30
ago

Dove sono le donne?

Domenica 26 agosto è calato il sipario sul grande evento del Meeting di Rimini dal tema: “La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito”. La presidente Emilia Guarnieri si è detta molto soddisfatta. Infatti, gli stand sono stati visitati da 800 mila persone, provenienti da oltre 40 Paesi. Anche quest’anno il Meeting ha ospitato 9 mostre, 21 spettacoli e 98 incontri, con 271 relatori: uomini politici e di Chiesa, di pensiero e di alto profilo sociale. Ma, appunto, uomini. O quasi esclusivamente. Sono rimasta infatti molto delusa nel costatare che la presenza delle donne era assai insignificante, attorno al 10 per cento.

Ancora una volta mi sono chiesta che tipo di società e governo, di istituzioni e di Chiesa, di leadership e di modelli stiamo presentando e proponendo soprattutto ai nostri giovani? In un tempo in cui le donne stanno emergendo, anche se con tanta fatica, in tutti i campi, questa loro presenza dovrebbe essere presa maggiormente in considerazione e valorizzata, se vogliamo costruire un mondo più armonico, nel rispetto dei ruoli e delle competenze, dei diritti e dei doveri, fedele ai principi etici ed evangelici.

Non mancano esempi e testimonianze bellissime da proporre ancora oggi alla nostra società e soprattutto alle future generazioni che devono imparare a scoprire, rispettare e apprezzare le capacità, il dono e la bellezza di ogni persona, maschio o femmina che sia, giacché così ci ha pensato e voluto il Creatore: «Marchio e femmina li creò… a sua immagine li creò…» (Gen. 1,27).

Che dire poi della valorizzazione di quel genio femminile, di cui è stato promulgatore quel grande uomo e Papa, il Beato Giovanni Paolo II? Per tutta la sua vita ci ha comunicato con le parole e più ancora con la sua testimonianza come vivere il Vangelo oggi e cosa vuol dire essere persona, uomo e donna in rapporto con l’infinito.

Tra un mese la stessa città di Rimini vivrà un altro importante evento: “Il Festival Francescano”. Dal 28 al 30 settembre, la famiglia francescana vuole ricordare l’VIII centenario della consacrazione religiosa di Chiara d’Assisi. Si tratta di un avvenimento di particolare rilevanza soprattutto per il messaggio di grande attualità che vuole riproporre attraverso la vita e l’esempio di due giovani, Francesco e Chiara che, innamorati di Cristo, iniziano insieme a vivere l’avventura della radicalità evangelica.

Lo scopo è quello di riflettere e di raccontare il ruolo e l’apporto - decisivo e plurale - delle donne nella società, nell’economia, nella cultura, nelle professioni, nelle religioni, nella Chiesa. Il messaggio di Chiara e di Francesco è più che mai attuale e autentico, perché attraverso la loro testimonianza di vita, veramente radicale ed evangelica, rappresentano ancora un modello da proporre alla società e alla Chiesa, ma soprattutto ai giovani, per un vero rinnovamento della nostra società. Anche loro, dopo oltre otto secoli, continuano a dirci che “la natura dell’uomo e della donna è rapporto con l’infinito”.

Pubblicato il 30 agosto 2012 - Commenti (2)
13
ago

Estate: donne accanto a chi soffre

La copertina di "Io sono qui. Il mistero di una vita sospesa" (Mondadori, 2012) di Mariapia Bonanate.
La copertina di "Io sono qui. Il mistero di una vita sospesa" (Mondadori, 2012) di Mariapia Bonanate.

Durante il periodo estivo, quando tutti cercano di trascorrere alcuni giorni di riposo e vacanza, penso spesso alle tante persone, in maggioranza donne e madri di famiglia, pronte a sacrificare il loro tempo e il loro riposo per rimanere accanto a persone care anziane o ammalate, bisognose di cure o assistenza in ospedale o in famiglia.
Sono soprattutto le donne che vivono questa esperienza di presenza, amore e conforto, di donazione e sicurezza per alleviare il dolore, il disagio, la malattia o la solitudine di altre persone.

Mi ha fatto molto riflettere su queste situazioni di sofferenza e di amore la lettura del libro “Io sono qui”. Il mistero di una vita sospesa (Mondadori, 2012), scritto da Mariapia Bonanate, giornalista e scrittrice di Torino, con la quale abbiamo condiviso tante riflessioni e campagne per la dignità, bellezza e ricchezza che ogni donna porta in sé e che esprime in tanti modi.

