Bartolomeo Esteban Murillo (1618-1682), San Giuseppe con Gesù, Mosca, Museo Pushkin.
“Tutto è puro
per chi è puro.
Ma per i corrotti
e i senza fede
nulla è puro:
sono corrotte
la loro mente
e la loro coscienza."
(Tito 1,15)
Omnia munda mundis è la traduzione
latina dell’avvio del testo che
proponiamo: chi non ricorda che
questo motto risuona sulle labbra di fra
Cristoforo per placare il fraticello che non
si capacita della libertà con cui il confratello
introduce nella clausura del convento
di Pescarenico due donne, Agnese e Lucia
(Promessi sposi, cap. VIII)? Ebbene, il
frammento biblico che contiene questa
frase proverbiale va in quella linea, perché
vuole combattere ogni ipocrisia; ma
dice anche qualcos’altro che cercheremo
di scoprire. Ma partiamo dal destinatario
di questo monito.
San Paolo sta scrivendo a Tito, un discepolo
molto caro, di origine pagana, come
attesta il suo nome tipicamente latino. Lo
stesso Apostolo forse l’aveva convertito, se
si intende in questo senso l’appellativo
«mio figlio nella comune fede» (1,4). Quanto
gli fosse caro appare a più riprese soprattutto
nella seconda lettera ai Corinzi,
ove è descritto come il mediatore ufficiale
di Paolo con quella turbolenta comunità
greca. Basti leggere solo qualche battuta:
«Giunto a Troade per annunziarvi il Vangelo
di Cristo, anche se la porta mi era aperta
nel Signore, non ebbi pace finché non vi
incontrai Tito, mio fratello... Il Dio che consola
gli afflitti ci ha consolati con la venuta
di Tito» (2Corinzi 2,13; 7,6).
Questo amico e collaboratore era stato
incaricato di reggere la Chiesa dell’isola
di Creta, un’impresa ardua anche perché
Paolo non aveva una grande stima di
quei cittadini, tant’è vero che li bolla con
un motteggio escogitato proprio da uno
di loro, il poeta Epimenide di Cnosso (VI
secolo a.C.): «I Cretesi sono sempre bugiardi,
brutte bestie e fannulloni!» (1,12). Perritornare al nostro passo, dobbiamo riconoscere
che esso si apre appunto con un
detto caro anche all’insegnamento evangelico:
«Non ciò che entra nella bocca rende
impuro l’uomo; è ciò che esce dalla
bocca a rendere impuro l’uomo», osservava
Gesù (Matteo 15,16).
Sappiamo, infatti, quanto fosse rilevante
per la tradizione giudaica l’osservanza
della cosiddetta “purità” rituale con varie
abluzioni soprattutto prima di accedere
al culto. L’accento, invece, viene spostato
da Cristo e da Paolo sulla purezza di coscienza,
di pensieri e di opere. Per questo,
«tutto è puro» per chi ha l’animo puro. Ma
il nostro testo prosegue e tratteggia anche
un rovescio della medaglia, e qui l’Apostolo
attacca alcuni membri della comunità
cretese di origine giudaica che corrompono
ciò che è puro perché «sono corrotte la
loro mente e la loro coscienza». Chi è sporco
dentro contamina ciò che è puro; irradia
attorno a sé una corrente maligna
che tutto perverte.
È interessante notare che l’appello paolino
contro questi cristiani – che in realtà
sono ápistoi, cioè «senza fede» – mette al
centro due realtà umane particolarmente
apprezzate dalla cultura greca, la «mente
», nous, e la «coscienza», syneídesis. Si
vuole risalire alla radice ultima della corruzione
e della sua forza dirompente: essa
è nell’intimo dell’essere, nella sorgente
della morale e quindi delle decisioni,
dei pensieri e delle opere. Gesù, nel passo
matteano sopra citato, diceva la stessa cosa
ma usando un simbolo semitico, il cuore:
«Ciò che esce dalla bocca proviene dal
cuore e rende impuro l’uomo: dal cuore,
infatti, provengono propositi malvagi...»
e segue una lista di sette peccati o vizi, segno
di una pienezza di male che si effonde
corrompendo e devastando tutto. Ritorniamo,
perciò, alla coscienza con quella
pratica ora dimenticata che era detta
appunto “l’esame di coscienza”.
Pubblicato il 15 settembre 2011 - Commenti (1)