08
set

Gli insegnavo a camminare e a mangiare

Vincent van Gogh, Primi passi, da Millet, 1890, New York, Metropolitan Museum of Art.
Vincent van Gogh, Primi passi, da Millet, 1890, New York, Metropolitan Museum of Art.

“ A Efraim io insegnavo a camminare,
 tenendolo per mano...

 Li attiravo a me con legami di bontà e vincoli d'amore. Ero come chi solleva un bimbo alla sua guancia, chinandomi su di lui per farlo mangiare."
(Osea 11,3-4)

Chi è genitore conosce bene la fatica e tutti gli stratagemmi che bisogna escogitare per convincere un bambino riottoso a mangiare un cibo necessario ma a lui sgradito, così come non ha certo dimenticato la pazienza che si deve esercitare quando s’insegna al proprio figlio a camminare. A ogni caduta bisogna subito ricorrere a un bacio o a una stretta per placare il piccolo che si abbandona a un pianto omerico e inconsolabile. È curiosamente questa la duplice scenetta che il profeta Osea (VIII secolo a.C.) desume dalla sua esperienza di padre e la applica al Signore che è alle prese con un figlio così capriccioso come Efraim, cioè Israele.

Non bisogna dimenticare che lo stesso profeta, nelle prime pagine del suo libro, era partito da un’altra sua esperienza familiare tutt’altro che rara ai nostri giorni – quella di un matrimonio in crisi – per rappresentare il rapporto tra Dio e il suo popolo, in questo caso incarnato dalla moglie infedele di Osea che lo aveva abbandonato lasciandogli da accudire tre figli. Suggeriamo, perciò, ai nostri lettori di seguire anche il racconto autobiografico che il profeta ci ha lasciato nei primi tre capitoli della sua opera. Là ci si imbatterà nel nome simbolico dei suoi tre figli, due maschi e una femmina.

A essi, infatti, Osea, consapevole di essere lui stesso nella sua vita un emblema per Israele, aveva assegnato tre nomi impossibili: Izreel, che era il toponimo di una città ove si erano consumati delitti pubblici e privati narrati dalla Bibbia (1Re 21; 2Re 20); Lo’-ruhamah, “Nonamata”, per la bambina; Lo-’ammî, “Non-miopopolo”, per il terzo maschietto. Nomi che incarnavano sia il peccato del popolo, sia il rigetto che il Signore aveva compiuto nei suoi riguardi. Naturalmente, una volta che Dio e Israele si fossero riconciliati, come il profeta sognava nei confronti di sua moglie Gomer, i tre nomi sarebbero stati trasformati: Izreel avrebbe riacquistato il suo significato etimologico positivo di “seme di Dio”, cioè fecondo, e gli altri due figli sarebbero diventati Ruhamah, “Amata”, e ’Ammî, “Popolo mio”.

Ciò che ci preme sottolineare è questa suggestiva raffigurazione del Signore con sentimenti, passioni e affetti umani. È quello che si definisce col termine “antropomorfismo”: un Dio così strettamente vicino alla sua creatura da condividerne l’esperienza personale e intima. È, questo, un primo passo che prepara l’Incarnazione cristiana quando il Verbo divino si fa “carne” umana, come insegna san Giovanni (1,14).

C’è un altro aspetto che vorremmo rimarcare. Esso riguarda una delle idee fondamentali che la Bibbia rivela per indicare la relazione tra il Signore e Israele e che è espressa col termine “alleanza, patto” (in ebraico berît).

Ebbene, al Sinai questa alleanza era stata definita ricorrendo al simbolo dei trattati tra un sovrano e i principi vassalli. Era, quindi, un vincolo di stampo giuridico-politico, piuttosto estrinseco. Con Osea, invece, si passa dal patto diplomatico all’alleanza nuziale, ove sono ancora in gioco le violazioni (i tradimenti), ma ben diverse sono sia la tonalità sia la qualità di questo rapporto: per usare le parole di Osea, sono «legami di bontà e vincoli d’amore».

