17 gen
Spezzare le catene. Quante volte lo ripetuto! Spezzare le catene che tengono schiave tante immigrate, trafficate e sfruttate, ma anche tante donne italiane, impegnate a lottare per riappropriarsi del proprio ruolo e della propria dignità e femminilità. Spezzare le catene di modelli mercantili che mercificano il corpo della donna e la riduco a un oggetto usa e getta. Spezzare le catene per ridonare alla famiglia, alla società e alla Chiesa la bellezza e la ricchezza del nostro “genio femminile”.
La donna deve ritornare ad essere protagonista: capace di stimolare, umanizzare e trasformare ancora questo nostro mondo globalizzato, bisognoso di relazioni vere, di accoglienza dell’altro e del diverso, di solidarietà che costruisce ponti, di impegno quotidiano per una convivenza serena e pacifica di cui sentiamo tutti una grande necessità. Spezzare le catene è ora anche il titolo del nuovo libro edito dalla Rizzoli. Con un sottotitolo molto significativo e a cui tengo molto: La battaglia per la dignità della donna. È stato scritto con Anna Pozzi, redattrice della rivista “Mondo e Missione” del Pime e collaboratrice di Famiglia Cristiana, con la quale avevo già collaborato per il precedente libro “Schiave” delle Edizione San Paolo, uscito nel 2010.
“Spezzare le catene” ha appena visto la luce, lo scorso 9 gennaio, giorno del mio 73° compleanno, per cui lo accolgo come un dono, che a mia volta condivido con tante altre persone. La gestazione, però, è stata lunga, iniziata inconsciamente il 13 febbraio dello scorso anno in Piazza del Popolo di Roma, quando in rappresentanza delle religiose, ho accettato di essere presente per prendere atto prima di tutto della nostra responsabilità di donne a servizio del bene comune e poi per ricordare alla nostra società, che sembra aver smarrito il senso della persona con i suoi valori profondi e indiscutibili, che è tempo di reagire: “Se non ora quando?”.
Alla richiesta della Rizzoli di scrivere un libro, la mia prima reazione è stata di un rifiuto categorico e per diversi motivi: prima di tutto per mancanza di tempo. Non potevo trascurare il mio quotidiano servizio all’Ufficio “Tratta donne e minori” dell’USMI, fatto di incontri, comunicazioni e corrispondenza, per dare risposte a tante richieste: i contatti con le comunità e le persone in difficoltà, il creare reti tra i Paesi di origine, transito e destinazione, per sostenere il servizio prezioso di tante religiose e ong che cercano di contrastare la compravendita di esseri umani, sono pur sempre la mia priorità. Tuttavia, questa richiesta aveva i suoi lati positivi e validi, per cui mi sono arresa nella speranza di offrire un ulteriore servizio per una più corretta conoscenza del fenomeno con i suoi risvolti negativi ed anche positivi e per condividere con tante altre donne e non solo la nostra battaglia per la dignità della persona. Chiunque essa sia.
Un secondo ostacolo da superare è stata la difficoltà di rileggere la mia storia personale e soprattutto di condividere le esperienze di cinquant’anni di vita missionaria a servizio delle donne, prima in Africa - affiancandomi a loro nel cammino di sviluppo, educazione ed emancipazione - e poi in Italia, per prevenire, proteggere e recuperare tante donne e minorenni straniere, cadute nelle maglie dei trafficanti e di quanti abusavano della loro povertà e vulnerabilità per interessi personali.
Alla fine mi sono arresa e ha prevalso il desiderio di offrire un contributo in più come donna, religiosa e missionaria con il solo scopo di aiutare in particolare i giovani a cogliere la sfida educativa nell’oggi, attraverso una formazione ai valori e principi umani fatta di relazioni autentiche e serie, basate sul rispetto e l’apprezzamento della persona, evitando sfruttamento e mercificazione.
Questo libro è un altro pezzo di questo impegno. Racconta le situazioni e le storie di tante persone, soprattutto donne, che ho incrociato sul mio cammino di “missionaria della notte e della strada” per consolare e camminare insieme verso la conquista della propria dignità e libertà, spezzando le catene della povertà, degli sfruttatori, della nostra società opulenta che perde i suoi valori, anche dei nostri governi e di tutte le istituzioni, che non fanno il necessario per combattere le nuove forme di schiavitù del XXI secolo.