In questo libro Mariapia racconta l’esperienza vissuta in prima persona di presenza accanto al marito infermo da oltre sei anni, colpito dalla sindrome Locked-in. Sotto le sembianze di un Cristo Velato, nell’immobilità assoluta della malattia, Mariapia percepisce così, in modo profondo e umanissimo, la presenza-assenza del marito. E in questo libro condivide lo smarrimento suo e di tutta la famiglia, ma fa emergere anche la consapevolezza che esiste un altro modo di stare accanto e di essere in relazione, come moglie e madre.

Nelle pagine e nei capitoli che scorrono ricchi di espressioni piene di amore e di sapienza evangelica, l’autrice coglie nel vivo ed esprime con efficacia il senso vero del silenzio che parla più di tante parole. Allora anche il vuoto diventa pienezza e la notte e il buio si fanno chiari come il giorno.

Questo è ciò che è accaduto e continua a vivere Mariapia da quando suo marito, il compagno di una vita, all'improvviso, è stato colpito da una malattia che lascia la persona cosciente, ma totalmente immobile, senza la possibilità di comunicare con chi gli è accanto, se non con il battito delle ciglia e spesso neppure con quello. Un genere di coma di cui si conosce molto poco.

Da quel momento niente è stato più come prima. Poi la decisione consapevole e difficile di portarlo a casa dall’ospedale e di accudirlo in famiglia. È così che “la stanza sulla piazza”, come ama definirla Mariapia, quella in cui lui vive, è diventata il cuore pulsante della casa, un luogo dell'anima dove ogni giorno accadono fatti straordinari. Quella stanza è ora un crocevia di destini e d'incontri, di arrivi e di partenze che insegnano a guardare le cose con occhi diversi, a percepire sensazioni mai provate prima. A scoprire verità nuove o dimenticate, significati importanti, talvolta perduti, in un rapporto intimo con le persone e le situazioni. Tutto diventa novità perché ogni momento è un dono di eternità.

È stato proprio in questa ricerca di senso e nella riscoperta di questo Cristo Velato che entra in scena la sorprendente e misteriosa empatia con Etty Hillesum, giovane donna scomparsa ad Auschwitz, che scrisse un indimenticabile Diario, riscoperto e valorizzato solo molti anni dopo la sua morte. Attraverso questa lettura e un dialogo ideale con Etty, l'autrice si sente sostenuta e incoraggiata nel suo viaggio interiore: le sue parole rivelano momenti di eternità, disegnano un filo luminoso, una comunione di vita e di grandi ideali, dove anche la sofferenza più intima e profonda trova un senso e il coraggio di continuare ad amare, a sperare e a lottare, nonostante tutto.

Io sono qui è la forza dell’amore che non conosce barriere o limiti. È il resoconto delle varie stazioni di un calvario che si è trasformato in un inno alla vita e che ha scoperto un linguaggio nuovo, quello dei sensi riportati all’integrità e alla sacralità delle origini. Non è solo un libro, un racconto, una testimonianza.
È la vita stessa che ha preso una forma inaspettata, più vera: una vita che si è trovata all’improvviso di fronte allo specchio dell’Altrove, dell’Invisibile e, dunque, del “miracolo”. Una vita che si è trasformata, rovesciata, lasciando l’essenza di una umanità ferita ma viva, che sanguina e si rimargina ogni giorno misteriosamente.

Tutto questo grazie alla forza dell’amore e della visione di quel Cristo Velato, che si fa ancora una volta compagno di viaggio sulle strade del mondo per dare un senso alla vita, alla malattia ed anche alla stessa morte, perché alla fine il velo verrà tolto e apparirà la bellezza e la ricchezza dell’amore che oltrepassa malattia e morte per una vita nuova piena di luce e di grazia.
Mariapia e tutte le donne, che vivono in questo momento il mistero della sofferenza accanto a persone care da accudire e amare con tenerezza di madre, sono un esempio illuminante per la nostra società del benessere e del consumo, che troppo spesso dimentica il valore della dignità della persona e il senso vero e umano del prendersi cura di chi è più debole e bisognoso di attenzione e di amore più che delle stesse terapie mediche.

