14 giu
Giovedì sera, 13 giugno, ho partecipando a un incontro all’università Gregoriana, organizzato dal Centro Astalli. All’incontro era presente anche la neo ministro dell’Integrazione, Cecile Kyenge, prima donna di origine africana nel governo italiano.
Don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana che moderava l’incontro, rivolgendosi alla Ministro prima dell’introduzione, le presentava le sue scuse e la sua solidarietà per i numerosi commenti denigratori subiti dall’inizio della sua nomina.
Ciò che mi ha maggiormente sconcertata e assai indignata è stato l’ultimo affronto, a dir poco volgare, violento, scandaloso ed esecrabile, per non dire diabolico, rivolto alla ministro da un’altra donna, pure lei impegnata in politica, Dolores Valandro, consigliera della Lega in una circoscrizione di Padova. Parlando della Kyenge si è permessa un’espressione a dir poco vergognosa e aberrante: «Ma mai nessuno che la stupri?!».
Durante l’incontro alla Gregoriana, la ministro ha semplicemente detto, con discrezione e pacatezza, da vera donna con animo e linguaggio nobile e senza retorica, che non intende rispondere a queste affermazioni, giacché per tutta la vita si è battuta per contrastare ed eliminare la violenza in tutte le sue forme, fisica ma anche verbale, che può ferire le persone, specialmente quando toglie loro fiducia, buon nome e reputazione.
Interpretando il sentire di tante donne, per di più religiose, che da anni si prodigano per ridare dignità, identità e libertà ad altre donne, desidero rivolgermi in modo particolare e direttamente alla signora Dolores Valandro e a quanti possono approvare la sua posizione o la pensano come lei. In Italia ci sono migliaia di donne africane che ogni notte subiscono veri e propri stupri a pagamento da parte di moltissimi uomini italiani, “clienti” incuranti di ciò che può sentire e vivere una donna vittima di tratta e costretta allo sfruttamento sessuale.
Perché non parliamo mai di questa triste e vergognosa realtà? Si rende conto la signora Valandro e moltissimi altri sedicenti benpensanti di cosa significa subire violenza ogni notte, e ripetutamente?
Perché le nostre istituzioni non prendono provvedimenti seri ed efficaci per lottare contro questa terribile piaga del nostro secolo? Una vera e propria schiavitù, non mi stancherò mai di ripeterlo, che riguarda migliaia di giovani donne, in gran parte immigrate, che subiscono abusi e violenze senza mai fare notizia.
Forse le donne straniere sono considerate di “seconda categoria” anche dai nostri media? Se poi sono costrette alla prostituzione, allora vediamo in loro una mera merce usa e getta? Magari qualcuno penserà pure che se la sono cercata…. Che dire, poi, delle dieci giovani donne nigeriane uccise lo scorso anno sulle nostre strade e di cui nessuno parla, perché non interessano, non fanno notizia, non si trovano i colpevoli e le loro famiglie non potranno mai avere un risarcimento?
Ormai il tema del “femminicidio” è diventato notizia quasi giornaliera nei nostri media. Questa violenza che si scatena contro le donne è diventata un indice inconfutabile del grave declino culturale e valoriale che attanaglia il nostro Paese e che dobbiamo contrastare, recuperando relazioni vere e cariche di senso tra uomo donna, basate sul rispetto reciproco e non sulla convenienza o gli interessi personali.
Ben vengano allora nuove proposte che ci aiutino a creare una comunità più rispettosa e solidale, multietnica e multiculturale, fondate sull’accoglienza, l’integrazione, il rispetto e la valorizzazione della ricchezza e della bellezza di ciascuno. Qualunque sia la sua provenienza.
Pubblicato il 14 giugno 2013 - Commenti (0)
22 mar
Ieri sera, presso il Centro Pime di Milano, mi hanno chiesto di intervenire sul tema “Fame di relazioni” nell’ambito del ciclo di Quaresima, dedicato alle “fami dell’anima”. Un tema che mi sollecita molto, dal momento che da molti anni ormai mi occupo di relazioni spezzate, negate, abbruttite, quelle che riguardano il rapporto tra cliente e prostituta.
Relazioni fatte spesso di potere, di sopraffazione e di possesso. Relazioni in cui l’altro è privato della propria dignità, non è più persona, viene annullato, ridotto a oggetto, a merce.
Che si compra e che si vende, che si usa e che si getta.
Eppure, anche in questi luoghi di relazioni negate è possibile intraprendere percorsi di rottura delle catene di questa vergognosa schiavitù contemporanea e di liberazione, mettendo al centro la dignità della persona e la possibilità di costruire relazioni nuove e vere, ricche di senso e significato.
