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mag

Un fantasma non ha carne...!

"Guardate le mie mani
e i miei piedi: sono proprio io!
Toccatemi e guardate:
un fantasma non ha carne e ossa."
(Luca 24,39)

Caravaggio, Incredulità di Tommaso , 16oo-01. Potsdam-Sans-Souci, Bildergalerie.
Caravaggio, Incredulità di Tommaso , 16oo-01. Potsdam-Sans-Souci, Bildergalerie.

Che sia poco felice il termine “apparizioni”, usato per indicare gli incontri del Cristo risorto coi suoi discepoli, è dovuto alla comune accezione moderna che spesso lega questa parola alla magia o alla parapsicologia e non di rado a emozioni personali indefinibili e discutibili. In realtà, il linguaggio neotestamentario ricorre al semplice verbo “vedere”: Gesù “fu visto” dopo la sua morte in tre incontri con singole persone e in cinque con la comunità dei discepoli.

Uno di questi ultimi incontri, ambientato a Gerusalemme, è descritto da Luca (24,36-42) subito dopo il celebre racconto di Emmaus. La scena impressiona per la sua “carnalità”: essa contrasta con l’improvvisa epifania di Cristo («stette in mezzo a loro») – che lo fa scambiare per un fantasma agli occhi dei discepoli – e con l’idea di un corpo “trasfigurato” che noi colleghiamo al concetto di risurrezione.

Luca va giù pesante non solo riferendo l’invito a toccare carne e ossa del Risorto, un po’ come accadrà all’apostolo Tommaso nel racconto di Giovanni (20,27), ma evocando anche una sorprendente proposta dello stesso Gesù a cui dà seguito in modo deciso: «Avete qui qualcosa da mangiare? Gli offrirono una porzione di pesce arrostito. Egli lo prese e lo mangiò davanti a loro». La spiegazione di questo dato un po’ imbarazzante è da cercare nel particolare stato del Risorto. Egli è nella gloria della divinità e, quindi, è oltre la fragilità carnale e la mortalità.

È per questo che può apparire all’improvviso, persino «a porte chiuse», come accade nel caso citato di Tommaso (Giovanni 20,26). È ancora per questo che può essere scambiato quasi per un fantasma o persino – come accadrà a Maria di Magdala – confuso con un’altra persona, il custode dell’area cemeteriale (Giovanni 20,15). Questo avviene perché è necessario un ulteriore canale di conoscenza rispetto a quello razionale, una “visione” differente rispetto a quella oculare fisica: è il percorso di conoscenza della fede che permette di intuire il volto di Cristo risorto. Questo, però, non significa che egli sia diverso dal Gesù storico. Ecco, allora, la sottolineatura sulla corporeità.

Ora, è noto che per il semita il corpo non è solo un agglomerato biologico e fisiologico; è soprattutto il segno della personalità, della presenza, dell’individualità. Il Risorto è, dunque, la stessa persona, e l’esperienza pasquale non è una mera sensazione soggettiva, ma essa è indotta da una realtà oggettiva, esterna, trascendente ma reale. Talmente reale ed efficace da mutare radicalmente la vita di quegli uomini esitanti, timorosi e dubbiosi e persino l’esistenza di un avversario deciso come Paolo di Tarso.

Questa marcata sottolineatura della corporeità del Risorto è tipica sia di Luca sia di Giovanni che devono confrontarsi con lo scetticismo del mondo greco riguardo alla risurrezione, mondo a cui appartenevano i destinatari dei loro Vangeli. Emblematica sarà l’esperienza dell’apostolo Paolo nel suo intervento all’Areopago di Atene, ove egli si scontrerà con una forte reazione negativa all’annunzio della risurrezione di Cristo (Atti 17,30-33).

Pubblicato il 24 maggio 2013 - Commenti (2)

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Postato da Teresi Giovanni il 25/05/2013 08:25

Mentre i discepoli parlavano, Gesù si presenta in piedi in mezzo a loro e li saluta con l’espressione tipica del mondo ebraico (šalôm). I discepoli sono impauriti e credono di vedere un fantasma . Gesù li rimprovera per la loro incredulità e, per dissipare i loro dubbi, presenta loro le sue mani e i suoi piedi, invitandoli a guardare e a toccare (vv. 38-40). Essi però restano increduli, perché da una parte si sentono riempire da una grande gioia, mentre dall’altra sono pieni di stupore: in altre parole ciò che stavano sperimentando sembrava loro troppo bello per essere vero. Egli allora si fa portare un po’ di pesce arrostito e lo mangia di fronte a loro. Questo gesto non ha un significato conviviale, ma rappresenta semplicemente una prova della realtà fisica della sua presenza. Ciò che è avvenuto non è effetto di casualità, ma «doveva» capitare perché le Scritture lo avevano preannunziato. Con queste parole l’evangelista presenta Gesù come il vero e definitivo interprete delle Scritture, in quanto non solo esse si sono adempiute nella sua persona e nei fatti che la riguardavano, ma anche perché ne precisa il senso. Giovanni Teresi

Postato da Andrea Annibale il 24/05/2013 10:56

Questo passo bellissimo di Luca mi porta a pensare al grande amore che ha Gesù per i suoi discepoli. Un rapporto d’amore, non un singolo atto d’amore. Un rapporto che prosegue dopo la Resurrezione per rincuorare i discepoli e confermali nella fede. Gesù è vero Dio e vero uomo. La sua umanità è glorificata nelle piaghe della Passione. La sua umanità è esaltata nel mangiare del pesce arrostito. Il rapporto di Gesù con i discepoli, inoltre, mi appare diretto e intimo e li conduce a pensare secondo Dio, non secondo gli uomini. Certo, Gesù non li sgrida ma affronta con delicatezza, tenerezza e decisione i loro sentimenti umani che Luca indica (erano stupiti e spaventati). Questo stupore e questo spavento sono a loro modo santi perché rivelano un timore di Dio autentico e profondo. Anche nella Gloria, assiso alla destra del Padre, Gesù porta i segni della Passione e glorifica l’essere umano innalzandolo con la sua corporeità divina. Ciò cui assistiamo è una visione di Cristo che non è un fantasma, ma è il Gesù storico che storicizza la sua divinità condividendola con noi esseri umani. Con la successiva Ascensione, la sua gloria è fissata per sempre: la celebriamo nell’eucarestia che valorizza la nostra umanità, che si nutre di fede e di speranza e che alimenta la nostra carità verso i fratelli. Facebook: AAnnibaleChiodi; Twitter: @AAnnibale.

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Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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