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Il bue, l'asino e la grotta di Betlemme

Arrivo della Sacra Famiglia alla locanda di Betlemme di Joseph von Fuehrich, olio su tela, 1838. Berlino, Nationalgalerie, Staatliche Museen zu Berlin (Scala).
Arrivo della Sacra Famiglia alla locanda di Betlemme di Joseph von Fuehrich, olio su tela, 1838. Berlino, Nationalgalerie, Staatliche Museen zu Berlin (Scala).

"Diede alla luce il suo figlio primogenito,
lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia,
perché non c’era posto per loro nell’alloggio."

(Luca 1,34)

La grotta, il bue e l’asino, mezzanotte: guai se nel nostro presepe mancassero questi elementi che recano con sé tutta l’atmosfera natalizia e le emozioni bellissime di un’infanzia innocente, forse perduta. Ma se scorriamo le righe del racconto evangelico di Luca, di questo apparato non c’è menzione perché esso è sbocciato liberamente come un fiore della tradizione su un testo che è, invece, molto più sobrio. Ecco, allora, alcune brevi annotazioni attorno alla narrazione lucana.
La prima riguarda quel sorprendente “figlio primogenito” che farebbe pensare ad altri figli successivi di Maria. Già abbiamo avuto l’occasione di puntualizzare che questa è una nota giuridica nella quale si esalta la primogenitura, elemento capitale nella struttura familiare ebraica e nell’asse ereditario. È paradossale, ma – come abbiamo avuto modo di documentare per un passo di Matteo (2,25) – nel mondo semitico si può parlare di una madre che muore di parto «dando alla luce il suo figlio primogenito»!

La seconda nota ci porta nell’ipotizzata grotta della nascita di Gesù. Il greco di Luca parla, però, di un “alloggio” (katályma), non di una “locanda o albergo” (in greco pandochéion, come si ha nella parabola del Buon Samaritano: Luca 10,34). Siamo, quindi, in presenza di una casa dove probabilmente risiedevano i parenti di Giuseppe, casa già occupata nel suo vano principale (“alloggio”). Rimaneva, però, uno spazio ulteriore ove si ospitavano gli animali nelle notti fredde; talora era ricavato nella roccia, ma non necessariamente, né era raro il fatto che vi dormissero anche persone. Ecco, allora, spiegata quella “mangiatoia” (fátne) nella quale viene adagiato il neonato Gesù.
Siamo, perciò, in un contesto familiare, comune alla gente di modeste condizioni, soprattutto in un villaggio agricolo-pastorale com’era la Betlemme di allora, i cui fasti di “città di Davide”, come la denomina Luca (2,4), erano stati da sempre soppiantati da quelli di Gerusalemme, poco distante. Suggestivo è, invece, il gesto appuntato da Luca: Maria «avvolse in fasce» con premura materna il suo bambino. Nel racconto parallelo della nascita di Giovanni Battista si nota semplicemente che «Elisabetta diede alla luce un figlio» nella casa sua e di Zaccaria, circondata dalla festa dei parenti (1,57-58).

Infine, da dove vengono il bue e l’asino? È probabile, certo, la presenza di qualche animale domestico in quella casa, come sopra abbiamo prospettato. Ma la tradizione ha, forse, introdotto questo particolare leggendo allegoricamente, cioè con una libera applicazione, un passo di Isaia in cui il Signore si lamenta dell’ottusità del suo popolo con questo paragone vivace: «Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende » (1,3).

Pubblicato il 13 dicembre 2012 - Commenti (1)

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Postato da Teresi Giovanni il 13/12/2012 16:06

Il presepio come lo vediamo rappresentare ancor oggi nasce secondo la tradizione dal desiderio di San Francesco di far rivivere in uno scenario naturale la nascita di Betlemme coinvolgendo il popolo nella rievocazione che ebbe luogo a Greccio la notte di Natale del 1223, episodio rappresentato poi magistralmente da Giotto nell'affresco della Basilica Superiore di Assisi. Ma si può creare un’immagine del presepio descrivendolo con parole poetiche, come ho fatto in questa mia lirica “Luce d’Amore” Cala la notte nel silenzio del deserto,/non ci sono vie tra le dune,/solo le stelle cosparse nell’immenso./Una a oriente brilla splendente …/tutte si specchiano nella profondità del mare,/ si nascondono tra i brulli monti,/si posano d’incanto, in pulviscolo argenteo,/sulla lontana via per Betlemme./Cala la notte col freddo intenso/tra i camini ormai spenti …/sulla soffice neve con poche timide orme/lasciate dal gregge./S’ode un vagito nella povera stalla/illuminata dal fuoco di sterpi/in mille faville …/qui giace, senza panni, sull’umida paglia,/ cullato dall’amor di Maria,/ l’atteso Messia./La via nel cielo è segnata dalla Luce improvvisa,/ scintilla di Pace e d’Amore./ Accorrono i pastori nella Casa del Pane,/ le donne, i re di altre nazioni; /eguali dinanzi al Figlio di David./Splende nella notte tra le dune e le onde,/sui tetti e i monti nel volger delle ore/ l’Eterna Luce d’Amore./Si placa il gelido vento …/ si scioglie la candida neve./Un canto s’eleva in note divine,/e un dolce ingenuo sorriso accoglie/chi giunge improvviso /al tepore del disadorno rifugio,/incantevole avvolto dal manto di stelle. Giovanni Teresi

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Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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