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Le tante croci della nostra vita

Cristo sul Calvario incontra la Madre e la Veronica. Francesco Bonsignori, (1455 -1519 ca.), Firenze, Bargello (Scala).
Cristo sul Calvario incontra la Madre e la Veronica. Francesco Bonsignori, (1455 -1519 ca.), Firenze, Bargello (Scala).

"Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua."

(Luca 8,1-2)

Qualche lettore si chiederà: dov’è mai la difficoltà in questa frase che abbiamo sentito tante volte nelle prediche senza imbarazzarci, anche perché di croci da portare ne abbiamo non poche nella nostra vita quotidiana? Abbiamo voluto proporre questo lóghion – come lo chiamano gli studiosi – ossia questo “detto” lapidario di Gesù, per mostrare in verità quanto minuziosa debba essere la nostra lettura dei testi biblici, così da non perdere la ricchezza delle loro iridescenze tematiche e delle loro sfumature. Partiamo innanzitutto dal tema della frase pronunziata da Cristo.
L’espressione «venir dietro a me» (in greco opíso mou érchesthai) designa la sequela del discepolo che deve avere come emblema di imitazione il suo Maestro e Signore, muovendo i passi della vita sul suo stesso sentiero.
Questo percorso comprende due decisioni. La prima è il “rinnegare sé stessi”, ossia abbandonare l’egoismo e l’interesse personale. È ciò che non farà in quella notte drammatica san Pietro il quale, anziché “rinnegare sé stesso”, “rinnega” il suo Signore (Matteo 26,69-75; Luca 22,54-62).
La seconda scelta da compiere è quella di avviarsi sulla salita ardua del Calvario, pronti a essere coerenti fino alla fine, sacrificando ogni cosa, anche la stessa vita. Matteo presenta, infatti, questo detto di Gesù così: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (16,24).
Come è evidente, l’evocazione è quella della crocifissione; in altri termini, l’evangelista, che scrive a una comunità cristiana contestata e perseguitata, fa balenare davanti ai loro occhi anche il rischio del martirio, una scelta estrema da compiere sulla scia del suo Signore.

Diverso è il contesto a cui si rivolge Luca: i cristiani sono poveri e in gravi difficoltà nell’esistenza quotidiana. Ecco, allora, la variante che egli introduce per applicare la frase di Gesù all’esperienza che i suoi lettori stanno vivendo: il discepolo «prenda la sua croce ogni giorno e mi segua». Quell’“ogni giorno” è significativo perché evoca l’impegno che si deve assumere nelle vicende giornaliere. La “croce” diventa il simbolo di tutte le prove, le fatiche, i sacrifici, le sofferenze che gravano sulla vita e che il cristiano accoglie con fedeltà e costanza come segno della sua adesionesequela a Gesù.
È questa una sorta di legge evangelica, tant’è vero che più avanti Cristo ribadisce: «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo» (Luca 14,27). E non è detto che sia meno impegnativo portare la propria croce ogni giorno rispetto all’atto estremo del martirio. È un po’ quello che affermava Pirandello in un suo dramma, Il piacere dell’onestà (1917): «È molto più facile essere un eroe, che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini, si dev’essere sempre».

Pubblicato il 24 gennaio 2013 - Commenti (4)
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Una santa "calunniata"

Cristo risorto appare a Maria Maddalena, 1521-1523, affresco di Bernardino Luini. Milano, chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore (Scala).
Cristo risorto appare a Maria Maddalena, 1521-1523, affresco di Bernardino Luini. Milano, chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore (Scala).

"C’erano con Gesù i Dodici e alcune donne...
Maria, chiamata Maddalena,
dalla quale erano usciti sette demoni."

(Luca 8,1-2)

La storia dell’arte ha potuto ricamare molto liberamente immagini erotiche attorno alla figura di Maria originaria del villaggio di Magdala (che s’affaccia sul lago di Tiberiade): l’ha ritratta, infatti, spesso discinta o nuda, coperta solo dai lunghi e morbidi capelli, anche quando la rappresentava nello stato di penitente, come accade nella tela di Tiziano (1523) di Palazzo Pitti o alle varie “Maddalene” di Guido Reni, riprese in repliche e copie. Ma questa donna – che seguirà Gesù fino ai piedi della croce e che lo incontrerà il mattino di Pasqua nell’area cemeteriale di Gerusalemme ove era stato sepolto (Giovanni 20,11-18) – era proprio una prostituta convertita?

