Nazareth di Maurice Denis, (1870-1943). Vaticano, Collezione d’arte religiosa moderna
"Andò ad abitare in una città chiamata
Nazaret, perchè si adempisse il detto
dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno»".
(Matteo 2,23)
A chi non ha una grande assuefazione con i testi biblici questo versetto non crea nessuna difficoltà: il nome Nazareno è diventato talmente popolare da essere accolto senza esitazione come la denominazione topografica di Gesù, che era vissuto a lungo appunto a Nazaret. Eppure la connessione – almeno come ce la presenta Matteo – non è così scontata. Innanzitutto segnaliamo il fatto che nell’originale abbiamo letteralmente Nazoraios, “Nazoreo”, che non è propriamente “Nazareno”, in greco Nazarenos, usato da Marco e Luca e più noto. In verità, entrambe le forme potrebbero rimandare all’aggettivo aramaico nazraya, che designava un abitante di Nazrat, cioè Nazaret.
Ma il vero nodo aggrovigliato è in quella premessa matteana: «Perché si adempisse il detto dei profeti». Si tratta di una formula molto cara all’evangelista, che la usa ben dieci volte per raccordare la figura di Gesù all’Antico Testamento, così che essa abbia una continuità nella storia della salvezza, la quale sboccia nella “pienezza” di Cristo: il verbo greco, infatti, pleroun, da noi tradotto con “adempiere”, designa di per sé un “giungere a pienezza”. Tra l’altro, le citazioni esplicite dell’Antico Testamento che Matteo collega alla persona o agli atti o alle parole di Gesù sono almeno 63, rivelando quindi il legame intimo tra Cristo e le Scritture ebraiche.
Ecco, però, il problema che sfugge a chi ha poca familiarità con la Bibbia: dove mai nell’Antico Testamento si cita Nazaret? La risposta è totalmente negativa. Quindi, Matteo o commette un errore, oppure ricorre a un inganno apologetico per dare alla figura di Gesù un’altra e puntuale attestazione di dignità messianica biblica. In realtà, una spiegazione c’è anche se, come vedremo, si sfrangia in varie ramificazioni difficili da selezionare. È, infatti, ben documentata la prassi giudaica secondo la quale le connessioni con i testi sacri avvenivano spesso in modo libero e creativo, soprattutto per assonanza. Matteo, che si rivela molto addentro all’uso didattico degli scribi ebrei del suo tempo, ha probabilmente imboccato questa via per esaltare la figura di Gesù in una dimensione che rivestiva storicamente un certo rilievo, ma che non aveva nessun ponte diretto con i testi profetici.
Quale potrebbe essere, allora, l’allusione biblica evocata attraverso termini dal suono affine alla parola “Nazaret” che permetterebbero a Matteo di gettare quel ponte simbolico con l’Antico Testamento? Le risposte degli studiosi a questo punto si ramificano. C’è chi pensa a un’assonanza con la parola nazîr, donde il nostro “nazireo”: si trattava della persona “consacrata” a Dio che s’impegnava in alcuni voti descritti nel c. 6 del libro dei Numeri, come l’astinenza da bevande alcoliche e il non radersi la capigliatura. In questa categoria sono collocati dalla Bibbia personaggi come il giudice Sansone (Giudici 13), il profeta Samuele (1Samuele 1,11) e lo stesso Giovanni Battista (Luca 1,15). Cristo è il “consacrato” per eccellenza, colui che in pienezza compie la volontà del Padre, e l’eco di questa sua consacrazione Matteo la sente nel nome di Nazaret.
Alcuni studiosi rimandano, invece, a nezer, il “germoglio” che – secondo il profeta Isaia (11,1) – spunta dal tronco arido della dinastia davidica: questo simbolo diverrà non solo l’emblema, ma quasi il nome simbolico del Messia che il Signore nel libro del profeta Zaccaria chiama «il mio servo Germoglio» (3,8; 6,12). Altri sentono in quel Nazoreo/Nazareno il ricorrere del verbo nazar, “conservare”, che ha dato origine a un termine (nazûr), il “resto”, con cui Isaia definiva la comunità ristretta dei veri fedeli che rimanevano tali anche nel tempo della prova e dei quali Cristo sarebbe il vessillo. Sono, quindi, molte le spiegazioni dell’assonanza biblica che Matteo dichiara con il nome “Nazaret” ignoto alle Scritture.
Pubblicato il 25 gennaio 2012 - Commenti (2)