La Beata Madre Teresa di Calcutta soleva affermare che la più grande povertà nel mondo non è la mancanza di cibo, bensì la carenza di amore. E l’amore si costruisce e si manifesta nella relazione, nel vedere e capire i bisogni dell’altro, del fratello e della sorella che mi vivono accanto. Ma dove trovare i punti di riferimento e di riflessione per scoprire e vivere la bellezza e ricchezza della relazione umana?
L’essere umano non può esistere da solo, giacché il bisogno di amore è profondamente radicato nel suo cuore, ma molte sono le difficoltà nel viverlo. L’abbé André-Marie Talvas affermava che «la peggiore tragedia per un persona è l’essere chiuso in se stesso e incapace di comunicare». Fondatore in Francia del movimento Le Nid (“Il Nido”) a favore di prostitute ed emarginati, conosceva bene la desolante mancanza d’amore che si cela dietro il mercanteggiamento sessuale; parlando di clienti e prostitute sosteneva che «la maggior parte di essi ricercano non tanto il piacere sessuale quanto l’affetto e il rapporto personale. Sotto la ricerca di sessualità genitale, c’è un vivo desiderio di essere amati». È dunque possibile che i clienti, quando si rivolgono alle prostitute, rivelino un silenzioso e inappagato bisogno di relazione, amore, amicizia e attenzione. E questa triste costatazione ci interpella tutti.
Ma l’amore non può essere comprato, bensì presuppone un mutuo rispetto, comprensione, accoglienza e soprattutto perdono. Un uomo e una donna sono in grado di esprimere la profondità del loro amore quando nel matrimonio divengono «una sola carne». Nell’unione dei corpi e nell’intimità dell’amore, la coppia esprime la reciproca e totale donazione di sé. La prostituzione invece nega tutto questo: nega l’uguaglianza e la reciprocità tra l’uomo e la donna e pone il rapporto sessuale sullo stesso piano di un qualsiasi prodotto commerciale. La donna è vista come un oggetto. E questo purtroppo non accade solo nell’ambito della prostituzione, ma anche più in generale, nella rappresentazione che viene fatta dai media e dalla pubblicità. La donna - o, meglio, il suo corpo - serve per vendere (a volte anche prodotti che non hanno niente a che vedere con una fisicità gratuitamente esibita); più o meno “implicitamente”, però, è la donna stessa ad essere messa in vendita.
In una società in cui domina la cultura del permissivismo e dell’edonismo, l’amore e l’educazione sessuale dovrebbero essere la preoccupazione di ogni famiglia, scuola e parrocchia. Tutti coloro che sono responsabili dell’educazione hanno infatti un ruolo vitale nel formare nei giovani la capacità di rispettare la propria sessualità, di distinguere e controllare i propri sentimenti ed emozioni, di saper discernere ciò che è bene da ciò che è male, ciò che costruisce da ciò che distrugge.
Pubblicato il 22 marzo 2012 - Commenti (2)
09 mar
Le numerose comunità gestite da religiose in tutta Italia rappresentano in molti casi dei luoghi-protetti, case-famiglia nel vero senso della parola, luoghi di accoglienza dove, in un clima di relazioni familiari vere, molte donne trovano sostegno e voglia di ricominciare una vita nuova. Nate per accogliere specialmente le vittime di tratta, sempre più queste case accolgono donne, spesso italiane, con i loro bambini, che fuggono da minacce e violenze quasi sempre domestiche. Vittime dei loro uomini, violenti e pericolosi, che non accettano sconfitte e mediazione di conflitti. Sono molti i casi in cui, per evitare che i continui conflitti si traducano in veri drammi della follia umana, queste mamme con i loro bambini vengono allontanate da casa. Purtroppo non sempre si interviene in tempo. E troppo poco si fa per la prevenzione, per spezzare schemi di potere e di dominio ancora troppo radicati nella nostra società e per denunciare l’inerzia di chi - e siamo tutti noi - è responsabile del disagio umano e sociale che lacera il nostro Paese.
Un'attivista del gruppo Femen protesta contro la violenza sulle donne a Istambul (foto Reuters).
Quello della violenza domestica è un fenomeno ancora troppo nascosto; si consuma il più delle volte in modo silenzioso e oscuro tra le mura delle nostre case. Salvo quando drammatici fatti di cronaca vengono alla ribalta sporadicamente sulle prime pagine dei nostri giornali.
Ma non basta. Perché il sensazionalismo non crea coscienza e consapevolezza. Occorre invece dare a questo fenomeno più profonda e costante attenzione.