Se stiamo al testo di Luca che abbiamo citato, troviamo solo questa annotazione: da lei Gesù aveva fatto «uscire sette demoni». Più o meno una cosa analoga è detta delle altre figure femminili che costituiscono, coi Dodici, il seguito di Cristo: «Alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità ».
Ora, è noto che spesso nella Bibbia non si distingue nettamente tra malattia e possessione diabolica. Ad esempio, il giovane che Gesù guarisce ai piedi del monte della Trasfigurazione rivela chiaramente i sintomi dell’epilessia, ma gli evangelisti parlano di un «demonio» o di uno «spirito impuro » (vedi, ad esempio, Marco 9,14-28, oppure Luca 9,37-43).

Il nesso tra peccato e malattia, che spesso affiora nell’Antico Testamento, favoriva questa confusione, ma a noi non permette di identificare un malato con un ossesso. Ora, nel caso della Maddalena, Luca parla di una sua liberazione da ben sette demoni.
Si può, perciò, o ipotizzare una grave forma di possessione diabolica o più semplicemente – per la ragione sopra addotta – di una grave e particolare infermità (il sette è un numero simbolico che indica pienezza) dalla quale Gesù l’avrebbe liberata.

A questo punto è legittima la domanda: perché si è pensato che questo stato di male fosse collegato alla prostituzione? La risposta sarà per molti un po’ sorprendente perché si lega non tanto al testo citato, quanto al suo contesto.
Nella pagina precedente, del tutto indipendente, si narra infatti l’episodio che si svolge nella casa di un capo dei farisei di nome Simone, del quale Gesù è ospite (Luca 7,36-50). Là effettivamente entra in scena «una peccatrice di quella città»: essa rivela, però, uno spirito di pentimento e di umanità superiore a quello dei benpensanti che sono a mensa con Simone.

Sulla base di questo semplice accostamento narrativo esteriore si è applicata l’etichetta di prostituta a Maria di Magdala, identificata appunto senza fondamento con quella “peccatrice”. Si tratta, alla fine, di una calunnia che, comunque, non sfiorò mai la mente di Gesù. Egli, infatti, la volle alla sua sequela, fino al vertice supremo della sua vicenda terrena e al suo ingresso nella gloria pasquale.

Pubblicato il 17 gennaio 2013 - Commenti (4)
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Gesù Figlio di Adamo

I precursori di Cristo con santi e martiri del Beato Angelico, 1423-1424, particolare di predella d’altare. Londra, National Gallery (immagine Scala).
I precursori di Cristo con santi e martiri del Beato Angelico, 1423-1424, particolare di predella d’altare. Londra, National Gallery (immagine Scala).

"Gesù aveva circa trent’anni ed era figlio, come si riteneva, di Giuseppe, figlio di Eli..."

(Luca 3,23)

Gesù sta per entrare sulla scena pubblica. È un trentenne residente a Nazaret, considerato figlio di Giuseppe: è proprio dall’espressione «come si riteneva» che nasce la definizione di “padre putativo” assegnata allo sposo di Maria nei confronti del figlio legalmente da lui assunto in carico.
È appunto all’inizio della predicazione di Cristo che l’evangelista Luca decide di tracciare il suo albero genealogico, così come aveva fatto Matteo (1,1-17) all’inizio, però, della vita fisica del Bambino. Le differenze tra le due genealogie sono talmente tante da suscitare più di una perplessità.

Perplessità che un po’ si diradano tenendo conto del valore più simbolico-spirituale che storico-documentario di un simile genere letterario. Infatti, attraverso gli anelli genealogici (77 in questo caso), non si vuole tanto delineare con rigore scientifico la sequenza dei discendenti, quanto il legame che l’anello terminale ha con figure di una storia più ampia e con personaggi o vicende emblematiche.
È per questo che Matteo, adottando una genealogia “discendente”, parte da Abramo come radice della figura di Gesù ebreo secondo la carne. Luca, invece, che scrive a cristiani di prevalente matrice pagana, sceglie la via “ascendente” e fa risalire Gesù fino ad Adamo, cogliendo così la sua fraternità con l’intera umanità.
In sintesi, potremmo dire che le genealogie evangeliche di Cristo hanno lo scopo di esaltare l’incarnazione del Figlio di Dio sia nella storia umana (Adamo) sia in quella messianica della salvezza (Abramo e Davide).
Si traccia, quindi, un’identità più religiosa che storica, anche se ovviamente si assumono per l’edificazione della serie genealogica varie figure reali che hanno contrassegnato la vicenda del popolo al cui interno Cristo è inserito.
Le due versioni genealogiche di Matteo e Luca non sollecitano di per sé un’analisi storiografica, se non in sede critica, perché la loro meta è quella di offrire la carta d’identità non anagrafica, bensì teologica del personaggio centrale.

