In queste settimane di convalescenza, a seguito di un difficile intervento alla schiena, ho potuto seguire solo per radio i primi passi del Pontificato di Francesco I. Tra le tante parole e gesti carichi di significato, non ho potuto non commuovermi per quell’appello lanciato proprio il giorno di Pasqua, quando il Pontefice ha augurato «il dono della Pace in un mondo ancora così diviso dall’avidità di chi cerca facili guadagni, ferito dall’egoismo che minaccia la vita umana e la famiglia, egoismo che continua la tratta di persone, la schiavitù più estesa in questo ventunesimo secolo; la tratta delle persone è proprio la schiavitù più estesa in questo ventunesimo secolo!».
Parole ripetute per ben due volte e pronunciate con tanta forza. Quanto abbiamo apprezzato questa sua attenzione e questo riferimento alla tratta di esseri umani, contro cui lottiamo da tanti anni, cercando di dare protezione alle vittime e di sensibilizzare l’opinione pubblica perché questo vergognoso traffico possa essere debellato.
Ora questo Papa, in uno dei suoi primi messaggi, parla proprio di quest’indegna schiavitù. Non solo, in una delle prime catechesi del mercoledì, Papa Francesco ha fatto emergere, con tanta delicatezza ma anche con forza, la presenza, il ruolo e il coraggio delle donne, che per prime vanno alla tomba vuota dove incontrano il Cristo risorto, credono in lui e vanno ad annunciare agli stessi apostoli che il Cristo era vivo.
E nessuno può negare queste attenzioni del Cristo per le donne, discepole e prime testimoni del Risorto.
Questo ci dà molto coraggio per il nostro impegno e la nostra testimonianza. E anche per il nostro sogno di una Chiesa che si metta in questione e che si rinnovi, cercando vie nuove per incontrare ogni persona creata e amata da Dio, a cui offrire il dono di una parola, di una vicinanza, di un conforto perché nessuno si senta solo, escluso o smarrito, ma parte di un grande famiglia.
La Chiesa che sogno da tempo è una Chiesa concepita come comunità di servizio, i cui pastori abbiano il coraggio di indossare il “grembiule della ferialità” e non solo i paramenti liturgici delle solennità, come simbolo di una autorità che serve, che ascolta, che partecipa, che cerca e accoglie soprattutto gli ultimi e gli esclusi, gli emarginati e i disperati, che condivide gioie e speranze, ma anche sofferenza e solitudine.
Ecco allora Papa Francesco che il giovedì santo, giorno dell’istituzione dell’Eucaristia, lascia la solennità delle cerimonie in San Pietro per recarsi nel carcere minorile di Roma per mettersi un grembiule, inginocchiarsi davanti a dodici giovani con un passato difficile, per lavare e baciare i loro piedi, tra cui due ragazzine, ospiti della struttura.
In queste prime settimane di Pontificato il sogno una Chiesa che si fa pellegrina sulle strade del mondo per incontrare, come Cristo, i poveri di oggi e annunciare che il Regno di Dio appartiene proprio a loro, si è davvero incarnata e ha iniziato un nuovo cammino. Speriamo che possa dare i suoi frutti di cambiamento, mettendo al centro l’esperienza del Risorto, che ancora cammina sulle nostre strade, compagno di viaggio di ogni persona, uomini e donne salvati dall’amore e dalla misericordia di Dio.
«Come vorrei una chiesa povera e per i poveri!», ha auspicato, in una delle sue prime uscite Papa Francesco. Frase che ha rivelato, sin dall’inizio del suo pontificato, un programma e uno stile fatto non solo di parole ma soprattutto di gesti, concreti e quotidiani. Ci stiamo così abituando a un linguaggio nuovo, semplice, concreto e diretto, capace di arrivare al cuore di ogni persona. Papa Francesco, con la sua semplicità, ha ricordato a tutta la Chiesa la necessità di riscoprire la bellezza, l’attualità e la fedeltà al Vangelo, che ci chiama ad essere, anche noi, testimoni del Cristo Risorto. Con forza ha incoraggiato tutti, pastori e fedeli, a uscire dalle nostre sicurezze per andare verso le “periferie” e i “deserti” delle nostre città, per incontrare i poveri, gli emarginati, i sofferenti, i giovani, i bisognosi di speranza e di coraggio. A quest’ultimi il Papa ha più volte ripetuto: «Non lasciatevi rubare la speranza».
Un appello che è arrivato al cuore del mondo intero, così bisognoso di speranza, di gioia e di solidarietà, specialmente per chi è discriminato, umiliato e derubato persino della propria dignità.
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16 aprile 2013 - Commenti
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