Beato Angelico (1387-1455), Entrata in Gerusalemme, Armadio degli argenti, Firenze, Museo di S. Marco.
Ecco viene a te
il tuo re,
giusto, vittorioso,
umile,
cavalca
un asino…
Farà sparire
il carro da guerra
e il cavallo,
e l’arco da guerra
sarà spezzato.
(Zaccaria, 9, 9-10)"
Siamo abituati a connettere questo oracolo del profeta Zaccaria a una scena a noi familiare, quella dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. Ed effettivamente Cristo avanza su un’asina accompagnata da un puledro e l’evangelista Matteo subito annota: «Questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta…» (21,4-5) e si fa seguire la prima parte del frammento che stiamo esaminando insieme. Ebbene, vorrei porre innanzitutto l’accento proprio su quella cavalcatura che ai nostri occhi risulta modesta, l’asino, e sull’altro animale che per noi sarebbe molto più degno di un sovrano, il nobile ed elegante cavallo.
Ora, si deve ricordare che l’asino era la cavalcatura
dei principi e dei re in tempo di pace,
mentre il cavallo col suo incedere potente
e fulmineo era più adatto alle campagne
militari. Di quest’ultimo Giobbe ci ha lasciato
un ritratto folgorante: «Scalpita nella valle
superbo, con impeto va incontro alle armi.
Disprezza la paura, non teme né retrocede
davanti alla spada. Su di lui tintinna la faretra,
luccica la lancia e il giavellotto. Eccitato
e furioso, divora lo spazio; al suono del
corno non riesce a trattenersi. Al primo
squillo nitrisce: Aah…! E da lontano fiuta la
battaglia, le urla dei comandanti, il grido di
guerra» (39,21-25).
Il re che Zaccaria tratteggia ha ormai i lineamenti
messianici, e la sua non è un’opera di
distruzione ma di pacificazione e per questo
sceglie l’asino come cavalcatura. Significativi
sono, infatti, due gesti che egli compie.
Primo atto: abolisce l’esercito e gli armamenti,
eliminando carri da guerra e archi da combattimento.
È un po’ quello che sognava Isaia come
ultima meta messianica: «Spezzeranno le
loro spade e ne faranno aratri, trasformeranno
le loro lance in falci. Una nazione non alzerà
più la spada contro un’altra, non ci saranno
più esercitazioni militari» (2,4). C’è, però, anche
un secondo atto che questo re atteso e sperato
metterà nel suo programma di governo.
Egli darà il via a una diplomazia della pace,
come si legge nella riga che segue il testo
da noi citato: «Annuncerà la pace alle nazioni
». Si inaugura, così, un nuovo ordine di rapporti
internazionali, «da mare a mare, dal
Fiume ai confini della terra», ossia in tutta la
mappa geopolitica di allora, dal mar Morto
al Mediterraneo, dall’Eufrate fino all’attuale
Gibilterra, considerata come la frontiera
estrema della terra. Che questo sovrano sia
ben diverso dai politici della storia – e quindi
dagli stessi re di Giuda – appare dai tre titoli
che il profeta gli assegna.
Il primo attributo è «giusto», non solo perché
«renderà giustizia al popolo e ai poveri
secondo il diritto» (Salmo 72,2), ma soprattutto
perché in lui brillerà la giustizia divina
che è sinonimo di salvezza e benedizione.
In secondo luogo egli è «vittorioso», in
ebraico si ha la radice del verbo “salvare”,
perché su di lui risiede la protezione divina
che lo custodisce dal male che lo assedia.
Infine, il re messianico sarà «umile», in
ebraico ’anî, cioè povero, semplice, lontano
dall’arroganza e dalle prevaricazioni del potere,
simile al «popolo umile e povero» (Sofonia
3,12). Quando all’orizzonte avanzerà
un tale sovrano, si udrà un canto di gioia corale:
«Esulta grandemente, figlia di Sion,
giubila, figlia di Gerusalemme», dichiara infatti
Zaccaria in apertura al nostro frammento
biblico.
Pubblicato il 30 giugno 2011 - Commenti (1)