01
ott

Schiave d'Europa

Il commissario europeo Cecilia Malmström, incaricata degli Affari interni, ha reso noto un rapporto sul traffico degli esseri umani specialmente per lo sfruttamento sessuale che ci conferma, una volta di più, l’enormità di questo dramma e l’urgenza di intervenire. «Il traffico degli esseri umani è la schiavitù dei nostri tempi - ha denunciato la commissaria Ue -: soprattutto il traffico delle donne sfruttate per il commercio del sesso. Romania e Bulgaria sono i Paesi più colpiti. I dati sono in aumento. Le cause? Certamente la crisi economica ha reso queste stesse vittime ancora più deboli. E noi avremmo dovuto fare molto di più nel passato, per aiutarle».

Il rapporto precisa che tre quarti delle vittime di traffico di esseri umani sono oggetto di sfruttamento sessuale; le donne sono il 79 per cento del totale, e il 12 per cento di queste sono ragazze minorenni, 2 su 10 sono maschi.
È vero, molto è stato fatto ma la legislazione non basta se non si crea una cultura del rispetto e del vero valore della dignità di ogni persona. In Italia, ad esempio, abbiamo una delle migliori legislazioni europee per la protezione e la reintegrazione sociale delle vittime di sfruttamento e riduzione in schiavitù alle quali viene pure dato un permesso di soggiorno per motivi sociali o umanitari. (art. 18 del T.U sull’immigrazione del 1998).

Da allora oltre 6.000 vittime di tratta hanno usufruito di questa legislazione e sono state aiutate a reintegrarsi nel nostro tessuto sociale. Oggi però, sempre di più, facciamo fatica a far applicare questa legge agli stessi enti preposti, anche quando le vittime sporgono denuncia. Molte di queste giovani sfruttate devono attendere parecchi mesi e a volte anni prima di ottenere i dovuti documenti e prima di poter riprendere in mano la propria vita e il proprio futuro in modo dignitoso. Le nostre istituzioni e case di accoglienza si sono molto rallegrate lo scorso anno quando l’Unione europea ha emanato una nuova normativa per le persone vittime di tratta, approvata nel febbraio del 2011. Questo nuovo testo, che fissa i principi generali sulla prevenzione del fenomeno della tratta e sulla protezione delle vittime, dovrebbe entrare in vigore nell’aprile 2013. Questo potrebbe favorire una maggior cooperazione tra gli Stati europei in particolr per il contrasto della criminalità organizzata.

Purtroppo, come sovente abbiamo costatato e denunciato, dopo tanti anni di impegno da parte di enti pubblici e privati, nonché di organizzazioni di volontariato, Caritas e congregazioni religiose, soprattutto femminili, il problema non tende a diminuire, anzi. Il meccanismo di questa nuova e moderna schiavitù, particolarmente di donne e minori, cambia strategie e modalità di reclutamento, trasporto e gestione pur di sostenere un grande “business” fatto di interessi e corruzione e di assicurare al tempo stesso la richiesta di sesso a pagamento.

Ciò che ci preoccupa maggiormente in questo momento sono i dati che riguardano soprattutto le minorenni, menzionati dal commissario perché le cifre potrebbero essere notevolmente in difetto. Lo scorso 19 settembre l’Italia ha finalmente ratificato la Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, con la condanna categorica della pedofilia e pedopornografia. Ci sono voluti tre anni perché il Senato desse il via libera definitivo al provvedimento contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale sui bambini. Entra così nel codice penale la parola “pedofilia” per cui è prevista la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni per chi si macchia di questo orribile reato. Ciononostante, la realtà di sfruttamento che incontriamo ogni giorno sulle nostre strade, nei night club e negli appartamenti continua a essere molto triste e allarmante.

Ci auguriamo che la nuova normativa approvata nelle scorse settimane dal governo italiano sullo sfruttamento sessuale dei minori trovi piena applicazione, senza scuse e senza remore, e che includa anche il fenomeno del “turismo sessuale”, che riguarda tre milioni di persone in tutto il mondo, molte delle quali dei veri e propri pedofili. Questo mercato molto proficuo non conosce crisi e vede gli italiani in prima fila. Li chiamano travelling sex offender, viaggiano in cerca di esperienze sessuali, soprattutto con minori.

