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mag
Papa Francesco, nel suo
primo messaggio in occasione della Pasqua, con forza, per ben due volte, aveva
sottolineato: l’egoismo che continua la
tratta delle persone è la schiavitù più estesa in questo ventunesimo secolo!
Le sue parole avevano dato forza e coraggio a quanti quotidianamente operano per
bloccare questa forma di schiavitù.
Un secondo appello, il Papa lo aveva lanciato
il primo Maggio quando, rivolgendosi ai lavoratori, oltre ad affermare che il
lavoro non deve schiavizzare, ma dare dignità alla persona, aggiungeva: Chiedo ai
fratelli e sorelle nella fede e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà
una decisa scelta contro la
tratta delle persone. Il Papa si
rivolgeva, in modo particolare, ai fratelli
e sorelle nella fede, senza però escludere altre persone e organismi perché
combattano questa schiavitù spezzando tutti gli anelli delle loro catene. Ma
queste “catene” si spezzeranno solo se sapremo lavorare insieme: istituzioni
governative e religiose, enti locali e volontariato.
I trafficanti di esseri umani sono organizzatissimi per
non perdere la loro preda e i loro ingenti guadagni e noi, che operiamo in
questo settore, dovremo esserlo altrettanto organizzati e motivati lavorando in
comunione e non in competizione. In Italia, nell’anno del Grande Giubileo le
Religiose hanno iniziato a intessere una rete, ora formata da 250 Religiose di
diverse Congregazioni, che operano sulle strade, nei centri ascolto, nei CIE
(Centri di identificazione ed espulsione), ma soprattutto in un centinaio di
case famiglia per il recupero di giovani donne vittime della tratta e dello
sfruttamento, specie sessuale. Si è anche iniziata la collaborazione tra
Religiose e istituzioni governative e non, nei paesi di origine, di transito e di
destinazione delle giovani vittime. La rete è la nostra forza e il canale
adeguato per arginare questo fenomeno e per spezzare questa terribile catena di
schiavitù. In questa catena si intersecano molteplici anelli che hanno
nomi ben precisi: le vittime e la povertà; gli sfruttatori
e i loro ingenti guadagni, i clienti
con le loro frustrazioni; la società con
la sua opulenza e carenza di valori, i governi
con i loro sistemi di corruzione e di connivenze, la Chiesa e ogni
cristiano, con il silenzio e l’indifferenza.
Ieri, 24
Maggio, durante l’udienza concessa ai partecipanti alla plenaria del Pontificio
Consiglio per la Pastorale dei Migranti, dedicata alle “persone forzatamente sradicate”, il Papa, con il suo linguaggio
semplice, schietto, coraggioso e senza mezzi termini, ancora una volta, ci ha
spiazzato. Dopo aver richiamato l’attenzione sui milioni di rifugiati, sfollati
e apolidi, ha toccato la piaga dei “traffici
di esseri umani”, che sempre più spesso riguardano i bambini sfruttati e
reclutati anche nei conflitti armati; ha poi proseguito denunciando la tratta
di esseri umani mettendo “sfruttatori e
clienti” sullo stesso piano, giacché entrambi alimentato e sostengono la
schiavitù del nostro secolo. Ribadisco
che la “tratta delle persone” è un’attività
ignobile, una vergogna per le nostre società che si dicono civilizzate! Sfruttatori e clienti a tutti i livelli
dovrebbero fare un serio esame di coscienza davanti a se stessi e davanti a Dio.
Siamo tutti responsabili del
perpetuarsi della tratta di esseri umani specie per la compravendita e l’uso del
corpo della donna. Siamo convinti che non bastano le leggi, se pur
indispensabili, a fermare i flussi migratori, se la nostra società, insieme
alla Chiesa, non lavora seriamente per formare soprattutto i giovani alla cultura
del rispetto e della dignità di ogni persona. La violenza che nel nostro Paese
si sta scatenando, specie nei riguardi del mondo femminile, deve interrogarci
sul disagio che lacera la società. È venuto il momento, in cui ciascuno deve
fare la sua parte e assumersi le proprie responsabilità: autorità civili e
religiose, agenzie d’informazione e formazione, scuole, parrocchie, gruppi
giovanili e in modo particolare le famiglie. È necessario coinvolgere anche il
mondo maschile e maschilista, religiosi compresi, che non si mette in
discussione, perché aiuti, almeno i propri fedeli, a fare
un serio esame di coscienza davanti a se stessi e davanti a Dio.
