19
apr

Grazie, padre di una grande famiglia!

Grazie Santità per il Suo ministero pastorale. Lunedì scorso, 16 aprile, ci siamo unite a tutta la Chiesa per ringraziare il Signore per il dono della Sua lunga vita a servizio della Chiesa e dell’umanità e oggi, 19 aprile, abbiamo un altro motivo per esprimere la nostra riconoscenza al Signore per l’anniversario del Suo ministero pastorale come guida del gregge di Cristo.

Questi sette anni di servizio alla Chiesa universale sono stati intensi e impregnati di sollecitudine per la Chiesa e per i suoi figli, specialmente attraverso i Suoi insegnamenti per aiutare ogni persona a scoprire la bellezza e ricchezza di sentirsi figli e figlie amate da quel Dio che è Padre di tutti, senza esclusione o preferenze. Santo Padre, come non ricordare il Suo insistere sul dono e rispetto per la vita, ogni vita, dal suo concepimento fino al termine della propria esistenza? Come non pensare ai Suoi messaggi e interventi a favore della pace, della riconciliazione, della fratellanza tra i popoli perché impariamo a vivere da veri fratelli e sorelle? Come non ricordare i Suoi insegnamenti sulla dignità e rispetto per ogni persona, particolarmente della donna che purtroppo ancora oggi subisce in tanti luoghi e in tanti modi esclusione, umiliazione, violenza e sfruttamento?

Questo messaggio vuole essere l’espressione corale di tante religiose e missionarie che condividono sulle strade del mondo il Suo insegnamento ed esempio di donazione totale a favore di tante persone bisognose di attenzione e accoglienza: degli immigrati, di donne e minori vittime di tratta di esseri umani, dei poveri, degli ultimi, dei bambini, dei senza casa e senza lavoro, tutti bisognosi di speranza, di amore, di compassione, misericordia e consolazione.

E oggi vorrei proprio essere voce di ognuno di loro per esprimere un grazie sincero a Vostra Santità, con la promessa di un ricordo riconoscente per tutte le Sue intenzioni pastorali unito ad un augurio di poter continuare ancora per tanti anni ad esserci pastore e guida sicura di tutto il gregge che gli è stato affidato dal Risorto: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle”.

Pochi mesi prima che iniziasse la terribile guerra in Libia sono stata a Tripoli per alcuni giorni per rendermi conto della situazione di tante donne africane, soprattutto nigeriane, che arrivavano sulle coste italiane dopo aver sostato in Libia per parecchi mesi. Purtroppo molte di loro, una volta sbarcate sulle nostre coste, venivano respinte e riportate in Libia, dove erano rinchiuse nelle terribili prigioni che ho potuto visitare insieme alle religiose che operano sul territorio. Commovente l’incontro con un gruppo di giovani africani che, dopo aver saputo della mia provenienza da Roma, hanno avuto un sussulto di gioia e di speranza, chiedendomi di andare a visitare il Papa, di portargli i loro saluti e dirgli: “Le vogliamo bene!”.

Santità, oggi Le ridico questo loro desiderio che è pure il nostro e quello di tutte le persone che accogliamo e aiutiamo a ritrovare dignità e legalità perché nessuno si senta straniero, ma tutti parte di una grande famiglia, dove riconosciamo la Sua paternità di tutto il popolo di Dio. Santità anche noi Le vogliamo bene e la ringraziamo per il suo instancabile servizio alla verità. Accetti i nostri auguri di buon compleanno e di una fruttuosa continuazione del Suo ministero Petrino. Ad multos annos e grazie.

Pubblicato il 19 aprile 2012 - Commenti (0)
08
apr

Quella veglia con Joy e papa Wojtyla

Quest’anno mi trovo a celebrare la veglia pasquale a Zagabria, in Croazia, ospite delle suore Ancelle di Gesù Bambino che si stanno preparando a celebrare il loro Capitolo generale. Mi hanno chiesto di condividere con loro l’esperienza della lotta contro le nuove schiavitù, che vedono coinvolte molte giovani dai Paesi dell’Est Europa.

Per la prima volta partecipo alla liturgia pasquale in un Paese che in pochi anni è passato dalla dittatura comunista a una democrazia, che permette ai tanti cristiani rimasti fedeli alle loro tradizioni di poter esprime la loro fede. Durante la celebrazione colgo ciò che significa per questi popoli il passaggio del Mar Rosso, l’attraversata del deserto per raggiungere la terra promessa e vivere in piena libertà anche le loro radici cristiane.