Pubblicato il 08 settembre 2011 - Commenti (2)

I vostri commenti

Commenta

Per poter scrivere un'opinione è necessario effettuare il login

Se non sei registrato clicca qui

Postato da Teresi Giovanni il 15/09/2011 14:35

Osea si manifesta come un marito e un padre affettuoso: in un difficile momento della sua vita familiare, in cui il suo amore deve fare i conti con il tradimento della persona amata, egli coglie il significato profondo dell’amore di Dio verso il suo popolo e ne fa l'oggetto della sua predicazione profetica. Nei confronti di Israele JHWH è come uno sposo tradito, il quale continua ad amare la sua sposa e fa di tutto perché essa abbandoni i suoi amanti e ritorni a lui. Dopo il castigo JHWH va di nuovo in cerca della sua sposa infedele. Il profeta esprime la nuova iniziativa salvifica con queste parole: “Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (v.16). In questo testo è chiaro il riferimento all’esodo, le cui finalità vengono raggiunte mediante un dialogo d’amore che tocca il cuore del popolo. Il deserto indica il luogo del primo amore, a cui Dio riconduce il suo popolo. L'amore umano, diventato simbolo dell'alleanza tra Dio e il suo popolo, viene nobilitato e approfondito: esso diventa il legame indissolubile che unisce due persone, portandole a comunicare e a condividere tutti gli aspetti della loro vita. L’intuizione di Osea, nata nel contesto della polemica contro i culti della fertilità, diventerà uno degli spunti più significativi della Bibbia, dal quale si svilupperà una teologia non solo della salvezza, ma anche del matrimonio come realtà sacramentale. Giovanni Teresi

Postato da Andrea Annibale il 15/09/2011 01:26

Dio in quanto Onnipotente, può, secondo me, delicatamente, affettuosamente, teneramente “sintonizzarsi” sul cuore dell’uomo. E’un azione di Dio che muove dall’amore, conduce alla salvezza, eleva a Lui medesimo. Si tratta di una realtà dell’atteggiamento di Dio che, impropriamente, chiamiamo antropomorfismo. In realtà, l’uomo non immagina simile a sé stesso il Dio unico di Israele, come avveniva per gli Dei del Panteon, ma, pensandolo ineffabile, immagina e descrive un Dio che, come dice il Vangelo, fa ciò che invita a fare gli uomini stessi, i suoi figli ed amici, cioè diventare come bambini per entrare nel Regno dei Cieli (Matteo, 18, 3). Dio, si fa bambino per dialogare con il nostro animo bambino, per restaurare in noi la purezza, la genuinità, la bontà dell’infanzia perduta. Essendo io reduce da un viaggio a Fatima, dove abbiamo avuto l’onore di tre messe presiedute dal Cardinale Dionigi Tettamanzi, meditavo sul fatto che Maria ha detto tanti “sì”, anche se di solito si parla solo del “sì” all’angelo. Maria non ha forse detto dei sì a Gesù in più occasioni? Inoltre, c’è da dire che Maria ha fatto per Dio-Gesù ciò di cui parla il profeta Osea. L’Emanuele, il Dio con noi – come è stato già detto – è un bambino che gattona a quattro zampe e che ubbidisce alla dolce voce di Maria e Giuseppe stando loro sottomesso. Ora, è l’uomo che istruisce Dio perché possa compiere la sua missione tra gli uomini. C’è una sorta di chiasmo tra A.T. e N.T. ma non voglio dilungarmi oggi, solo lasciare questi pochi spunti di riflessione e meditazione. Ciao. Twitter: @AAnnibale; Facebook: Andrea Annibale Chiodi

Pubblicita

Autore del blog

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

Calendario

<<aprile 2024>>
lmmgvsd
1234567
891011121314
15161718192021
22232425262728
2930
gli altri blog di Famigliacristiana
Periodici San Paolo S.r.l. Sede legale: Piazza San Paolo,14 - 12051 Alba (CN)
Cod. fisc./P.Iva e iscrizione al Registro Imprese di Cuneo n. 00980500045 Capitale sociale € 5.164.569,00 i.v.
Copyright © 2012 Periodici San Paolo S.r.l. - Tutti i diritti riservati