Il bacio di Giuda, particolare del ragazzo che fugge lasciando il mantello in mano agli inseguitori, dal Codice Aureus Escurialensis Fol. 81r (facsimile). Madrid, monastero dell’Escorial.
"Seguiva Gesù
un ragazzo
che aveva
addosso
solo una sindone.
Lo afferrarono,
ma egli
lasciò cadere
la sindone
e fuggì via".
(Marco 14,51-52)
È la notte dell’arresto di Gesù. Giuda è
avanzato nell’orto del Getsemani, tra gli
ulivi, accompagnato da «una folla con
spade e bastoni».
L’atmosfera si fa concitata:
dopo il bacio del tradimento e il colpo di scena
dell’orecchio mozzato da «uno dei presenti
a un servo del sommo sacerdote», Gesù viene
arrestato e ha appena il tempo di fare una dichiarazione
amara: «Come se fossi un ladro
siete venuti a prendermi con spade e bastoni...
».
A essa aggiunge una nota teologica che
è anche un segno di accettazione: «Si compiano
dunque le Scritture!». Alla fine i discepoli
si danno a una fuga piuttosto codarda.
Un ragazzo che, forse per il caldo o per pura
e semplice praticità, si trova in quel campo
rivestito di un lenzuolo, viene coinvolto
nel tumulto di quell’arresto che egli aveva
seguito forse solo per curiosità.
Si tenta di
bloccarlo per un controllo, ma egli riesce a
sgusciar via da quel panneggio e ad allontanarsi.
Ci si è chiesti da sempre perché mai,
in una scena così drammatica, Marco abbia
voluto introdurre un particolare così marginale
e fin stravagante.
La risposta comune è
semplice: si tratterebbe di una pennellata
autobiografica, simile a ciò che accadeva in
passato quando i pittori in una scena evangelica
amavano raffigurare sé stessi, sullo
sfondo o tra la folla.
Protagonista dell’episodio sarebbe, allora,
il giovane evangelista Marco che avrebbe assistito
alla cattura di Gesù.
Molti, però, hanno
puntato l’attenzione sul termine con cui è
definito il lenzuolo indossato dal ragazzo e
che noi abbiamo lasciato com’è nell’originale
greco sindón, “sindone”.
Ora è noto che
anche il nudo corpo di Cristo deposto dalla
croce era stato avvolto in una “sindone”:
«Giuseppe d’Arimatea, comprata una sindone,
depose [il corpo di Gesù] in un sepolcro
scavato nella roccia» (Marco 15,46).
Sappiamo
anche che da questa sindone egli uscirà,
abbandonandola nella tomba, stando almeno
alla testimonianza di Giovanni che, però,
non usa il vocabolo “sindone”, bensì quello
più generico di “teli” posati là nel sepolcro
col sudario che aveva coperto il volto del Cristo
morto (20,5-7).
Molti studiosi sono convinti che questa
scenetta, pur essendo reale, acquisti un valore
secondario e simbolico proprio attraverso
l’evocazione della “sindone”. Essa si trasforma
in una sorta di compendio cifrato e
anticipato della risurrezione.
Cristo, infatti,
ha lasciato sulla terra il segno della sua morte,
il lenzuolo funebre, per ricordarci che
quella fine fu reale e non fittizia, attestazione
della sua umanità autentica.
Ma il fatto
che essa sia ormai soltanto un telo vuoto,
rende la sindone un simbolo vivo della risurrezione
e, quindi, della gloria e della divinità
di Cristo, Figlio di Dio.
Pubblicato il 19 novembre 2012 - Commenti (1)