Le risposte date dai diversi Paesi dell’UE si differenziano a secondo delle situazioni economiche sociali e culturali, mentre tutti i Paesi sono d’accordo sul fatto che si debba agire subito per trovare soluzioni adeguate. La Commissaria ha lanciato una consultazione tra i vari Stati per integrare efficacemente la direttiva europea già approvata. A tutti viene chiesto di fare molto di più dando maggior attenzione a cinque punti prioritari per una vera strategia quinquennale e globale: prevenzione del traffico; punizione sicura dei responsabili; identificazione e protezione delle vittime; coordinamento interstatale, anche con Paesi fuori dalla Ue; aumento dell’informazione sul fenomeno.

Io sento il bisogno di aggiungere un altro punto, forse il più strategico di cui molto raramente si parla: il contrasto della richiesta di sesso a pagamento da parte del nostro mondo maschile e maschilista, che non vuole mai mettersi in discussione. È proprio la richiesta costante e per molti versi in crescita, che alimenta la catena di queste nuove schiave. Fino a quando ci sarà la richiesta i trafficanti troveranno i modi per importare e tenere imprigionate migliaia di giovani donne che sognano una vita migliore per loro e i loro cari e si trovano letteralmente a vivere l’inferno.

Pubblicato il 01 ottobre 2012 - Commenti (1)
02
ago

La prostituzione non è un mestiere

Durante il programma televisivo “Cominciamo bene” di Rai3, andato in onda giovedì 26 luglio e condotto da Giovanni Anversa e Arianna Ciampoli, è stato trattato un argomento assai controverso che ogni tanto torna alla ribalta: “Legalizzazione e tassazione della prostituzione”. Prendevano parte alla discussione Antonio Morina, Tributarista, l’on. Carolina Lussana, deputata della Lega, Bia Sarasini, scrittrice e giornalista e Pia Covre del movimento per i diritti civili delle prostitute.

La trasmissione è iniziata con la presentazione di alcune cifre, frutto di una delle ultime inchieste che ha messo ancora una volta in evidenza un dato impressionante: oggi in Italia ci sono circa settanta mila prostitute e circa nove milioni di clienti al mese, per un giro d’affari mensili di novanta milioni di euro. Un “business” che potrebbe fruttare allo Stato 260 milioni di entrate in tasse all’anno.

Durante la trasmissione si è discusso della prostituzione - ossia della vendita del corpo di una persona - come se si trattasse di un qualsiasi lavoro autonomo, quindi soggetto alle leggi di mercato. Di conseguenza, si sosteneva la necessità di un pagamento delle tasse come avviene per tutti i lavoratori autonomi.

Il dibattito si è svolto con serietà, ma anche con diversità di approcci e di vedute. Ancora una volta era predominante il bisogno e la richiesta di una normativa per colmare il vuoto legislativo lasciato dalla legge Merlin del 1958, quando, dopo dieci anni di discussione, è stata decisa la chiusura delle case di tolleranza in cui le donne erano schedate come meretrici.

Si è messo, inoltre, in evidenza - e con forza - il fatto che molta gente, di fronte a quello che continua a essere chiamato “il mestiere più vecchio del mondo”, sostenga con molta superficialità che il problema potrebbe essere regolamentato e risolto con una legislazione appropriata, a tutela di quante scelgono questa forma di “lavoro”, con tutti i diritti e doveri previsti per qualsiasi altra professione. La prostituzione, intesa come vendita del proprio corpo in piena libertà di scelta, entrerebbe quindi a far parte della categoria di lavoro autonomo, con relative tutele sindacali e contribuzione fiscale.

Di fronte a queste considerazioni, sento il bisogno di condividere alcune riflessioni, basate sulla mia ventennale esperienza di lavoro e di lotta contro la tratta di esseri umani, specialmente donne e minori per lo sfruttamento sessuale. Un fenomeno che sta distruggendo non solo una generazione di giovani donne immigrate provenienti da Paesi poveri, ma che sta anche logorando il nostro tessuto sociale con risvolti assai deleteri sui nostri giovani e ancor più sulle nostre famiglie.

