Raffaello Sanzio, Trasfigurazione, 1518-1520, particolare. Città del Vaticano, Musei, Pinacoteca.
"Mio figlio ha uno spirito muto:
lo afferra, lo getta per terra
ed gli schiuma, digrigna i denti
e si irrigidisce".
(Marco 9,18)
Siamo ai piedi del monte della Trasfigurazione.
Gesù ha appena svelato
a tre apostoli, Pietro, Giacomo
e Giovanni, il mistero della sua persona
di Figlio di Dio celato sotto le spoglie
della sua umanità.
Nella pianura
sottostante s’imbatte in un caso che è
classificato come possessione diabolica,
secondo la comune concezione di allora
(ma non solo) di interpretare uno stato
patologico psicofisico riportandolo a
una radice demoniaca (Marco 9,14-29).
Lo stesso era accaduto anche nel caso,
già da noi affrontato, del malato mentale
“indemoniato” di Gerasa (5,1-20).
Che si tratti, invece, di epilessia appare
dalla stessa descrizione fatta dal
padre di questo giovane e che noi abbiamo
messo in evidenza nella citazione
del passo dell’evangelista Marco.
Inoltre, condotto davanti a Gesù, il ragazzo
è preso dalle «convulsioni, cade a
terra e si rotola spumando» (9,20) e il
padre ricorda che «fin dall’infanzia» gli
accadeva questo, al punto di «buttarsi
anche nel fuoco e nell’acqua», in atteggiamento
autolesionistico (9,21-22). Siamo
in presenza della tipica sintomatologia
dell’epilessia, rubricata popolarmente
sotto uno «spirito muto» demoniaco,
secondo la cultura del tempo.
In realtà, Gesù si è trovato di fronte al
satanico in senso stretto, come abbiamo
visto in una precedente analisi di un testo
marciano (1,21-26) all’interno della sinagoga
di Cafarnao. Altre volte, invece,
ha davanti a sé semplicemente il limite
dell’uomo, il male fisico e psichico. Si tratta
della nostra imperfezione e creaturalità
che ci fanno soffrire; è la nostra incompiutezza
umana che comporta caducità,
dolore e morte. Questa dimensione negativa
nell’antica mentalità era sempre
da ricondurre o a una colpa del soggetto
o a un intervento demoniaco.
La figura di Cristo, come si erge liberatrice
nei confronti delle possessioni diaboliche,
ingaggiando una lotta con lo
“spirito impuro” che devasta la creatura,
spingendola al male, così si leva contro
il male fisico e psichico, orizzonte
nel quale Dio sembra assente, ma dove
in verità può rivelare la sua presenza salvifica
che è somatica e spirituale al tempo
stesso. È interessante notare i verbi
usati nel finale del racconto. «Il fanciullo
diventò come morto, sicché molti dicevano:
È morto (apéthanen)! Ma Gesù
lo prese per mano, lo risvegliò (égheiren)
ed egli sorse in piedi (anéste)».
Ebbene, questi sono i tre verbi greci
usati nel Nuovo Testamento per definire
la morte e la risurrezione di Cristo, sorgente
di ogni liberazione dalla morte e
dal male. La salvezza che egli offre è,
quindi, piena: tocca la nostra creaturalità
fragile, ma anche il peccato e le seduzioni
che Satana e il male esercitano
sulla nostra libertà facendola inclinare
verso il vizio.
Certo, dobbiamo evitare,
da un lato, gli eccessi di “satanismo”
facendone quasi il centro della fede cristiana
che è, invece, occupato da Dio e da
Cristo. Dobbiamo stroncare la morbosità
“satanica” in ambito magico, riconoscendo
il primato di Dio e affidando in molti
casi anche ad altre discipline il loro compito
terapeutico, come la medicina e la
psicologia.
Ma non dobbiamo dimenticare
il monito di san Pietro: «Il vostro nemico,
il diavolo, simile a un leone ruggente,
s’aggira cercando chi divorare; resistetegli
saldi nella fede!» (1Pietro 5,8-9).
Pubblicato il 30 ottobre 2012 - Commenti (2)