30 dic
Al termine di ogni anno le varie istituzioni e il mondo imprenditoriale fanno un bilancio consuntivo e si apprestano a guardare, inserendo nuove strategie per mettere in atto misure di ripresa e di maggior profitto. È ciò che attualmente stanno facendo anche i governi di tutto il mondo per far fronte alla crisi economico-finanziaria e offrire ai loro Paesi garanzie di crescita e maggior sicurezza economica. Non sempre, però, le molte aspettative dei cittadini trovano riscontro positivo quando ci si concentra solo sulle questioni economiche e non si pensa a investire sulle persone che sono pur sempre il capitale più prezioso da custodire, sviluppare e valorizzare.
L’ultimo rapporto dell’Istat ci prospetta il futuro demografico del nostro Paese, che richiede una seria riflessione per una maggior consapevolezza e un cambiamento di mentalità e di politiche sociali e familiari. L’Italia si presenta, anche a livello mondiale, come un Paese di persone anziane. Si legge, infatti, nel rapporto che: “la popolazione è destinata a invecchiare gradualmente, gli ultra 65enni, oggi pari al 20,3 per cento del totale, costituiranno quasi il 33 per cento nel 2059”. Similmente la popolazione sino a 14 anni, oggi pari al 14 per cento del totale, scenderà sino a raggiungere un minimo del 12,7 per cento.
Ma come prevedere un futuro, in cui si possa far fronte alle necessità di cura e assistenza di una popolazione che invecchia tanto rapidamente e massicciamente? Dove si possono trovare chiavi di lettura per prevenire e trovare risposte adeguate a tali bisogni?
Forse dovremmo allargare un po' lo sguardo. Di fronte a un continente Europa che sta invecchiando c’è invece un continente Africa che cresce dal punto di vista demografico (e non solo), nonostante le grosse difficoltà in cui versano molti Paesi. Nel 2050, infatti, una persona su quattro nel mondo sarà nata in Africa. Mentre noi occidentali saremo una minoranza. Per di più vecchia.
Attualmente, l’età media in Africa si aggira attorno ai 18-20 anni. In Italia siamo a 43, ma, secondo l’Istat, arriveremo nel 2059 a quasi 50. Già oggi la presenza di migranti, molti dei quali africani e giovani, sta contribuendo all’abbassamento dell’età media e soprattutto al tasso di natalità del nostro Paese, che per le donne italiane è tra i più bassi al mondo (1,2 figli per donna) mentre per le africane è ancora del 5,7.
E sono proprio le donne immigrate - non solo africane - che contribuiscono in tanti modi alla crescita del nostro Paese.
Dobbiamo quindi apprezzare la loro presenza e investire sui ricongiungimenti familiari che offrono stabilità e sicurezza. A
tal scopo c’è bisogno di un accurato e urgente lavoro di integrazione
per una convivenza pacifica e rispettosa di diritti e doveri. Purtroppo,
i progetti di accoglienza e integrazione sono ancora molto carenti e in
molte regioni inesistenti. In questi ultimi anni le migrazioni in
Italia hanno assunto un volto sempre più femminile: le donne sono sempre
più presenti nelle nostre famiglie, dove lavorano particolarmente
nell’assistenza domiciliare dei nostri anziani, che a volte nemmeno i
figli riescono gestire.
«L’aumento delle donne - commenta Brizida Haznedari, albanese,
avvocato e mediatrice culturale - ha provocato un positivo riequilibrio
della popolazione migrante, che fa bene sia alla realtà immigrata sia a
quella italiana. Aiuta nel percorso di integrazione, soprattutto
quando ci sono dei figli che creano legami e aperture con altre
famiglie. Spesso le donne migranti vivono le stesse problematiche di
quelle del posto, come la scarsità di asili nido a basso costo o le
difficoltà scolastiche. E a anche per gli uomini è una presenza più
rasserenante. Oggi non ci troviamo più di fronte solo all’individuo
migrante, ma alla famiglia. Anche molte badanti e collaboratrici
domestiche stanno facendo i ricongiungimenti con mariti e figli».
La presenza di famiglie immigrate, ben inserite nella nostra società, crea equilibrio e armonia.
