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La madre e il suo bimbo

Gioie materne, opera di Stefano Ussi (1822-1901), Firenze, Galleria d’Arte Moderna
Gioie materne, opera di Stefano Ussi (1822-1901), Firenze, Galleria d’Arte Moderna

"Si dimentica forse una donna del suo bimbo, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece mai ti dimenticherò!"
(
Isaia 49,25)

«Il cuore di una madre è un abisso in fondo al quale si trova sempre un perdono ». Così scriveva il romanziere francese ottocentesco, Honoré de Balzac, nella sua opera La donna di trent’anni, illuminando un segreto profondo del cuore materno. È su questa base che si sviluppa anche la stupenda dichiarazione che il profeta Isaia raccoglie da Dio nei confronti del suo «figlio primogenito», come è chiamato nella Bibbia Israele (Esodo 4,22). È interessante notare che una studiosa tedesca, Hanna-Barbara Gerl, anni fa ha elencato, accanto a ottanta immagini maschili applicate dalle Sacre Scritture al Signore, una ventina di tratti femminili e questo versetto isaiano ne è una straordinaria attestazione.

Nello stesso libro profetico più avanti si leggerà quest’altra affermazione divina: «Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» (66,13). Curiosamente a Dio viene a più riprese assegnato un termine ebraico che in prevalenza è applicato alla donna, rahamîm, un vocabolo che designa le “viscere”, il “grembo”. Esso si trasforma in un aggettivo che esprime affetto, clemenza, tenerezza, misericordia. Tra l’altro, la stessa radice che sta alla genesi della parola rahamîm è ripresa dai due attributi «clemente e misericordioso » che il Corano dedica a Dio in apertura a tutte le “sure” o capitoli.

Il Signore fa questa confessione di amore materno proprio quando sta scoprendo le infedeltà di Israele che rincorre altri padri e madri, ossia gli idoli. Per riprendere l’idea di Balzac, il cuore divino perdona sempre, non può “dimenticare” suo figlio (il verbo è ripetuto tre volte), non può non fremere di commozione quando ha ancora tra le braccia la sua creatura amata. E a questo proposito vorremmo di nuovo evocare una scenetta che abbiamo tempo fa presentato nella nostra antologia di frammenti biblici luminosi.
Intendiamo riferirci al Salmo 131 in cui il fedele stesso si rappresenta «come un bimbo svezzato in braccio a sua madre». Ora, il bambino svezzato non è più il neonato che quasi inconsciamente si attacca per istinto al seno della madre: nell’antico Vicino Oriente lo svezzamento ufficiale avveniva attorno ai tre anni con un rito tribale. Si suppone, quindi, un legame di intimità più consapevole e non un mero rapporto di dipendenza biologica.

È per questo, allora, che la relazione materno- filiale (come la parallela paterno-filiale che pure la Bibbia applica a Dio e al suo popolo) si trasfigura in un simbolo mistico. Basti solo pensare all’“infanzia spirituale” esaltata da santa Teresa di Lisieux che introduce una concezione della fede fortemente personale, in cui l’amore, l’intimità e la donazione trionfano. Rimane, comunque, il primato dell’amore divino che non si «dimentica» mai, che non spegnemai la fiamma del suo ricordo appassionato, che non si lascia stravolgere dall’infedeltà o dalla cattiveria del figlio.
Per usare una colorita espressione di Tertulliano, il primo scrittore cristiano di lingua latina a noi noto, «qualunque ingiuria, quando si scontra contro l’amore, si spunta come la freccia contro un macigno».

Pubblicato il 24 febbraio 2011 - Commenti (0)
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Figli e padri

Padre e figlia, 1550 circa, autore ignoto, Vienna, Kunsthistorisches Museum.
Padre e figlia, 1550 circa, autore ignoto, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

"Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto! Padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore!"
(Efesini 6,1.4)

Il grande scrittore russo Lev Tolstoj, nel suo monumentale romanzo Anna Karenina
(1875-1877), ha lasciato una frase curiosa ma significativa: «Le famiglie felici si assomigliano tutte, le famiglie infelici sono infelici ciascuna a modo suo». Chi ha letto quel libro sa che in esso si scava in profondità nei drammi della coppia, in particolare quella di Anna e Vronskij, con un esito tragico perché l’approdo sarà nel suicidio della Karenina.
Le famiglie molto spesso trascinano con sé un travaglio che non è riducibile a semplici
schemi psicologici e sociologici
, soprattutto nel rapporto generazionale tra padri e figli
(tra l’altro, esemplare in questo senso è un celebre romanzo di un altro scrittore russo
contemporaneo di Tolstoj, Padri e figli di Ivan S. Turgenev).
Anche san Paolo, nelle sue Lettere, ci ha lasciato quelli che gli esegeti hanno chiamato
“codici familiari”, presenti in particolare nel capitolo 3 della Lettera ai Colossesi e nei capitoli 5-6 dello scritto indirizzato agli Efesini. È da quest’ultimo che abbiamo desunto il nostro frammento, un bell’esempio di morale domestica, segnata da equilibrio e rigore, nello stile anche dell’insegnamento etico della filosofia greca, soprattutto stoica. Come è evidente, l’Apostolo si rivolge a entrambi i protagonisti della vicenda familiare.
Da un lato, ci sono i figli che devono ai genitori il rispetto e l’obbedienza, un impegno
“giusto” perché si basa non solo sulla morale naturale, ma anche sul comandamento divino: «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà» (Esodo 20,12). «Ognuno di voi rispetti sua madre e suo padre», si ripete nel libro del Levitico (19,3).
D’altro lato, però, ecco anche l’impegno dei genitori presentato sotto un duplice profilo. Il negativo: «Non esasperate i vostri figli», con la petulanza, con l’incomprensione, con l’eccesso di severità, con l’imposizione di uno stile di vita datato che non tiene conto dei nuovi contesti sociali e culturali. Ma c’è un aspetto positivo ben più rilevante, quello dell’educazione, della formazione, dell’esempio e della testimonianza. Non basta generare fisicamente. Essere genitori comprende un’arte pedagogica che esige pazienza, amore e tempo. Non si forma un figlio con un rimprovero sbrigativo o con la concessione illimitata di ciò che egli desidera, così da non avere discussioni.
Questo monito rivolto a figli e a genitori è ripetuto quasi alla lettera anche ai cristiani di Colossi e, in forma più ampia e con destinatari giovani e anziani, pure al discepolo Tito (2,1-8). È, questa, la dimostrazione non solo della figura di pastore propria di Paolo, spesso bollato come un freddo e astratto intellettuale, ma è al tempo stesso la testimonianza di una fede che si innerva nella quotidianità, che esce dal tempio e si presenta nelle case, che non ignora il groviglio delle relazioni, dei problemi, delle crisi di ogni famiglia. La parola di Dio, infatti, «è una lampada, il suo insegnamento una luce, un sentiero di vita l’istruzione che ammonisce» (Proverbi 6,23).

Pubblicato il 26 dicembre 2010 - Commenti (0)

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Autore del blog

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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