L’annuncio ai pastori, particolare, affresco della Natività, 1192. Monti Troodos, monastero bizantino di Nostra Signora di Araka (Scala).
"Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini che egli ama."
(Luca 2,14)
Quante volte abbiamo cantato nella
Messa il Gloria in excelsis, e
nella nostra memoria è incastonato
in modo indelebile anche il suo
prosieguo che mette in scena la pax in
terra destinata agli hominibus bonae voluntatis.
Quest’ultima espressione è talmente
comune da essere divenuta uno
stereotipo per definire i giusti, appunto
gli «uomini di buona volontà». Può,
quindi, sorprendere che la traduzione
italiana del Vangelo di Luca che si legge
nella liturgia abbia, a differenza della
versione latina, la formula «pace agli
uomini che egli [Dio] ama», dove è evidente
che la volontà è quella divina e
non l’umana.
Quest’inno, intonato dagli angeli nella
notte natalizia, rivolto ai pastori che,
«pernottando all’aperto vegliavano tutta
la notte facendo la guardia al loro
gregge» (Luca 2,8), vuole infatti esaltare
la gloria di Dio, cioè la sua presenza efficace
che è trascendente («nei cieli»), ma
è anche operante nella storia proprio attraverso
il dono della pace offerto
all’umanità.
Ebbene, nell’originale greco
si parla semplicemente degli «uomini
dell’eudokía». Ora, questo vocabolo
è usato per designare il progetto salvifico
di Dio, è quindi la sua benevolenza,
il suo amore. In forma didascalica
potremmo parafrasare così: «Pace agli
uomini che sono oggetto della buona
volontà di Dio».
Tra l’altro, anche nei celebri
manoscritti giudaici di Qumran,
presso il mar Morto, ci si imbatte in
una formula ebraica analoga che esalta
la “buona volontà” di Dio di cui gli uomini
sono oggetto.
È interessante notare che, alle soglie
della passione di Cristo, durante il suo
ingresso trionfale a Gerusalemme, la folla
dei suoi discepoli canterà: «Pace in cielo
e gloria nel più alto dei cieli» (Luca
19,38). Commentava l’esegeta americano
Raymond E. Brown: «È un tocco pieno
di fascino che la moltitudine della milizia
celeste proclami la pace sulla terra,
mentre la moltitudine dei discepoli proclama
la pace in cielo: i due passi potrebbero
diventare quasi un responsorio antifonale
». Ora, inno natalizio e inno pasquale
s’intrecciano tra loro sul tema della
pace, lo shalôm messianico, celebrato
già nell’Antico Testamento.
La pace biblica, come è noto, non è
solo assenza di guerra e di odio, ma è
anche pienezza di vita, di amore, di
gioia. Il Messia è per eccellenza il «Principe
della pace» (Isaia 9,5). Paolo ai cristiani
di Efeso ricorda che «Cristo è la
nostra pace» perché, abbattendo idealmente
il muro che separava nel tempio
di Gerusalemme il “Cortile degli Israeliti”
dal “Cortile dei Gentili”, ossia dei pagani,
ha creato «in sé stesso, dei due, un
solo uomo nuovo, facendo la pace» (Efesini
2,1415).
Ed è significativo che siano i pastori
i primi destinatari di questa “annunciazione”
natalizia, figure che un trattato
del Talmud, la grande raccolta delle
tradizioni e delle norme giudaiche,
considerava impure a causa della loro
convivenza con gli animali e disoneste
per le loro violazioni dei confini territoriali
durante le loro migrazioni e le
loro soste, e quindi inabili a essere giudici
e testimoni nei processi (Sanhedrin
25b). Si prefigurava già il detto di
Cristo riguardo agli ultimi destinati a
essere i primi.
Pubblicato il 21 dicembre 2012 - Commenti (2)