All’inizio del nuovo anno 2012 auguriamo a tutte le donne italiane e immigrate e ancor più a tutti i giovani a cui il Papa Benedetto XVI ha dedicato il messaggio per la Giornata mondiale della Pace, di
essere davvero strumenti di coesione, solidarietà e comunione per la
costruzione di un Paese che più che mai ha bisogno di riprendere fiducia
e speranza.
Infatti il Santo Padre ci ricorda che “sono più che mai necessari
autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di
informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri,
perché la loro vita abbraccia spazi più ampi”. E ancora: “Guardiamo
con maggiore speranza al futuro, incoraggiamoci a vicenda nel nostro
cammino, lavoriamo per dare al nostro mondo un volto più umano e
fraterno, e sentiamoci uniti nella responsabilità verso le giovani
generazioni presenti e future, in particolare nell’educarle ad essere
pacifiche e artefici di pace.”.
Pubblicato il 30 dicembre 2011 - Commenti (0)
24 dic
Da circa nove anni l’Ufficio “Tratta donne e minori” dell’Unione
delle superiore maggiori d’Italia (USMI) è presente al CIE di Ponte Galeria,
dove centinaia di immigrati sono in attesa di identificazione ed espulsione
perché privi di documenti.
Un gruppo di una ventina di religiose di diverse Congregazioni
e nazionalità visita settimanalmente il reparto riservato alle donne per
offrire una presenza di consolazione e di speranza, in quella situazione così
difficile e dolorosa. Specialmente a durante questo periodo di feste.
Queste donne, sempre oltre il centinaio, vedono il
proprio sogno migratorio frantumarsi e
subiscono l’umiliazione di ritornare a casa a mani vuote, invece di continuare
ad aiutare la famiglia, come avevano cercato di fare venendo in Italia.
Purtroppo molte di queste giovani donne, specialmente le nigeriane e quelle provenienti
dall’Europa dell’Est, sono spesso anche vittime della terribile tratta di
esseri umani sia per sfruttamento lavorativo ma soprattutto per sfruttamento
sessuale. Sono gli anelli più deboli di una terribile catena di schiavitù che
tiene soggiogate milioni di giovani vittime ingannate, trasportate nei Paesi di
“consumo”, messe sul mercato del sesso, da cui è difficile sganciarsi per ricostruirsi
una nuova vita.
Nel Centro di Ponte Galeria, come in tutti i Cie
d’Italia, gli ambienti sono di uno squallore indescrivibile. Non esistono
luoghi di aggregazione e le giornate trascorrono nella più totale inerzia.
Terribile per giovani piene di vita, costrette a passare lunghe ore sdraiate
sul letto, a volte in preda alla disperazione, sognando un futuro di libertà e
normalità. L’unico momento della settimana che fa la differenza è la presenza
delle suore il sabato pomeriggio.
Le incontriamo in gruppetti a seconda della
loro provenienza e conoscenza della lingua, per stare con loro, ascoltare le
loro storie, far uscire la loro rabbia e offrire un momento di riflessione e di
preghiera, con canti e letture che richiamano la ricchezza e bellezza delle
loro culture e tradizioni.
Uno dei momenti più belli e significativi, che si
ripete ogni anno, è stata certamente la celebrazione del Natale, attraverso un
momento di preghiera ecumenica, con canti in varie lingue e un momento di festa
per tutte.
Anche quest’anno si è ripetuta questa celebrazione, giacché Gesù vuole nascere anche nel Cie di Ponte Galeria,
in un ambiente non molto diverso da
quello in cui è nato duemila anni fa, in una stalla di Betlemme.
Celebrare il
Natale con le ragazze e le donne che sono a Ponte Galeria è sempre
un’esperienza unica e toccante. Un’esperienza di vita, gioiosa e dolorosa, al
tempo stesso. Gioiosa, perché permette di donare la gioia di Betlemme a chi non
ha nulla. Dolorosa per il dramma che vivono queste ragazze, lontane dal loro
Paese e dalle loro famiglie, dal loro mondo giovanile e dagli affetti più cari.
È in questa atmosfera che siamo
tornate quest’anno a Ponte Galeria, con una quindicina di suore. Abbiamo
incontrato una settantina di donne, pronte a riunirsi nella sala mensa per
celebrare insieme il Natale e cogliere il suo messaggio di gioia, di pace, di
condivisione e fratellanza: i doni che il Redentore vuole donare ancora ai
poveri, agli ultimi, agli emarginati.
