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set

«Così che non si convertano»

San Matteo evangelista, mosaico. Ravenna, basilica di Sant’Apollinare in Classe.
San Matteo evangelista, mosaico. Ravenna, basilica di Sant’Apollinare in Classe.

"Per quelli che
sono fuori tutto
avvienein parabole
affinchéguardino, sì,
ma non vedano,
ascoltino, sì, ma non
comprendano..."


(Marco 4,11-12)

«Così che non si convertano e venga loro perdonato!»: finisce con questa fosca clausola la frase che Gesù pronunzia nel Vangelo di Marco riguardo alla funzione delle parabole che egli sta raccontando. Paradossale è proprio questa definizione della finalità delle parabole, espressa con quell’“affinché” che indica appunto uno scopo da raggiungere. Forse che Gesù ha scelto l’uso del linguaggio parabolico, che è anche il suo modo più comune di insegnare, per offuscare la mente e il cuore del suo uditorio e impedirgli la conversione («così che non si convertano») e il relativo perdono dei peccati («e non venga loro perdonato»)? La frase, in verità, si basa su una citazione del profeta Isaia che, nel giorno della sua vocazione, aveva ricevuto questo monito: «Rendi insensibile il cuore di questo popolo, rendilo duro d’orecchi e acceca i loro occhi, e non veda con gli occhi, né oda con gli orecchi, né comprenda col cuore, né si converta così da essere guarito!» (6,10).

Dobbiamo proprio partire da questa citazione per comprendere le dure parole di Cristo che sembrerebbero smentire la finalità salvifica della sua predicazione. È chiaro il contenuto dell’appello rivolto a Isaia: egli si scontrerà con il rigetto degli Israeliti, un fenomeno scontato e ben noto ai profeti. Ebbene, quegli imperativi sono in realtà equivalenti a indicativi: si adotta questa forma per mostrare quale sarà il risultato della predicazione profetica, che Dio certamente non vuole, ma che gli è già nota ed è inserita nel suo disegno di salvezza. Questo progetto salvifico, però, continuerà lo stesso e si attuerà giudicando il peccato e l’indurimento del cuore e salvando chi si convertirà e compirà il bene.

L’imperativo non è, quindi, un invito a operare in quella linea negativa, bensì è un modo per rappresentare in forma efficace che neanche il male sfugge al piano divino, che non esiste una divinità negativa che si oppone all’unico Signore, come insegnava il dualismo religioso (Dio del bene contro il dio del male), che la libertà umana con le sue scelte perverse non è ignota al Creatore e non frustra la sua volontà di salvezza. Nello stesso libro di Isaia si giunge al punto di porre anche il male sotto il comando divino: «Sono io che formo la luce e le tenebre, faccio il bene e provoco il male» (45,7). Con questa frase così aspra si vuole soltanto ricordare che nulla sfugge all’onnipotenza del Signore; anche il male e il peccato possono essere inquadrati nel suo grande disegno sull’essere e sull’esistere.

Gesù cita, dunque, questa tesi importante formulata nello scritto isaiano e quella “finalità” («affinché...») è di tipo “scritturistico”, cioè equivale alla tradizionale espressione «affinché si adempia la Scrittura che dice...». L’evangelista ne condivide con Gesù (che rimanda a Isaia) il contenuto: le parabole, che dovrebbero essere un luminoso esempio di rivelazione, diventano un elemento di ostinazione contro Cristo. Questo, però, non deve impressionare, perché Dio – che sa anche dal male trarre un bene – continuerà lo stesso a compiere l’insediamento del suo Regno. È interessante vedere come Matteo abbia riletto questa frase di Isaia e di Gesù sostituendo alla finale («affinché...») una causale più immediata e chiara («perché...»). Il messaggio in parabole di Gesù non è accolto «perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri d’orecchi, hanno chiuso gli occhi...» (Matteo 13,15).

Pubblicato il 17 settembre 2012 - Commenti (4)

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Postato da Bianchetti Andreino il 23/09/2012 17:24

E' un discorso molto strano: le parobole sono state fatte apposta da Gesù perchè gli umili di mente possano capire, perchè i lontani si convertano alla fede e vengano a Dio. "Venite a me , voi tutti affaticati e stanchi" dice Gesù. Marco scrive invece, questa strana versione di parabola. C'è pure Isaia che gli da man forte, ma egli viveveva in un tempo di più dure conflittualità, di guerre dove i nemici erano pagani che non lasciavano scampo nè agli Ebrei, nè al loro unico Dio.

Postato da ausonio il 21/09/2012 08:13

VANGELO DI GESù CRISTO secondo Matteo 7, 21Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22In quel giorno molti mi diranno: "Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?". 23Ma allora io dichiarerò loro: "Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità!". 24Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. 26Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande". VANGELO DI GESù CRISTO secondo Luca 23, 39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!". 40L'altro invece lo rimproverava dicendo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male". 42E disse: "Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno". 43Gli rispose: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso".

Postato da Teresi Giovanni il 17/09/2012 11:49

Un giorno imprecisato i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli chiesero: Perché parli ad essi in parabole? (Matteo, 13, 10). Questa domanda, e la risposta datale da Gesù, sono importantissime; ma per ben valutarle bisogna aver presente che domanda e risposta avvennero certamente non già nella giornata delle parabole, ma ben più tardi, quando cioè Gesù aveva recitato numerose parabole e i discepoli avevano riscontrato ch'esse producevano scarso effetto sulle turbe. Alla domanda pertanto dei discepoli Gesù rispose: “Perché a voi e' stato dato conoscere i misteri del regno dei cieli, a quelli invece non e' stato dato … " e così si compie per essi la profezia di Isaia la quale dice: « udendo udrete, e non comprenderete: vedendo vedrete, ma non scorgerete”. “Beati invece i vostri occhi perché vedono, e le vostre orecchie perché odono; ecc. (Matteo, 13, 11-16)”. Questa risposta è rivolta non soltanto agli Apostoli, ma anche ad altri volonterosi ch'erano insieme con essi (Marco, 4, 10,) e avevano fatto unitamente la domanda. La differenza tra i volonterosi e gli altri uditori consisteva in ciò, che ai primi era concesso di conoscere il regno in maniera perspicua (i suoi misteri) agli altri invece soltanto sotto il velame della parabola. Giovanni Teresi

Postato da Andrea Annibale il 17/09/2012 11:44

Scorrendo la Bibbia, troviamo alcuni ostacoli alla fede. La prima, forse la più paradossale, è quella dei “giusti che non hanno bisogno di conversione” (Luca 15, 7). Chi sono questi giusti? Qui, più che un ostacolo alla fede, il termine “conversione” indica “pentimento”, “contrizione del cuore” e forse sta a significare che questi giusti hanno già la fede. Poi troviamo in Giovanni 3, 20 detto che “Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere”. C’è quindi un ostacolo vero e proprio di ordine morale alla fede basato su una concezione volontaristica, alla Pascal, della fede. “Non viene alla luce”, dice infatti la Bibbia. Infine, c’è il brano che si commenta che introduce il tema della Grazia per comprendere e dell’intelligenza necessaria per credere. Qui, l’adesione è della ragione illuminata dalla Grazia ed è un dono di Dio. Dio che dove apre nessuno chiude e dove chiude nessuno apre (Isaia 22, 22; Apocalisse 3, 7). Ci sono alcune persone che “stanno fuori” (dalla Chiesa?) e quindi non sono rese degne di partecipare ai santi misteri neppure se svelati mediante le parabole. Questo è un mistero della fede. Facebook: AAnnibaleChiodi; Twitter: @AAnnibale.

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Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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