Bernardo Zenale (1436-1526), Il giustiziato, storie di sant’Ambrogio, Milano, San Pietro in Gessate.
“ Il tempo è giunto
a pienezza,
il Regno di Dio
è vicino! Convertitevi
e credete
nel Vangelo!
(Marco 1,15)
Voltaire aveva il dente avvelenato coi preti. Tuttavia, non aveva tutti i torti quando diceva che la loro predicazione è
spesso «come la spada di Carlo Magno, lunga
e piatta»; e un altro francese famoso, Montesquieu, spiegava: «I predicatori quello che
non sanno darti in profondità te lo danno in
lunghezza».
Ho fatto questa premessa perché
quella che ora ho proposto è, per così dire, la
prima predica di Gesù, stando almeno al Vangelo di Marco. La cornice di questa citazione
suona, infatti, così: «Dopo che Giovanni Battista fu arrestato, Gesù si recò in Galilea, predicando il Vangelo di Dio, e diceva...» (1,14). Eppure questa brevità oratoria, affidata solo
a quattro frasi, è di una densità sorprendente. Abbiamo parlato di “predica”, in realtà
questo che Gesù proclama è un kerygma, in
greco un “annunzio” primo, fondamentale e
destinato a tutti, non a chi già crede, come
dovrebbe accadere per l’omelia-predica-sermone domenicale.
Le parole di Gesù sono articolate in quattro frasi che si dispongono in due coppie. La
prima coppia è di taglio “teologico”, cioè descrive l’iniziativa, l’opera, l’intervento divino. Eccone le due componenti. Innanzitutto
«il tempo è giunto a pienezza»: abbiamo tradotto così, invece del solito «è compiuto» per
essere più fedeli al greco che ha il verbo della “pienezza” (peplérotai) e che usa il vocabolo kairós, indicante il “tempo” decisivo, pieno di eventi e di vita, e non il semplice chrónos, che designa il tempo “cronologico”,
esterno e fatto di date. L’idea è, allora, squisitamente religiosa: la storia della salvezza,
iniziata con la prima alleanza di Dio con
Israele, giunge ora con Cristo al suo apice,
alla sua pienezza.
Il secondo detto della “predica” di Gesù introduce il «Regno di Dio» che è un’espressione simbolica, già presente nell’Antico Testamento, destinata a definire il disegno che
Dio vuole attuare nel mondo e nella storia,
un progetto «di verità e di vita, di santità e di
grazia, di giustizia, di amore e di pace», come
dice la liturgia della solennità di Cristo re dell’universo. Ebbene, questo «Regno di
Dio è vicino»; il verbo greco usato, enghýzein, è curioso perché in sé ha un valore di
futuro e di prossimità, come qualcosa che è
imminente, da attendere presto, o accanto
a noi; tuttavia, il verbo è coniugato al perfetto che in greco denota un’azione al pas-
sato il cui effetto perdura nel presente. Il
Regno di Dio è, quindi, già in parte compiuto, ma è ancora in azione e tende a una sua
piena attuazione futura.
L’altra coppia è, invece, “antropologica”,
ossia è riservata all’opera dell’uomo. Egli deve innanzitutto «convertirsi», in greco metanoéin, letteralmente “cambiare la mente”,
cioè la sua visione delmondo e delle sue scelte, alla luce del Vangelo. A questo mutamento radicale deve, perciò, unirsi la fede nel
Vangelo. Anche qui il greco è suggestivo perché, ricalcando un’espressione semitica che
evoca un “basarsi/fondarsi su”, richiede che
il credente fondi la sua esistenza sul Vangelo. Non è, quindi, solo un’adesione teorica al
Vangelo, al suo annuncio e ai suoi enunciati,
ma è anche una scelta coerente di vita, una
fede-fiducia piena e vitale.
Pubblicato il 01 settembre 2011 - Commenti (1)