Cosa dire ad esempio dell’enorme numero di richieste di sesso a pagamento in un Paese cosiddetto civile come l’Italia, dove il 70 per cento dei clienti sono persone sposate o conviventi? E si può davvero parlare di 70 mila donne che hanno scelto liberamente e volontariamente di fare la prostituta? Siamo proprio sicuri che queste donne considerino il loro esser lì sulle nostre strade, negli appartamenti o nei locali come un lavoro autonomo alla stregua di qualsiasi altra libera professione?

Sappiamo bene, invece, che oltre l’80 per cento di queste donne sono immigrate e sono state trafficate, comprate e vendute da trafficanti che gestiscono un “business” internazionale miliardario. Un “business” che frutta alla criminalità organizzata (anche di casa nostra) enormi guadagni. Le giovani immigrate, coinvolte nella prostituzione, sono spesso partite dai loro Paesi, lasciando situazioni di grande povertà, con la speranza di poter lavorare nel nostro ricco Occidente per migliorare le proprie condizioni di vita e aiutare le loro famiglie. Molte si sono ritrovate invischiate nelle maglie di trafficanti senza scrupoli, che usano queste donne come merci, con la “complicità” dei clienti che con la loro richiesta di sesso a pagamento sostengono e alimentano questi ignobili traffici.
 
Queste donne non hanno certamente scelto di fare la prostituta, ma sono state costrette con l’inganno e con la coercizione - psicologica oltre che fisica - a vivere nella clandestinità, nella paura e nell’ignoranza dei loro diritti e doveri in un Paese straniero. Perché allora non pensare, prima di tutto, a rompere gli anelli di questa terribile catena di schiavitù che sfrutta e opprime migliaia di donne? Sono loro le nuove schiave del XXI secolo. Vittime di un sistema che toglie alla persona libertà e dignità.

Purtroppo questa catena di schiavitù è formata da tanti anelli: le vittime, con la loro povertà e mancanza di scelta; gli sfruttatori con i loro ingenti guadagni; i clienti con le loro frustrazioni e richieste; la nostra società con la sua carenza di valori, di etica morale, civile e familiare; il consumismo sfrenato, che pretende che tutto si possa vendere e comprare, compreso il corpo di una donna e ancor più di una minorenne; i governi con i loro sistemi di corruzione e di connivenze; ma noi, come singoli cittadini con il nostro silenzio e la nostra indifferenza.

Purtroppo oggi il bene comune viene confuso con la libertà indiscriminata di scelta, di opinioni, di interessi personali. Forse abbiamo dimenticato che l’etica morale si fonda sul rispetto e la dignità della persona, che vive nella società, in sintonia con elementi culturali e tradizionali che rappresentano il bagaglio di un Paese civile, rispettoso di valori veri e duraturi.

Le conseguenze di questo “libertinaggio” non sono affatto da sottovalutare, perché creano una grande povertà di valori e di relazioni. Quante infedeltà matrimoniali, quante rotture di impegni e promesse, quante famiglie sfasciate! E le conseguenze più disastrose spesso le pagano i figli.

Quale esempio e quale formazione alla responsabilità e al rispetto della propria e altrui dignità stiamo offrendo ai nostri giovani? Quali saranno le conseguenze psicologiche sulla vita di tanti adolescenti che sono spinti a giustificare tutto in nome della libertà personale? Non ci accorgiamo che stiamo pericolosamente abbassando il nostro stesso livello valoriale e culturale e che proponiamo sempre più modelli non finalizzati alla costruzione del bene comune, ma semplicemente al perseguimento dell’interesse personale di ciascuno?

Anche il lavoro dovrebbe essere considerato per il contributo positivo che può offrire per il bene della persona e della società. Ogni lavoro, per umile e semplice che sia, dovrebbe nobilitare la persona, aiutarla a offrire il suo contributo di intelligenza, capacità e competenza alla costruzione di un mondo migliore. Com’è possibile considerare la prostituzione come lavoro dignitoso e onesto? Perché le nostre donne che incontriamo sulle strade o accogliamo nelle nostre case-famiglia provano tanta vergogna a raccontare le loro storie di sopruso e umiliazione? Perché una volta che hanno lasciato questo losco mercato vogliono solo dimenticare questo capitolo della loro vita?

