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Il passero e la rondine

Beato Angelico (1387-1455), Annunciazione, particolare capitello con rondine. Madrid, Prado.
Beato Angelico (1387-1455), Annunciazione, particolare capitello con rondine. Madrid, Prado.

"Anche il passero trova una casa e la rondine il suo nido dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio re e mio Dio!
(Salmo 84,4)."

Un po’ tutti qualche volta siamo stati catturati dagli arabeschi che i voli degli uccelli disegnano nel cielo, soprattutto quando si tratta di rondini e passeri che fanno parte del nostro paesaggio quotidiano. Secoli fa anche un poeta ebreo era là, col volto fisso in alto, nel cielo limpido di Gerusalemme, a contemplare lo svolazzare di questi uccelli che avevano ricavato spazi per i loro nidi nei cornicioni del tempio di Sion. La dolce e delicata immagine di questi uccelli si era, così, trasformata in poesia, anzi, in preghiera.

È appunto il frammento del Salmo 84 da noi proposto, un piccolo ritaglio contenente quella scena e appartenente a un inno in onore di Sion, il colle gerosolimitano che ospitava il tempio, la sede della presenza del Signore, cittadino tra i suoi concittadini umani. Non ci deve stupire che in un quadretto così intenso, amabile e spirituale entri un’invocazione apparentemente tanto forte e fin dura, «Signore degli eserciti», in ebraico Jhwh seba’ôt.
Questo, infatti, era il titolo divino tipico del santuario di Gerusalemme e la prima idea sottesa non era tanto quella delle armate ebraiche guidate dal generale supremo, quanto piuttosto quella cosmica dell’“esercito” delle stelle e degli elementi naturali che obbediscono al loro Creatore. Nel libro del profeta Baruc si legge: «Le stelle brillano nelle loro postazioni di guardia e gioiscono. Il Signore le chiama ed esse rispondono: Eccoci!, sfavillanti di gioia in onore del loro Creatore» (3,34-35).

Ma ritorniamo all’immagine del nostro versetto. Essa è preparata da un’appassionata invocazione- esclamazione: «Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti! L’anima mia languisce e si strugge per gli atri del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente!» (84,2-3). Il Salmista, a questo punto, invidia passeri e rondini che non si staccano dal tempio, come deve fare lui, pellegrino che ormai sta per lasciare il tempio di Sion, probabilmente dopo una delle tre cosiddette “feste di pellegrinaggio” (in questo caso pare non siano né Pasqua, né Pentecoste, bensì la solennità delle Capanne, legata alla vendemmia: si parla, infatti, nel versetto 7 delle «prime piogge» che sono appunto quelle autunnali). Fortunati, dunque, questi uccelli che hanno qui la loro dimora e non si devono distaccare per ritornare a valle, nella quotidianità.

Dietro di essi l’orante intravede i ministri del tempio che hanno una residenza perpetua e non solo temporanea (come il pellegrino) a Sion, in una costante intimità con Dio. Tuttavia, egli non rimpiange questa manciata di ore che ha trascorso lassù e che adesso è finita, perché «anche un sol giorno nei tuoi atri vale più di mille» altrove. E continua: «Ho scelto di stare sulla soglia del mio Dio piuttosto che dimorare nelle tende degli empi» (84,11). È evidente il contrasto tra due «tende», quella dell’arca dell’alleanza del Signore in Gerusalemme, e i padiglioni dei templi idolatrici o dei palazzi dei potenti.

Solo nella casa del vero Dio c’è la vita, il sole, la protezione contro gli incubi del male: «Sole e scudo è il Signore Dio che concede grazia e gloria e non rifiuta il bene a chi cammina con rettitudine» (84,12). Il clima spirituale è quello che esprime anche un poeta mistico indiano, nella sincerità della sua fede. È Kabir, vissuto nel XV secolo, che cantava: «O cuore mio, non staccarti dal sorriso del tuo Dio, non errare lontano da lui. Colui che veglia sugli uccelli, sulle bestie e gli insetti, colui che ti cura da quand’eri ancora nel grembo di tua madre, non ti proteggerà ora che ne sei uscito?».