Quest’anno ci ha
profondamente colpito l’annuncio della
nascita di Gesù proclamato in ben dieci lingue: italiano, spagnolo,
portoghese, inglese, francese, russo, ucraino, rumeno, albanese, e infine in
cinese. Dopo l’annuncio della Parola, i canti e
le preghiere, ogni ragazza si dispone a preparare la culla dove deporre il
Bambinello.
Purtroppo non hanno nulla all’infuori delle mani aperte e vuote
dove possono ricevere e contemplare un
Bambinello splendente di luce. Le donne non possiedono nulla qui
al Cie. Hanno solo la loro storia personale, fatta di violenze subite, a volte
di ferite profonde incise nel cuore.
Sicuramente il
piccolo Gesù va volentieri da loro, per santificare e sanare le loro vite
distrutte. Vita che rimane ugualmente e sempre un dono di Dio. Questo momento è
sempre vissuto dalle donne e anche da noi con molta commozione.
Al termine della
celebrazione ecumenica, è seguito il momento di festa con l’arrivo di Babbo Natale
che distribuisce a tutte doni utili e graditi: una grande borsa, una tuta
calda, vestiario e abbigliamento intimo, nonché dolci tipici di Natale insieme
a un bellissimo peluche, donato dagli alunni di due scuole: Marymount di Roma e
da un Liceo statale di Ariccia.
Il tutto distribuito tra tanta allegria, con
musica e canti natalizi. Solo in questa condivisione il Natale ha senso.
Ancora oggi il
Piccolo Bambino si fa presente nelle “stalle” odierne, per portare un messaggio
di gioia e di pace, proprio come duemila anni fa, quando aveva sperimentato il
rifiuto dell’accoglienza nei palazzi dei potenti, giacché anche oggi, come
allora, “non c’è posto per Lui nell’albergo”.
Pubblicato il 24 dicembre 2011 - Commenti (0)
21 dic
Papa Benedetto XVI in compagnia di alcuni giovani.
Il Messaggio del Papa per la XLV Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il prossimo 1° gennaio, si inserisce in una prospettiva educativa molto interessante e di grande attualità: «Educare i giovani alla giustizia e alla pace».
La convinzione del Santo Padre è che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possano offrire una nuova speranza al mondo e per questo vanno adeguatamente valorizzati.
È quanto cerchiamo di fare anche noi, nel nostro piccolo, con incontri formativi e informativi, provando a raggiungere il maggior numero possibile di giovani, ancora sensibili alle tematiche sociali, per far conoscere in particolare il dramma della tratta di esseri umani e soprattutto per aiutarli a riscoprire e a vivere il grande valore del rispetto della dignità di ogni persona. Solo così, ciascuno potrà essere protagonista di uno sviluppo personale, sociale e cristiano equilibrato, che si esprime attraverso gesti concreti di giustizia e di pace.
Recentemente ho partecipato a un incontro molto bello, consolante e promettente in un Liceo Statale di Ariccia (Roma), organizzato quale preparazione alternativa a un Natale commerciale. Le insegnanti di religione si erano documentate sul problema della tratta di esseri umani e avevano preparato i giovani nelle varie classi attraverso informazioni, documenti e filmati. I ragazzi erano entusiasti di poter incontrare qualcuno che vive a diretto contatto con queste donne e che ha condiviso i loro drammi. E si sono interrogati su cosa potevano fare anche loro.
A questo proposito ho parlato loro del momento di preghiera e di festa che ogni anno organizziamo per Natale nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria con donne in attesa di essere rispedite a casa perché prive di documenti. Normalmente regaliamo loro una borsa viaggio, perché possano rientrare in maniera dignitosa e non con le loro poche cose buttate in un sacco della spazzatura. Portiamo degli abiti caldi e un po’ di dolci. I ragazzi, però, sapevano che queste donne, molte delle quali giovanissime, avrebbero gradito anche qualcosa di “speciale”. E allora i 400 studenti della scuola si sono attivati e con grande sorpresa e commozione ho visto il palco letteralmente coperto di bellissimi peluche. Era il loro dono per le ragazze di Ponte Galeria.
Questo gesto, ma anche le loro domande e il silenzio che accompagnava le risposte, mi ha confermato ancora una volta della necessità di investire sui giovani specie nelle scuole per un vero cambiamento di mentalità e per creare una società basata sui valori di giustizia ed equità.
