teologica che esegetica. La
quasi totalità degli antichi manoscritti greci che ci hanno trasmesso il Nuovo Testamento sono concordi nell’avere il verbo al plurale: «da Dio sono stati generati (eghennéthesan)». Di
scena sono, quindi, i credenti in Cristo, Verbo divino.
Tuttavia, dobbiamo segnalare che un solo codice greco, alcuni manoscritti dell’antica versione latina e non pochi Padri
della Chiesa (come Giustino, Ireneo, Tertulliano) propongono un testo col verbo al singolare: «Non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio è stato generato (eghennéthe)».
È evidente che in questo caso di scena non saremmo più
noi con la nostra generazione spirituale a figli di Dio, ma sarebbe lo stesso Cristo, con la sua origine verginale reale,
«non da sangue né da volere di carne, né da volere di uomo».
È, però, altrettanto evidente che questo verbo al singolare potrebbe essere un successivo adattamento del testo giovanneo, per riproporre la dichiarazione che i Vangeli di Matteo
(1,18-25) e di Luca (1,26-38) hanno riguardo alla generazione
verginale di Gesù: egli non è frutto dei meccanismi biologici
genetici umani, ma è dono divino attraverso Maria.
Aggiungiamo un’ulteriore nota erudita. Alcuni studiosi
pensano che questa lettura al singolare sia originata da
una polemica contro un’ipotetica accusa da parte ebraica
secondo la quale si affermava che i cristiani – sulla base di
un passo oscuro del libro della Genesi (6,1-4) – consideravano Gesù come un gigante dell’antichità, concepito da
una donna e da un “figlio di Dio”, cioè un angelo. Tra l’altro, in uno scritto apocrifo giudaico molto popolare detto
Libro di Enoc si riprende proprio l’arcaica tradizione biblica dei giganti, considerati frutto dell’unione tra donne e
angeli, e la si condanna.
Pubblicato il 13 giugno 2013 - Commenti (2)
07 giu
"La luce splende fra
le tenebre, e le tenebre
non l'hanno vinta"
(Giovanni 1,5)
La separazione della luce dalle tenebre , cupola della Genesi, mosaici del secolo XII. Venezia, Basilica di San Marco.
Tra i famosi manoscritti giudaici venuti alla luce nel 1947 a Qumran,
sulla sponda occidentale del Mar
Morto, ce n’è uno intitolato dagli studiosi
Il Rotolo della Guerra: in esso si descrive la battaglia finale di una
guerra
quarantennale tra i Figli della Luce e i
Figli delle Tenebre, segnata dal trionfo della Luce.
Ebbene, nel celebre inno
che funge da prologo al Vangelo di Giovanni si ha qualcosa di analogo e il versetto che noi abbiamo proposto ne è
un’evidente attestazione. Lo è almeno
nella versione che è stata adottata e che
è anche quella scelta dall’ultima edizione della Bibbia della Conferenza episcopale italiana.
La precedente – che è quella forse ancora nelle orecchie dei nostri lettori –
suonava invece così: «La luce splende
nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta». Alcuni, abituati al latino,
hanno ancora in mente la resa offerta
dalla
Vulgata
di san Girolamo:
Lux in tenebris lucet, et tenebrae eam non comprehenderunt
e, nel tardo latino, quel
comprehenderunt
poteva avere anche
valore di “non compresero”.
Allora, quale sarà mai la traduzione
giusta del verbo greco originale
katélaben? “Vincere”, “accogliere”, “comprendere” non sono la stessa cosa, eppure sono verbi diversamente usati da versioni
ufficiali o qualificate. Qual è, dunque,
quella preferibile? Diciamo subito che il
verbo greco presente nel testo originario
è di sua natura ambiguo perché può ospitare al suo interno tutta la gamma dei significati indicati, sia pure con accenti diversi. Partiamo dalla resa «le tenebre
non hanno
compreso» (la luce).
Di per sé è possibile, dato che le tenebre sono nel quarto Vangelo sinoni-
mo di “mondo” e nel versetto 11
dell’inno-prologo si dice che «il mondo non ha riconosciuto» il Verbo-Luce-
Cristo. Ma la formulazione risulta un
po’ estranea al modo con cui Giovanni
sviluppa
il tema della rivelazione e del
giudizio compiuti da Cristo nei confronti del mondo.
Passiamo, allora, all’altra traduzione:
«le tenebre non l’hanno
accolta». Certo,
se Giovanni avesse avuto in mente l’aramaico, la lingua allora dominante in Terrasanta, avrebbe potuto proporre un gioco di parole:
la’ qableh qablâ
, «le tenebre
non l’accolsero». Ma il verbo greco usato
dall’evangelista indica piuttosto un’opposizione, espressa dalla preposizione
katà; sarebbe stato più logico usare il verbo
parélaben
, come appunto si ha nel
versetto 11: «Venne tra i suoi, e i suoi
non l’hanno accolto (parélabon)».
Rimane, dunque, il terzo significato,
accettato dalla versione da noi proposta: «le tenebre non l’hanno vinta» (o
“sopraffatta”). Il senso ostile ben s’adatta allo
scontro che intercorre tra la luce e le tenebre, tra Cristo e il mondo.
È
una sfida di cui il cristiano conosce l’esito. Tra l’altro, è da notare che questo
senso affiora anche nell’unico altro passo del quarto Vangelo in cui appare lo
stesso verbo greco: «Camminate mentre
avete la luce, perché le tenebre non vi
afferrino (katalábê)» (12,35). Il nostro
versetto proclama, dunque, la fiducia
nella vittoria finale di Cristo sulle tenebre, sul mondo, sul male.
Pubblicato il 07 giugno 2013 - Commenti (2)
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