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Quattordici generazioni

Vergine e  bambino con San Giuseppe, pittore olandese del secolo XVI. New York, Metropolitan Museum of Art.
Vergine e bambino con San Giuseppe, pittore olandese del secolo XVI. New York, Metropolitan Museum of Art.

"Tutte le generazioni da Abramo a
Davide sono quattordici; da Davide
alla deportazione in Babilonia
quattordici; dalla deportazione
in Babilonia a Cristo quattordici".
(Matteo 1,17)

Ènoto che, aprendo la prima pagina del Vangelo di Matteo, ci si imbatte in un arido elenco di nomi, una genealogia che era, però, un genere molto caro agli antichi abitanti del Vicino Oriente. Essi, infatti, in quella catena di nomi – non di rado fittizi o impropri – intuivano la propria storia e la grandezza delle loro origini. L’imbarazzo per noi lettori moderni, abituati al rigore documentario e storiografico, si materializza anche nel caso della genealogia di Gesù. Due sono i motivi di questa difficoltà. Il primo è proprio nel suggello che Matteo appone alla sua lista, marcando il numero “quattordici” come segnale numerico costante. Ora, se dovessimo ricostruire rigorosamente la sequenza della storia biblica di Israele, ci accorgeremmo che quel numero è improponibile.

Anzi, se si dovesse fare il confronto con l’analoga genealogia di Gesù stilata da Luca (3,23-38), rimarremmo ancor più sorpresi perché è totalmente diversa: anziché essere discendente, è ascendente (da Gesù risale fino alle origini dell’umanità), ha come radice non Abramo ma Adamo e ha in comune con quella di Matteo solo due nomi! Questo imbarazzo si può sciogliere tenendo conto proprio del valore simbolico, prima che storico, delle genealogie antiche. Matteo vuole dimostrare il legame intimo di Gesù con il popolo ebraico e il suo messianismo: allora ricorre alla linea dinastica davidica più che alla discendenza naturale, forse privilegiata da Luca che raccorda, invece, Cristo all’umanità intera, rappresentata appunto da Adamo. Spinto da un’esigenza che è più di indole teologica che storiografica, ecco che Matteo ordina la sequenza genealogica in una triade scandita dal settenario che, come si sa, è nella Bibbia uno dei numeri privilegiati per indicare pienezza e perfezione. Ecco, allora, il dominio del 7+7 che esalta il filo generazionale il quale si annoda alla figura gloriosa di Davide. Anzi, sempre per la mistica delle cifre bibliche e giudaiche e per il valore numerico assegnato alle lettere dell’alfabeto, secondo la tecnica detta della “gematria”, il 14 potrebbe ammiccare anche alla somma dei numeri legati alla base del nome Dawid, cioè alle tre consonanti ebraiche d-w-d che hanno il valore numerico di 4+6+4, cioè 14.

Ma al di là di simili speculazioni, rimane il significato ultimo del messaggio di Matteo: la storia della salvezza ha una sua perfezione profonda che si esprime attraverso l’armonia numerica settenaria e che crea un arco tra Davide e Gesù, al quale si può attribuire il titolo messianico di «Figlio di Davide», che risuona otto volte nel Vangelo di Matteo. Qui, però, scatta la seconda difficoltà. La lista genealogica è retta dal verbo “generò” che segna i vari anelli: esso ricorre 39 volte ma a sorpresa manca nell’anello fondamentale, l’ultimo, riguardante Gesù. Là, infatti, non si legge: «Giuseppe generò Gesù», come negli altri casi, bensì «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» (1,16).

E allora come Gesù può essere discendente davidico se il legittimo davidide, Giuseppe, non lo genera? La risposta è nella pagina successiva (1,18-25) quando l’angelo si rivolge al futuro sposo di Maria invitandolo ad assumere la funzione di padre legale, anche se non naturale, del figlio che la sua fidanzata porta in grembo. Ora nell’antica legislazione la paternità legale (per adozione o per altra via) poteva legittimamente conferire i diritti ereditari. Giuseppe, discendente di Davide secondo la convinzione della sua genealogia tribale, rende così Gesù «Figlio di Davide» in senso autentico, introducendolo sulla ribalta della storia sotto l’egida messianica.

Pubblicato il 12 gennaio 2012 - Commenti (1)

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Postato da Teresi Giovanni il 12/01/2012 19:28

La promessa di Dio si realizza a dispetto degli uomini, per vie impensate. Accanto alla linea del sangue, prevedibile, c’è la linea della sorpresa e dell’elezione: accanto al popolo giudaico c’è quello degli stranieri. Il Cristo non è frutto della volontà degli uomini ma della volontà di Dio che sa procedere anche quando gli uomini vorrebbero sbarrarle la strada. La genealogia con la quale Matteo apre il suo racconto suscita nel lettore un’impressione negativa: si direbbe una pagina arida e inutile, quindi da saltare. In realtà Matteo intende comunicarci profondi insegnamenti teologici, espressi però con il linguaggio di un’antica comunità giudeo-cristiana. Sono d’accordo con l’interpretazione di Sua Eminenza il Cardinale Ravasi. L’intenzione vera delle genealogie bibliche non è tanto quella di offrire un rapporto di discendenza, quanto quella di tracciare, attraverso aridi nomi e in modo scheletrico, una storia che continua. Il centro di interesse che guida Matteo nel costruire questa pagina è Gesù, e precisamente in quanto figlio di Davide. Questo nel contesto di una polemica con i giudei, gli echi della quale sono rimasti nel Vangelo di Giovanni (7, 41-43): “Alcuni dicevano: è il Messia! Ma altri ribattevano: il Messia viene forse dalla Galilea? La Scrittura non afferma che il Messia viene dal seme di Davide, e da Betlemme, il villaggio di Davide? Ci fu dunque dissenso tra la folla per causa sua”. Con la genealogia, quindi, Matteo intende affermare che Gesù è figlio di Davide (tramite Giuseppe che lo adottò legalmente), ma nello stesso tempo ci fa capire che Gesù è molto di più. Difatti nel v. 16 Matteo introduce un’evidente rottura nella genealogia e la linea del sangue viene ridimensionata ed è accompagnata dalla linea dell’elezione: è questa ciò che conta. Gesù non è solo figlio di Davide, ma viene da Dio. Giovanni Teresi

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Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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