Liberazione di una indemoniata (sec. XV) del Maestro di San Severino. Firenze, Museo Horne.
"I Chi non è con me
è contro di me."
(Matteo 12,30)
"Chi non è
contro di noi
è per noi"
(Marco 9,40)
Abbiamo appaiato due frasi di Gesù
apparentemente contraddittorie.
Da un lato, c’è la frase riferita da
Matteo e ripetuta anche da Luca (11,23)
che sembra presentare un Gesù integralista,
e per derivazione una Chiesa gelosa
della sua esclusività nel possedere la verità
e la salvezza (il famoso detto Extra ecclesiam
nulla salus, fuori della Chiesa
non c’è salvezza). D’altro lato, Marco raffigurerebbe,
invece, un Gesù più “ecumenico”,
aperto ai semi di verità che sono
diffusi in tutta l’umanità. In realtà, l’antitesi
si scioglie se si tiene presente il
differente contesto in cui queste frasi
sono state pronunciate da Gesù.
Partiamo dall’evento che origina la
battuta di Gesù in Matteo e Luca. Come
abbiamo illustrato in una precedente
analisi del passo di Matteo 12,22-29, siamo
di fronte a un dibattito con i farisei
riguardo al tema della lotta contro Satana.
È ovvio che in questa battaglia non
si possono concedere attenuanti o accordi:
il male deve vederci schierati in un
duello e chi non sta dalla parte del bene
è da considerarsi come un avversario.
Chi non è con Cristo in questa lotta
è contro di lui.
Diverso è il caso che fa da cornice alla
frase riferita da Marco. L’apostolo Giovanni
segnala a Gesù un esorcista estraneo
alla comunità cristiana che opera contro
il male satanico nel nome di Cristo, senza
che egli appartenga alla cerchia dei discepoli.
Giovanni l’aveva abbordato e, con
un tipico atteggiamento di autodifesa segnato
da un pizzico di chiusura e di gelosia
di stampo integralistico, l’aveva minacciato:
«Noi glielo abbiamo vietato perché
non era dei nostri» (Marco 9,38).
A questo punto Gesù reagisce proprio
con una dichiarazione di grande
apertura nei confronti del bene ovunque
si manifesti, frase citata dall’evangelista
Marco: «Chi non è contro di noi
è per noi». È curioso notare che questa
frase riflette un proverbio allora molto
diffuso: era usato anche nel mondo romano,
come attesta Cicerone nella sua
arringa Pro Ligario (n. 33).
Si dissolve,
così, l’apparente contraddizione tra i
due detti che, in realtà, contengono entrambi
una loro verità.
Non si deve, comunque, dimenticare
un principio generale che abbiamo
spesso ribadito: le parole di Cristo sono
state conservate dagli evangelisti
non in modo letterale e meccanico, ma
come messaggi vivi da incarnare nelle
varie situazioni vissute dalle comunità
cristiane. Non ci si deve, perciò, impressionare
di fronte a varianti che impediscono
di far combaciare perfettamente
certe redazioni della stessa frase.
Diverso naturalmente è il nostro caso.
Qui, infatti, sono di scena due situazioni
profondamente diverse che meritavano
da parte di Gesù giudizi necessariamente
antitetici.
Pubblicato il
12 aprile 2012 - Commenti
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