Pubblicato il 13 agosto 2012 - Commenti (0)
02
ago

La prostituzione non è un mestiere

Durante il programma televisivo “Cominciamo bene” di Rai3, andato in onda giovedì 26 luglio e condotto da Giovanni Anversa e Arianna Ciampoli, è stato trattato un argomento assai controverso che ogni tanto torna alla ribalta: “Legalizzazione e tassazione della prostituzione”. Prendevano parte alla discussione Antonio Morina, Tributarista, l’on. Carolina Lussana, deputata della Lega, Bia Sarasini, scrittrice e giornalista e Pia Covre del movimento per i diritti civili delle prostitute.

La trasmissione è iniziata con la presentazione di alcune cifre, frutto di una delle ultime inchieste che ha messo ancora una volta in evidenza un dato impressionante: oggi in Italia ci sono circa settanta mila prostitute e circa nove milioni di clienti al mese, per un giro d’affari mensili di novanta milioni di euro. Un “business” che potrebbe fruttare allo Stato 260 milioni di entrate in tasse all’anno.

Durante la trasmissione si è discusso della prostituzione - ossia della vendita del corpo di una persona - come se si trattasse di un qualsiasi lavoro autonomo, quindi soggetto alle leggi di mercato. Di conseguenza, si sosteneva la necessità di un pagamento delle tasse come avviene per tutti i lavoratori autonomi.

Il dibattito si è svolto con serietà, ma anche con diversità di approcci e di vedute. Ancora una volta era predominante il bisogno e la richiesta di una normativa per colmare il vuoto legislativo lasciato dalla legge Merlin del 1958, quando, dopo dieci anni di discussione, è stata decisa la chiusura delle case di tolleranza in cui le donne erano schedate come meretrici.

Si è messo, inoltre, in evidenza - e con forza - il fatto che molta gente, di fronte a quello che continua a essere chiamato “il mestiere più vecchio del mondo”, sostenga con molta superficialità che il problema potrebbe essere regolamentato e risolto con una legislazione appropriata, a tutela di quante scelgono questa forma di “lavoro”, con tutti i diritti e doveri previsti per qualsiasi altra professione. La prostituzione, intesa come vendita del proprio corpo in piena libertà di scelta, entrerebbe quindi a far parte della categoria di lavoro autonomo, con relative tutele sindacali e contribuzione fiscale.

Di fronte a queste considerazioni, sento il bisogno di condividere alcune riflessioni, basate sulla mia ventennale esperienza di lavoro e di lotta contro la tratta di esseri umani, specialmente donne e minori per lo sfruttamento sessuale. Un fenomeno che sta distruggendo non solo una generazione di giovani donne immigrate provenienti da Paesi poveri, ma che sta anche logorando il nostro tessuto sociale con risvolti assai deleteri sui nostri giovani e ancor più sulle nostre famiglie.

Cosa dire ad esempio dell’enorme numero di richieste di sesso a pagamento in un Paese cosiddetto civile come l’Italia, dove il 70 per cento dei clienti sono persone sposate o conviventi? E si può davvero parlare di 70 mila donne che hanno scelto liberamente e volontariamente di fare la prostituta? Siamo proprio sicuri che queste donne considerino il loro esser lì sulle nostre strade, negli appartamenti o nei locali come un lavoro autonomo alla stregua di qualsiasi altra libera professione?

Sappiamo bene, invece, che oltre l’80 per cento di queste donne sono immigrate e sono state trafficate, comprate e vendute da trafficanti che gestiscono un “business” internazionale miliardario. Un “business” che frutta alla criminalità organizzata (anche di casa nostra) enormi guadagni. Le giovani immigrate, coinvolte nella prostituzione, sono spesso partite dai loro Paesi, lasciando situazioni di grande povertà, con la speranza di poter lavorare nel nostro ricco Occidente per migliorare le proprie condizioni di vita e aiutare le loro famiglie. Molte si sono ritrovate invischiate nelle maglie di trafficanti senza scrupoli, che usano queste donne come merci, con la “complicità” dei clienti che con la loro richiesta di sesso a pagamento sostengono e alimentano questi ignobili traffici.
 
Queste donne non hanno certamente scelto di fare la prostituta, ma sono state costrette con l’inganno e con la coercizione - psicologica oltre che fisica - a vivere nella clandestinità, nella paura e nell’ignoranza dei loro diritti e doveri in un Paese straniero. Perché allora non pensare, prima di tutto, a rompere gli anelli di questa terribile catena di schiavitù che sfrutta e opprime migliaia di donne? Sono loro le nuove schiave del XXI secolo. Vittime di un sistema che toglie alla persona libertà e dignità.