Termino, ancora una
volta, con le chiare e sapienti parole di Papa Francesco, affinché illuminino
il cammino degli uomini e delle donne di buona volontà del nostro tempo: “La Chiesa rinnova oggi il suo forte appello affinché siano sempre
tutelate la dignità e la centralità di ogni persona, nel rispetto dei diritti
fondamentali. In un mondo in cui si parla molto di diritti, quante volte viene
di fatto calpestata la dignità umana! In un mondo nel quale si parla tanto dei
diritti, sembra che l’unico che ha diritti sia il denaro”.
Pubblicato il
27 maggio 2013 - Commenti
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03
mag
Nella squadra del nuovo governo guidato da Enrico Letta, abbiamo accolto con gioia e soddisfazione la nomina di sette donne scelte per coprire dicasteri di particolare rilevanza. Ci auguriamo che sappiano mettere a servizio del Paese le loro doti e capacità di donne aperte al nuovo e al diverso. La loro presenza, competenza e sensibilità di donne impegnate nel sociale faranno certamente la differenza, in un Paese che ha tanto bisogno di speranza.
Ora è il momento di voltare davvero pagina, una pagina triste e vergognosa, giacché abbiamo tutti perso in credibilità e fiducia. C’e’ quindi bisogno di lasciare da parte dispute e polemiche, divergenze e differenze per far emergere non tanto gli interessi di parte o di partito, bensì ciò che tutti auspicano come il “vero bene comune”, per creare una società più unita e coesa. Ci auguriamo che la presenza e le capacità di queste donne, nei loro diversi ruoli, possa smussare le tensioni e i conflitto, e possa aiutare a creare un governo più equo, umano e aperto alle esigenze di un mondo in costante evoluzione, bisognoso di stabilità e di comunione.
Tra i volti e i nomi nuovi al governo vi è l’olimpionica Josefa Idem, ministro per le Pari opportunità e lo Sport e Cécile Kyenge, ministro all’Integrazione, entrambe nate fuori dall’Italia. Entrambe hanno alle spalle esperienze diverse come origine, provenienza, impegno e ruoli ricoperti; sono però accomunate dall’esperienza della migrazione, con le sue ricchezze e opportunità, ma anche con le difficoltà e i pregiudizi che ancora persistono nella nostra società.
I missionari come me, che hanno vissuto e lavorato in altri Paesi, conoscono molto bene queste esigenze e difficoltà insieme alla ricchezza dello scambio, dell’accoglienza, della scoperta di valori umani fatti di relazione e di comunione, di accoglienza e di rispetto.
Ecco perché la scelta di Cécile Kyenge quale nuovo ministro dell'Integrazione ci ha favorevolmente sorpreso, per le sue scelte e i suoi principi, nonché per il desiderio di lavorare per un vero cambio di mentalità, tenendo presente la situazione che l’Italia sta vivendo in questo momento.
Gli immigrati, oggi, in un Paese che sta invecchiando rapidamente, non sono da considerarsi un peso e tanto meno un problema, bensì sono una grande risorsa da apprezzare e valorizzare. A questo proposito, Cécile Kyenge ha le idee chiare e afferma che: «La società civile in questo momento chiede a gran voce una nuova legge sulla cittadinanza e sulle politiche sociali, sul superamento dei Cie per ricondurre i centri al trattenimento limitato e temporaneo, con lo scopo di identificare lo straniero, nonché l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina».
Il nuovo ministro dell’Integrazione ritiene necessario ripensare anche le modalità di ingresso in Italia per lavoro affinché gli immigrati siano più stabili, meno ricattabili e soggetti a varie forme di sfruttamento lavorativo. Tutto questo in piena sintonia con quanto ha affermato Papa Francesco il Primo maggio: «Quante persone, in tutto il mondo - ha detto il Pontefice - sono vittime di questo tipo di schiavitù, in cui è la persona che serve il lavoro, mentre deve essere il lavoro a offrire un servizio alle persone perché abbiano dignità. Chiedo ai fratelli e sorelle nella fede e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà una decisa scelta contro la tratta delle persone, all’interno della quale figura il lavoro schiavo».
Pubblicato il
03 maggio 2013 - Commenti
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