Gli antichi cedri sul monte Libano a Bouman, A. Montfort (1802 - 1884), Parigi, Museo d'Orsay.
"Dissero gli alberi al rovo: «Vieni tu a regnare su di noi!». E il rovo: «Se mi ungete re su di voi, venite, rifugiatevi alla mia ombra!». (Giudici 9, 14 - 15"
(Luca, 24,29)
Il grande poeta inglese John Milton, nel suo
Paradiso perduto (1667), ha scritto un verso
paradossale: «Meglio regnare all’inferno,
che servire in cielo». Con questo assioma affermava,
però, una verità amara: gli uomini
preferiscono il potere a ogni costo, convinti,
come diceva un nostro noto uomo politico,
che «il potere logora chi non ce l’ha».
Ebbene, noi attraverso il nostro frammento
biblico faremo insieme una caustica riflessione
su questo anelito dell’uomo, causa di
tanti mali per la società. Lo faremo attraverso
la prima, compiuta parabola che appare
nella Bibbia. Come sappiamo, sarà Gesù con
le sue almeno 35 parabole a rendere popolare
questo genere letterario. Esso, però, era
già diffuso nell’antichità ed è rintracciabile
anche nell’Antico Testamento.
A narrare la parabola (in ebraico mashal),
che abbiamo proposto nel suo apice conclusivo,
è un certo Iotam, fratello di Abimelek:
quest’ultimo s’era messo in testa di diventare
re della città ebraica di Sichem e, per raggiungere
il suo scopo, aveva iniziato con un
bel bagno di sangue, eliminando tutto il suo
clan familiare, una settantina di persone,
considerate come pericolosi pretendenti o
concorrenti. Una di queste s’era, però, salvata
nascondendosi: era appunto il fratello minore
Iotam. Egli sale sul monte che diverrà
sacro ai Samaritani, il Garizim, e urla il suo
apologo, così da mettere in guardia i suoi
concittadini di Sichem sull’abisso verso il
quale stanno incamminandosi. A valle, infatti,
è riunita un’assemblea di capi di Sichem e
della regione che stanno per proclamare Abimelek
come loro sovrano.
Come accade nelle favole, protagonisti sono
o gli animali o i vegetali personificati che
diventano maestri degli umani insipienti.
Nel nostro caso entrano in scena innanzitutto
i tre alberi tipici del paesaggio mediterraneo:
l’ulivo, il fico, la vite (si legga il testo integrale
di Giudici 9,7-21). La delegazione delle
altre piante si reca da questi tre “colleghi”
per invitarli ad assumere la carica di re degli
alberi. Ma la risposta è negativa: essi sono lieti
di essere utili agli altri col loro olio o col
frutto dolce o col vino inebriante e non vogliono
lasciarsi prendere da manie di dominio,
librandosi sopra le altre piante, gloriandosi
e vivendo riveriti e serviti.
Di fronte a questo rifiuto la delegazione si
rassegna al tentativo di coinvolgere il rovo il
quale accetta subito con piacere, dato che
non ha nessun impegno se non quello di ramificarsi
su altri vegetali vivendo da parassita
e producendo solo spine. E subito il rovo
rivela la tipica arroganza del potere. Arido
com’è, s’immagina già frondoso ed elevato e
invita le altre piante a piegarsi sotto la sua
ombra. È questo il frammento da noi citato
che prosegue con un’altra battuta da sbruffone:
se non vi piegherete a me, ebbene «esca
dal rovo un fuoco e divori i cedri del Libano».
Detto in altri termini, facendo il gradasso, il
rovo minaccia persino i possenti e maestosi
cedri del Libano.
Iotam applica la morale della parabola alla
sua situazione politica. Il lettore potrà liberamente
applicarla alla nostra classe politica,
ricordando comunque che un po’ di anelito
verso il potere prevaricatore è in tutti noi.
Il nostro scrittore Luciano De Crescenzo ci ricordava
mediante il suo personaggio Bellavista
che «il potere non sazia, anzi, è come la
droga: richiede sempre dosi maggiori».
Pubblicato il
12 maggio 2011 - Commenti
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