Purtroppo questa catena di schiavitù è formata da tanti anelli: le vittime, con la loro povertà e mancanza di scelta; gli sfruttatori con i loro ingenti guadagni; i clienti con le loro frustrazioni e richieste; la nostra società con la sua carenza di valori, di etica morale, civile e familiare; il consumismo sfrenato, che pretende che tutto si possa vendere e comprare, compreso il corpo di una donna e ancor più di una minorenne; i governi con i loro sistemi di corruzione e di connivenze; ma noi, come singoli cittadini con il nostro silenzio e la nostra indifferenza.

Purtroppo oggi il bene comune viene confuso con la libertà indiscriminata di scelta, di opinioni, di interessi personali. Forse abbiamo dimenticato che l’etica morale si fonda sul rispetto e la dignità della persona, che vive nella società, in sintonia con elementi culturali e tradizionali che rappresentano il bagaglio di un Paese civile, rispettoso di valori veri e duraturi.

Le conseguenze di questo “libertinaggio” non sono affatto da sottovalutare, perché creano una grande povertà di valori e di relazioni. Quante infedeltà matrimoniali, quante rotture di impegni e promesse, quante famiglie sfasciate! E le conseguenze più disastrose spesso le pagano i figli.

Quale esempio e quale formazione alla responsabilità e al rispetto della propria e altrui dignità stiamo offrendo ai nostri giovani? Quali saranno le conseguenze psicologiche sulla vita di tanti adolescenti che sono spinti a giustificare tutto in nome della libertà personale? Non ci accorgiamo che stiamo pericolosamente abbassando il nostro stesso livello valoriale e culturale e che proponiamo sempre più modelli non finalizzati alla costruzione del bene comune, ma semplicemente al perseguimento dell’interesse personale di ciascuno?

Anche il lavoro dovrebbe essere considerato per il contributo positivo che può offrire per il bene della persona e della società. Ogni lavoro, per umile e semplice che sia, dovrebbe nobilitare la persona, aiutarla a offrire il suo contributo di intelligenza, capacità e competenza alla costruzione di un mondo migliore. Com’è possibile considerare la prostituzione come lavoro dignitoso e onesto? Perché le nostre donne che incontriamo sulle strade o accogliamo nelle nostre case-famiglia provano tanta vergogna a raccontare le loro storie di sopruso e umiliazione? Perché una volta che hanno lasciato questo losco mercato vogliono solo dimenticare questo capitolo della loro vita?

Durante una recente conferenza in Canada, mi è stato dato di ascoltare la testimonianza di una donna che ha esercitato la prostituzione per oltre vent’anni come mezzo di sostentamento per lei e per i suoi figli. Dopo aver condiviso la sua triste esperienza, seguita da un profondo silenzio da parte dell’assemblea presente, ha aggiunto: “Nessuno osi dire che le prostitute lo fanno perché lo vogliono e lo scelgono. Io non l’avrei mai fatto se avessi avuto altre opportunità o se avessi incontrato una persona disponibile ad aiutarmi a trovare un altro lavoro”.

Termino queste riflessioni ribadendo ancora una volta con forza che legalizzare la prostituzione e riconoscerla come lavoro autonomo può diventare sinonimo della legalizzazione della stessa tratta di esseri umani, la nuova schiavitù del ventunesimo secolo conclamata e vissuta da tante donne

Pubblicato il 02 agosto 2012 - Commenti (4)

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Autore del blog

Noi donne oggi

Suor Eugenia Bonetti

Missionaria della Consolata, è stata per 24 anni in Kenya. Al ritorno comincia a lavorare in un Centro d’ascolto e accoglienza della Caritas di Torino, con donne immigrate, molte delle quali nigeriane, vittime di tratta. Dal 2000 è responsabile dell’Ufficio tratta dell’Unione superiori maggiori italiane (Usmi). Coordina una rete di 250 suore di 70 diverse congregazioni, che operano in più di cento case di accoglienza. Il presidente Ciampi l’ha nominata nel 2004 Commendatore della Repubblica italiana.
Ha scritto con Anna Pozzi il libro "Schiave" (Edizioni San Paolo).

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