Spetta, però, anche a noi adulti, educatori e genitori, accogliere ancora l’invito del Papa che ci sollecita a «comunicare ai giovani l’apprezzamento per il valore positivo della vita, suscitando in essi il desiderio di spenderla al servizio del Bene. È un compito, questo, in cui tutti siamo impegnati in prima persona».
Il Santo Padre inoltre aggiunge: «Per questo sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone».
Questa è proprio la nostra sfida di oggi: essere testimoni che propongono una meta da raggiungere ma che sanno anche camminare al fianco di chi sta intraprendendo il cammino della vita.
Pubblicato il 21 dicembre 2011 - Commenti (0)
10 dic
Sbarchi a Linosa, scene di vita quotidiana tra gli immigrati.
Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite firmava a Parigi la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Per la prima volta nella storia dell’Umanità, venne prodotto un documento riguardante il mondo intero, dove tutti sono riconosciuti come persone, senza distinzioni di genere, razza, provenienza, lingua e religione.
Nel Preambolo della dichiarazione viene considerato prima di tutto il riconoscimento della dignità dı tutti i membri della famiglia umana e i loro diritti, uguali e inalienabili, che costituiscono il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo.
Per la prima volta veniva scritto che esistono diritti di cui ogni essere umano deve poter godere per la sola ragione di essere al mondo.
Eppure la Dichiarazione è tuttora disattesa in molti contesti e in troppe situazioni, perché non applicata o rispettata, se non addirittura perché apertamente violata.
Purtroppo nel 64° anniversario di questo prezioso documento, assistiamo ancora oggi, sempre più di frequente, in svariati angoli di mondo, alla limitazione o alla totale negazione dei diritti umani in essa sanciti e ribaditi. Spesso si tratta dei diritti riguardanti le donne, del rıspetto che dovrebbe essere loro dovuto, della valorizzazione del loro ruolo nella famıglıa e nella società.
Ma penso anche a molte minoranze e al loro diritto a esistere come popoli nelle loro terre di origine; agli immigrati con il diritto di lasciare la loro terra per cercare lavoro e condizioni dı vita migliore altrove; ai richiedenti asilo alla rıcerca di un po’ di sicurezza in Stati democratici; a quanti sono perseguitati a causa della religione o in nome di un Dio che talvolta viene usato per giustificare i nostri interessi personali; nonché tutte le altre forme di violenza e discriminazione ancora esistenti in varie parti del mondo.
Riflettendo su ciò che ogni giorno sentiamo e vediamo nei nostri ambienti di famiglia e di lavoro non è difficile scoprire come questi diritti non siano spesso riconosciuti e garantiti neppure da noi.
Infatti all’ Articolo 4 della Dichiarazione leggiamo: «Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù. La schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma».
Eppure la tratta delle schiave, specie di donne e bambini per sfruttamento sessuale, continua ad essere praticata nonostante sia stata definita dall’Onu un “crimine contro l’umanità” e continua a produrre benefici enormi per traffıcani senza scrupoli: oggi rappresenta il terzo business illegale al mondo, dopo il traffico di armi e droga. Ogni anno schiavizza milioni di persone, l’80 per cento donne e minori per una cifra d’affari globale che si aggira attorno ai 32 miliardi di dollari.
Molte di queste persone trafficate continuano a soffrire e a morire sulle nostre strade, uccise dalle malattie, dagli incidenti, dai trafficanti o dai clienti, ma soprattutto uccise dalla nostra indifferenza.
Come Joy, uccisa a Novara all’età di 21 anni, Lillian morta a 23 anni per un terribile cancro, o Issi, deceduta due mesi fa al pronto soccorso per un ictus celebrale e ancora in attesa di una degna sepoltura. La comunità che l’aveva accolta e aiutata a spezzare le sue catene di schiavitù si sta organizzando per offrirle un loculo che accolga il suo giovane corpo usato e martoriato da tanti uomini, che hanno ucciso anche i suoi sogni e le speranze di un avvenire sicuro per se stessa e la propria famiglia.
Oggı, dunque, celebrare l’anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani ha senso solo se insieme continueremo a lavorare per riconoscere il dono della dignità, identità e libertà dı ogni persona così com’è stata pensata e voluta dallo stesso Creatore: “Fatta a sua immagine”.
Pubblicato il 10 dicembre 2011 - Commenti (1)
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