Pubblicato il 25 agosto 2011 - Commenti (2)

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Postato da Teresi Giovanni il 26/08/2011 21:10

Mentre gli uccelli seguono il loro istinto di conservazione con i loro voli migratori e nidificano negli stessi luoghi e a volte, come le rondini, trovano lo stesso nido; l’uomo pellegrino trovava entusiasmo nel recarsi al Tempio di Sion. Il Tempio di Gerusalemme era il luogo-simbolo dove Dio aveva promesso di essere particolarmente presente per ricevere le preghiere e i sacrifici del Suo popolo e dove la Sua Parola sarebbe stata solennemente proclamata. Oggi l’uomo è soggiogato dalla tecnologia in tutta la sua comodità e quasi non percepisce più il bisogno di aggregazione e di ricercare il vero amore. Se ci sono uomini che non hanno più il sentimento d’amore per Dio che è l’Amore per eccellenza, costoro devono seriamente domandarsi se hanno davvero capito chi Lui sia e che cosa Lui ha fatto per l’umanità. L’uomo continua a fare la guerra all’uomo, proprio vicino ai luoghi santi. Ma nel conflitto, le rondini e le cicogne continuano a nidificare e a credere nella vita. Così ho espresso il bisogno di pace e d’amore in questa mia lirica: Dove volano le cicogne? … Ad oriente è diretto il volo/ dall’africana arida terra /alla striscia di Gaza/ nell’aria ancora scura/ e trasparente dell’alba./ Ignare del sangue che/ tinge le zolle,/ delle piriche polveri/ sotto le candide nuvole,/ del triste povero volto/ della quotidianità, / con le grandi ali bianche/ bordate di nero/ volano le cicogne./ Trovano alloggio/ tra tralicci di guerra,/ nidificano la speranza/ della vita … Dei giovani giocano/ all’eterna lotta,/ lanciano pietre,/ insorgono all’assenza/ d’una Patria sognata, al soffocato dolore e/ inseguono il nulla./ Lì nidificano/ le poche cicogne/ tra arrugginiti silos,/ non curanti dell’odio,/ accanto le povere case./ Anche lì sorge l’alba/ sulle mediterranee onde,/ sul polveroso suolo d’oriente. Giovanni Teresi

Postato da Andrea Annibale il 25/08/2011 13:12

Ho composto un piccolo racconto che mi pare si ricolleghi a questo splendido commento del Cardinale Monsignor Ravasi. Dunque, un angelo del Signore appare ad un vecchio eremita mentre è impegnato a fare il bilancio della sua vita. L’angelo dice all’eremita: “Stai per morire e c’è un usanza, cioè che, dopo il tuo trapasso, tu dica a San Pietro e al tuo angelo custode come vuoi che venga chiamata in Paradiso la tua anima”. L’eremita, non ha dubbi e risponde: “La mia anima si chiamerà ‘Il Signore ha provveduto’”. Vedi, Angelo, ho contemplato che Suo Figlio non aveva dove posare il capo ed il Signore gli ha dato come nido una Croce e poi un Sepolcro da cui è risorto per poi ascendere al Cielo. Così a me il Signore ha fatto sette doni. Primo, non ho avuto una moglie ma il Signore mi ha dato le stelle del cielo per vegliarmi come una moglie. Secondo, non ho avuto una casa, il Signore mi ha dato una Chiesa dove pregare lungo il mio pellegrinaggio. Terzo, è morta mia madre ed il Signore mi ha dato una creatura vivente, un piccolo gatto, perché io diventassi sua madre. Quarto. Ho letto l’Apocalisse, ed essendo cieco, ho chiesto al Signore il santo collirio per vedere, ed il Signore me l’ha dato: ho aperto gli occhi su tanti bisognosi cui ho dato misericordia, carità e perdono. Quinto. Non avevo pietà verso i peccatori ed i malvagi ed il Signore me l’ha insegnata. Sesto. Non avevo amore per me stesso, ma il Signore mi ha infuso amore per me medesimo, Sua creatura. Settimo, non avevo speranza, ma il Signore ha mandato il suo Spirito sulla mia vita perché io avessi speranza nella Sua salvezza. Così, apprendendo con gioia grande che andrò in Paradiso, vorrei che la mia anima si chiamasse appunto così “Il Signore ha provveduto”. Spero che questo racconto, di mia invenzione, sia piaciuto ai lettori di Famiglia Cristiana. Chi vuole può contattarmi su Twitter, utente AAnnibale.

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Autore del blog

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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