Purtroppo quella della violenza sulle donne pare essere una piaga che sta dilagando non solo in Italia, ma in tanti altri Paesi. Poco tempo fa ho ricevuto la visita della moglie del Governatore dell’Alaska che chiedeva di poter visitare una delle nostre case-famiglia per donne vittime di tratta e di violenza domestica. Voleva confrontarsi con i nostri modelli di intervento e capire come cerchiamo di far fronte alle tragiche conseguenze di tali abusi
Durante la visita, a cui ha preso parte anche il marito Governatore, ci siamo imbattuti in una giovane mamma straniera in attesa di un bimbo. Aveva subìto pesantissime violenze fisiche da parte dell’uomo che l’aveva messa incinta perché abortisse. Non riuscendo nell’intento l’aveva letteralmente abbandonata lungo una strada. Trovata di notte da una delle nostre unità di strada, è stata accolta in comunità, dove ha ritrovato una casa e una famiglia.
Commovente il nostro incontro con lei. Parlando in un inglese stentato, in lacrime, mi chiedeva di ringraziare le suore che l’avevano presa con loro. Lei, donna musulmana, si sentiva accolta tra quelle religiose cristiane. Lei, senza casa e senza famiglia, aveva trovato un tetto e l’affetto e le cure delle suore. Lei, senza soldi e con un bimbo in arrivo, poteva adesso contare su qualcuno.
La sua testimonianza, così sincera e commossa, ha fatto breccia nel cuore dei nostri visitatori: hanno costatato l’importanza di creare luoghi adatti per accogliere queste donne con i loro bambini, luoghi in cui possano prendere il tempo per guarire le profonde ferite che si portano dentro e poter sperare e costruire un futuro sereno per loro e per i loro piccoli.
In questa giornata della donna, vorrei ricordare particolarmente queste mamme, che hanno subito troppe violenze. Non hanno bisogno di una mimosa, ma di un gesto di accoglienza, solidarietà, rispetto e amore per ricominciare ad avere fiducia in se stesse, nella vita, e in chi sta loro accanto.
Pubblicato il 09 marzo 2012 - Commenti (1)
18 feb
Dopo il mio intervento in Piazza del Popolo, domenica scorsa, molte persone si sono domandate e me lo hanno anche scritto, perché io, suora e missionaria, sono scesa in piazza di fronte a migliaia di persone per condividere una riflessione sulla dignità della donna. La mia risposta è stata per tutti la stessa: offrire un segno concreto di vicinanza alla donna, in modo dignitoso e direi davvero profetico, per dare voce a diverse centinaia di religiose che ogni giorno operano silenziosamente e gratuitamente con amore, coraggio e determinazione per ridare vita e speranza a tante donne comprate, vendute e sfruttate. Donne la cui dignità e identità è stata violentata e umiliata.
Donne che mai avrebbero potuto far sentire la loro voce, perché ridotte in schiavitù e quindi senza volto, senza nome, senza diritti e libertà. Ero lì per dire “basta” alla mercificazione del corpo della donna e a questa enorme ipocrisia di chi non vede o non vuol vedere.
Molti - e specialmente i media - continuano a chiedermi come mi sono sentita in quella enorme piazza e come ho vissuta questa esperienza, una prima assoluta per una religiosa in un contesto eminentemente laico. Di fronte a quella folla di donne di diverse posizioni ed estrazione sociale, mi sono sentita una formichina che il Signore voleva usare per farne la voce del vasto mondo delle religiose, che in Italia sono ancora più di ottantamila, e per chiedere a tutti rispetto e dignità per la donna. Ero ben cosciente che potevamo correre il rischio di essere strumentalizzate, mal interpretate e anche condannate da chi non vuole cogliere il messaggio semplice, schietto e genuino che vogliamo condividere. Infatti, non sono mancate alcune critiche da parte di chi ritiene inopportuno vedere delle suore in mezzo alla folla, preoccupati di non mischiare il “sacro con il profano”, e dimenticando che laddove si tratta della dignità della persona umana, creata a immagine di Dio, c’è solo il “sacro”. Il profano esiste solo quando noi profaniamo e deturpiamo questa stessa immagine per interessi e opportunismo. Ho ricevuto pure tanti messaggi di apprezzamento e incoraggiamento, oltre che di stupore per il coraggio e la determinazione nel far emergere una riflessione sul valore e la bellezza vera della donna, portatrice di valori veri, autentici e umani: armonia, vita, amore e speranza per una convivenza basata sul rispetto reciproco e sul riconoscimento di ruoli diversi ma complementari.
Pubblicato il 18 febbraio 2011 - Commenti (9)
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