Durante una recente conferenza in Canada, mi è stato dato di ascoltare la testimonianza di una donna che ha esercitato la prostituzione per oltre vent’anni come mezzo di sostentamento per lei e per i suoi figli. Dopo aver condiviso la sua triste esperienza, seguita da un profondo silenzio da parte dell’assemblea presente, ha aggiunto: “Nessuno osi dire che le prostitute lo fanno perché lo vogliono e lo scelgono. Io non l’avrei mai fatto se avessi avuto altre opportunità o se avessi incontrato una persona disponibile ad aiutarmi a trovare un altro lavoro”.

Termino queste riflessioni ribadendo ancora una volta con forza che legalizzare la prostituzione e riconoscerla come lavoro autonomo può diventare sinonimo della legalizzazione della stessa tratta di esseri umani, la nuova schiavitù del ventunesimo secolo conclamata e vissuta da tante donne

Pubblicato il 02 agosto 2012 - Commenti (4)
24
lug

Bestie

Recentemente due suore nigeriane sono venute in Italia a un seminario internazionale per religiose provenienti da diversi Paesi del mondo per rafforzare la rete di Talitha Kum. Insieme, si è cercato di trovare strategie comuni per incidere sui Paesi di origine, transito e destinazione di migliaia di giovani donne, vittime di organizzazioni criminali internazionali che le trafficano e le costringono alla prostituzione.

Dalle diverse esperienze è emerso prima di tutto il grande problema della povertà endemica in tanti Paesi d’origine che facilita il compito dei trafficanti di esseri umani, che usano varie strategie - tra cui i riti voodoo - per “adescare” e soggiogare le loro prede.

Ma i trafficanti sono presenti pure nei Paesi di transito per monitorare il passaggio delle vittime e non rischiare di perdere il loro “investimento”. Ogni donna vittima di tratta, costretta a prostituirsi in Europa, frutta dai 60 agli 80 mila euro.


Nei Paesi di destinazione, invece, i trafficanti sono ancora in azione per pianificare l’offerta e rispondere alla domanda di milioni di uomini, in cerca di sesso a pagamento. Purtroppo la crisi economica non incide su questo mercato.

Una delle due religiose nigeriane venute in Italia è stata diverse sere sulle nostre strade per incontrare le ragazze e rendersi conto della loro triste situazione. Incontrando un giornalista durante una conferenza stampa, che le chiedeva che cosa l’aveva colpita di più durante quegli incontri notturni sulla strada, diede una risposta agghiacciante: «Ho notato che voi italiani siete molto amanti degli animali e li trattate molto bene», disse con molta convinzione e pacatezza. «Come avrei voluto vedere le nostre ragazze trattate almeno come animali».

Quanto mi ha colpita quella risposta e quanto mi ha fatto riflettere quella drammatica a verità. Proprio in questi giorni, leggendo le polemiche legate a un allevamento di animali destinati presumibilmente alla vivisezione, mi sono tornate in mente le parole di quella religiosa. E ho pensato che, come è giusto indignarsi per l’atroce fine che fanno quegli animali, allo stesso modo dovremmo alzare il nostro grido di denuncia e di indignazione per il trattamento bestiale che viene riservato a molte giovani immigrate, che subiscono ogni giorno le peggiori violenze sulle strade del nostro Paese.

Pubblicato il 24 luglio 2012 - Commenti (1)

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Autore del blog

Noi donne oggi

Suor Eugenia Bonetti

Missionaria della Consolata, è stata per 24 anni in Kenya. Al ritorno comincia a lavorare in un Centro d’ascolto e accoglienza della Caritas di Torino, con donne immigrate, molte delle quali nigeriane, vittime di tratta. Dal 2000 è responsabile dell’Ufficio tratta dell’Unione superiori maggiori italiane (Usmi). Coordina una rete di 250 suore di 70 diverse congregazioni, che operano in più di cento case di accoglienza. Il presidente Ciampi l’ha nominata nel 2004 Commendatore della Repubblica italiana.
Ha scritto con Anna Pozzi il libro "Schiave" (Edizioni San Paolo).

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