Ma come mi capita sempre in questi ultimi anni, il ricordo più forte è quello di una veglia vissuta nella basilica di San Pietro nel 2003, in cui ufficiava il Beato Giovanni Paolo II, già assai sofferente. In una basilica gremita di fedeli, oltre a ricordare il grande mistero della resurrezione di Cristo, abbiamo condiviso la gioia di accogliere nella comunità cristiana nuovi membri adulti, tra cui una giovane mamma africana. La sua storia ha un sapore tutto particolare. Quel battesimo, infatti, segnava il coronamento di un lungo cammino di morte e di vita, di sofferenza e di gioia, di fatica e di speranza.

Joy, assai emozionata, aveva un abito bianco, tipico del suo Paese, di quelli che le donne indossano per le grandi occasioni. Aveva un aspetto davvero regale. Ricordavo molto bene la prima volta che l’ho incontrata alla stazione Termini di Roma, per offrirle la possibilità di lasciare la vita di sfruttamento sulla strada, a cui era costretta ed entrare in una comunità di accoglienza. Joy era incinta. Doveva prendersi cura di sé e della creatura che sarebbe dovuta nascere di lì a tre mesi. Ricordo la sua disperazione e i suoi singhiozzi, i suoi alti e bassi, le paure e le attese, le lacrime e i sogni infranti, la rabbia e il silenzio, la lontananza della famiglia, ma anche la vergogna e la paura di non essere più accolta dai genitori se avessero saputo.

Ma poi, quasi per miracolo, ci fu il contatto telefonico con la madre, che non sentiva da moltissimo tempo, pochi giorni prima del parto. Da vera mamma africana, le disse di non aver paura, ma di accogliere la sua bambina con amore, perché ogni vita è sempre un dono di Dio. Quelle parole hanno trasformato l'atteggiamento di Joy giacché, nonostante il suo dramma, si è sentita ancora una volta capita e accolta. “Senza il vostro aiuto e la vostra accoglienza - mi disse al telefono - ora, non solo non sarebbe nata la mia bambina, ma non ci sarei stata più nemmeno io, giacché la vita per me non aveva più alcun senso”.

Come poi Joy sia giunta al Battesimo in San Pietro rimane un vero miracolo dell'amore traboccante di Dio, che ancora una volta si china sulle sue creature povere e insignificanti per renderle creature nuove e pasquali. La fantasia di Dio oltrepassa tutti i nostri sogni. Joy desiderava che, il giorno del suo battesimo, il Santo Padre benedicesse anche la sua bambina. E così, all'offertorio, le è stato concesso di offrire non solo la sua vita trasformata in Cristo, ma anche quella della sua creatura.

Joy è salita dignitosamente verso l’altare e si è avvicinata al Santo Padre, presentando la piccola Cristina tranquillamente addormentata tra le braccia della madre. Il Santo Padre ha accarezzato e benedetto entrambe, madre e figlia, segnate per sempre dalla Grazia e dall’amore infinito di Dio che si china con compassione sulle sue creature per imprimere il sigillo della sua Paternità e Maternità.

Pubblicato il 08 aprile 2012 - Commenti (0)
06
apr

La Via Crucis di Ponte Galeria

Erano un’ottantina, tutte donne, provenienti da Africa, America Latina, Europa dell’Est, moltissime cinesi… Tutte hanno partecipato, anche se non sono cristiane. Tutte hanno voluto portare la croce, cantare, pregare… in mezzo al cortile, in mezzo alle sbarre.

Non so se riesco ad esprimere il vissuto di una Via Crucis tutta speciale, celebrata questo Venerdì Santo presso il Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Ponte Galeria a Roma. È stato come un regalo di Gesù per me, questo cammino vissuto con le donne e le ragazze del Cie. Come gruppo di religiose, ogni sabato pomeriggio visitiamo la sezione femminile di questo Centro, per conoscerle, ascoltarle, stare con loro; condividere le loro sofferenze e dare speranza; pregare con loro, ridando fiducia e affidandole al Signore Risorto. Essere con loro, perché non si sentano sole e abbandonate.