Anche la Chiesa e tutti noi che ci diciamo cristiani spesso siamo complici con il nostro silenzio e la nostra indifferenza.
Ciascuno di noi ha un ruolo da svolgere con responsabilità a secondo delle proprie competenze: autorità sociali e religiose, funzionari dell’ordine pubblico e operatori del settore privato, insegnanti e genitori, religiosi e religiose, missionari e missionarie, uomini e donne che mirano al bene comune basato sul valore e rispetto di ogni persona. Solo unendo i nostri sforzi potremo finalmente… spezzare le catene!
Pubblicato il 17 gennaio 2012 - Commenti (0)
09 gen
Ogni anno le Missionarie della Carità organizzano a Roma una giornata per tutte le famiglie che hanno adottato bambini dall’India e che sono seguite con particolare attenzione e sostegno dalle stesse Missionarie. Sono loro infatti che hanno fatto da tramite per facilitare queste adozioni. Non è difficile per loro aiutare genitori italiani che desiderano allargare il loro cuore e la loro casa per accogliere bambini abbandonati per vari motivi e dare a loro una famiglia e un futuro. In India le Missionarie hanno molte istituzioni, dove accolgono questi bambini e sono ben consapevoli della necessità di trovare famiglie che possano adottare questi bambini. L’accoglienza diventa davvero un dono reciproco che arricchisce moltissimo sia la coppia di genitori, che per vari motivi non può avere figli, sia gli stessi bambini che trovano una famiglia e di conseguenza hanno un futuro più sereno e sicuro. E ogni anno vengono adottati dai 70 ai 100 i bambini da coppie italiane, tramite le Missionarie della Carità.
Queste famiglie si ritrovano durante l’anno a livello regionale per
incontri formativi e scambi di esperienze, che li aiutano a confrontarsi
e a crescere come genitori adottivi. Il giorno dell’Epifania invece si
incontrano per un grande momento di festa con tutti i bambini adottati.
Un’esperienza che si ripete da molti anni e che all'inizio del 2012 si è
svolta a Roma presso una grande scuola Salesiana dove si sono radunate
circa 400 persone tra genitori e bambini. Quest’ultimi, in particolare,
erano pieni di vita e lieti di potersi incontrare, giacché molti di loro
hanno vissuto per mesi o anni nello stesso Istituto a Calcutta in
attesa di adozione.
Molti di questi bambini se non avessero trovato una famiglia che li ha
accolti e adottati sarebbero certamente finiti nelle maglie della
criminalità organizzata per essere usati per ogni tipo di sfruttamento,
specie per guadagni illeciti, distruggendo così le loro potenzialità e
impedendoli di affermarsi nella vita e diventare protagonisti del loro
futuro.
Quest’anno il tema dell’incontro è stato: “L’accoglienza dell’altro”.
Trovandomi di fronte a una simile assemblea di genitori che, attraverso
l’adozione di bambini stranieri hanno dato un senso nuovo alla loro vita
di coppia, non è stato difficile condividere una riflessione sulla
ricchezza e la bellezza dell’accoglienza dell’altro, del diverso, del
bambino indifeso, gracile e bisognoso di affetto e di speranza, pur
nelle difficoltà quotidiane che certamente non mancano.
Ho incontrato coppie con quattro bambini adottati, altre con tre, altre
ancora che, dopo averne adottato uno, hanno già fatto la richiesta di
un’altra adozione, nonostante le difficoltà finanziarie che molte
famiglie stanno vivendo.
Queste coppie hanno invece sperimentato la gioia dell’accoglienza che
offre non tanto cose materiali bensì l’apertura del cuore, attraverso
l’attenzione, la disponibilità di tempo più che di beni di consumo,
consapevoli che i figli hanno bisogno di relazioni umane fatte di
affetto e di fiducia, di attenzione e di disponibilità, di accoglienza
vera, soprattutto senza essere usati come oggetti da possedere per
soddisfare le proprie esigenze di compensazioni affettive.
Questo favorisce la costruzione di un’umanità nuova, dove davvero ci
riconosciamo tutti figli dello stesso Padre, senza pregiudizi o
discriminazioni. L’accoglienza è un grande dono reciproco, giacché
nell’accoglienza dell’altro, del diverso, dello straniero c’è lo scambio
del dono, della gratuità, dell’interesse e del vero bene, che poi
diventa bene di tutta la famiglia e della comunità.
Pubblicato il 09 gennaio 2012 - Commenti (0)
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