Egli è contemporaneamente «figlio di Adamo, figlio di Dio», come dicono gli ultimi anelli dell’ascesa nei secoli fatta da Luca (3,38). La rilevanza di Cristo, quindi, non è destinata solo al popolo ebraico, ma si stende universalmente anche sulla storia umana, al di là del percorso all’interno del tempo di un popolo preciso, come è Israele.
Una nota curiosa riguarda l’eventuale nonno “ufficiale” di Gesù. Se, infatti, leggiamo la sequenza di Matteo, abbiamo il nome di un certo Giacobbe («Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria»); Luca, invece, ci presenta un Eli non meglio noto («Giuseppe, figlio di Eli»).
Il bisnonno è, però, comune a entrambe le genealogie, sia pure con una lieve variante di nome: Mattan per Matteo (1,15), Mattat per Luca (3,24). Diversità e coincidenze che confermano la fluidità storica di questo e di altri alberi genealogici offerti dalla Bibbia.

Pubblicato il 10 gennaio 2013 - Commenti (3)
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Segno di contraddizione

Presentazione di Gesù al Tempio, affresco, 13031304, di Giotto da Bondone. Padova, Cappella degli Scrovegni (immagine Scala).
Presentazione di Gesù al Tempio, affresco, 13031304, di Giotto da Bondone. Padova, Cappella degli Scrovegni (immagine Scala).

"Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione e anche a te una spada trafiggerà l’anima."

(Luca 2,34-35)

Ad accogliere la modesta famiglia di Nazaret nel tempio di Gerusalemme non sono i sacerdoti di alto rango, ma due fedeli anziani, Simeone e Anna. Il primo, «uomo giusto e pio che aspettava la consolazione di Israele », cioè il Messia (Luca 2,25), mosso dallo Spirito Santo, proclama un oracolo di stampo profetico che ha come destinatari sia il neonato Gesù, che egli regge tra le sue braccia, sia sua madre Maria.
Come spesso accadeva agli antichi profeti di Israele, il tono è forte e il contenuto severo.

Per Gesù Simeone usa, nel testo greco del Vangelo di Luca, la definizione seméion antilegómenon, «segno di contraddizione ». Attorno a questo bambino già si addensa il suo futuro: davanti a lui si confronteranno salvezza e giudizio, fede e incredulità, «i pensieri di molti cuori saranno svelati» (2,35). Un giorno Gesù, divenuto adulto, dirà: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, vi dico, ma divisione!» (Luca 12,51). Non si può restare neutrali o indifferenti di fronte a Cristo: è una pietra che può diventare una testata d’angolo che regge un edificio, ma che può essere anche pietra d’inciampo sulla quale ci si può sfracellare (Luca 20,1718).

Ecco, però, che Simeone si rivolge in modo inatteso anche alla madre di Gesù con un annunzio ugualmente fosco. In una tavola di un maestro renano del XIV secolo conservata ad Aquisgrana una spada scende dalla croce di Cristo e trafigge il cuore di Maria.
Il simbolo della spada, segno del giudizio divino, era cantato dal profeta Ezechiele (14,17) e, come commenta la Bibbia di Gerusalemme, Maria, «vera figlia di Sion porterà nella sua vita il doloroso destino del suo popolo; con suo figlio, sarà al centro di questa contraddizione, nella quale i cuori dovranno manifestarsi in favore o contro Gesù».
Maria è nel cuore della battaglia pro o contro Cristo.

Questo oracolo avrà altre letture più fantasiose, come quella di Origene che pensava al dubbio come spina nel fianco della fede pura di Maria davanti all’apparente fallimento del Figlio. Alcuni nell’antichità arrivavano al punto di immaginare una sua morte violenta per martirio!
Sta di fatto che, a partire dal XIII secolo, il cuore di Maria nelle raffigurazioni sarà trapassato o da una spada, oppure da cinque spade, tante quante erano le piaghe del Cristo crocifisso. Alla fine le spade diverranno sette, dato il valore simbolico di pienezza legato dalla Bibbia a questo numero, ma anche secondo un antico elenco devozionale di dolori mariani: la profezia di Simeone, la fuga in Egitto, la ricerca di Gesù nel tempio tra i dottori della legge, la via crucis, la crocifissione, la deposizione dalla croce e la sepoltura.
Amedeo di Losanna, monaco cistercense e vescovo, morto nel 1159, nella sua V omelia affermava che «il martirio del cuore supera i tormenti della carne.
È la corona di questo martirio del cuore quella che ha conquistato la Vergine gloriosa quando, tenendosi abbracciata alla croce venerabile della passione del Signore e Salvatore nostro, sorbì il calice e si inebriò di questa passione, vuotò il torrente del dolore e subì una sofferenza di cui nessuno ha conosciuto l’eguale».

Pubblicato il 02 gennaio 2013 - Commenti (2)

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Autore del blog

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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