Oggi, Venerdì Santo, è stato un appuntamento tutto speciale con il “Primo Clandestino” della storia, Gesù Cristo Crocifisso, per celebrare il rito liturgico della Via Crucis. Il Crocifisso è stato visibilmente presente in mezzo a loro e ha preso tutta l’attenzione e il raccoglimento delle ragazze. Anche solo la sua presenza dava tanta serenità, consolazione e forza.

«Chiunque volgerà il suo sguardo verso di Lui, sarà salvo»,dice la Scrittura. Non ci sono volute parole speciali. Abbiamo ascoltato con il cuore i racconti evangelici della sua passione e morte nelle diverse lingue. Era facile intuire come ogni ragazza vedesse e sentisse con il cuore e la mente; mentre con i gesti adorava colui che conosce tutto il patire umano, di fronte al quale Gesù non è mai stato indifferente. Anzi si è offerto con amore.

E allora anche l’adorazione alla croce con il bacio è stato un affidare al Crocifisso la loro vita, la loro storia, il loro futuro: un grande atto di abbandono, perché da quel luogo di reclusione e di snervante attesa venga presto la libertà e la possibilità di vivere una vita libera, serena e dignitosa. Nella meditazione delle sei stazioni che erano state scelte, seguendo un breve cammino all’interno della struttura, le ragazze e le donne si sono lasciate tutte coinvolgere pienamente. Mi è sembrato di avvertire come questo luogo venisse alleggerito e purificato, riempito di speranza e di coraggio, nella certezza che il Signore non abbandona mai nessuno, ma assicura a tutti la sua presenza che salva e sostiene.

Non posso dimenticare queste donne. Hanno, volti, nomi, storie… Sono scappate dai loro Paesi per trovare una vita più degna e sicura. Si ritrovano invece in Europa e in Italia in mezzo a infinite difficoltà, tra cui il mancato riconoscimento della loro dignità di persone. È anche per loro, che il “Primo Clandestino” della storia si è lasciato crocifiggere per assicurare vita piena per tutti. L’Amore è più forte della morte - ci ricorda l’apostolo Paolo - e questo forte e fecondo Amore divino ci dà la capacità di resistenza per non mollare mai di fronte alle prove della vita.

Sappiamo tutti che dopo ogni Venerdì Santo c’è sempre la Pasqua di Risurrezione. Lui ha spezzato le catene di ogni schiavitù, oppressione, ingiustizia, discriminazione e sfruttamento. Con la sua risurrezione affida alle donne il grande annuncio di speranza e liberazione per tutte le persone che soffrono e sperano in un futuro di pace e armonia, un futuro dove ogni persona possa venire rispettata nella sua dignità. Cristo è vivo e ci rende oggi capaci di essere risurrezione anche nel Cie di Ponte Galeria.

Pubblicato il 06 aprile 2012 - Commenti (0)
02
apr

Euroafrica, la sofferenza di essere donna

Da sinistra: i premi Nobel 2011 per la Pace Leymah Gbowee, liberiana, e Tawakkol Karman, yemenita.
Da sinistra: i premi Nobel 2011 per la Pace Leymah Gbowee, liberiana, e Tawakkol Karman, yemenita.

Euroafrica, la voce delle donne è il titolo di un libro a cura da Marina Piccone, fortemente voluto dall’europarlamentare Silvia Costa. È stato presentato lo scorso 30 marzo a Roma, in Parlamento, luogo istituzionale di grande importanza e significato che richiama lo Stato e i suoi doveri di difendere e proteggere tutti i suoi cittadini, sia di nascita che di adozione. Il libro è stato dedicato in modo particolare alle tre donne Premio Nobel per la Pace, Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Gbowee and Tawakkul Karman, ma vuole raccontare la vita e l’impegno di tante altre donne africane e italiane nel dialogo euro-africano.

Nel libro sono raccolte le storie di alcune donne africane immigrate in Italia e altre storie di donne italiane legate all’Africa. Insieme raccontano la bellezza e ricchezza del mondo africano femminile, ma anche la difficoltà di essere donna, africana e immigrata, a volte emarginata e anche svantaggiata, specialmente per quanto riguarda l’inserimento in una nuova realtà sociale e lavorativa. Grazie, però, alle loro capacità e tenacia queste donne hanno raggiunto traguardi molto importanti, non solo per loro e le loro famiglie, ma soprattutto per la nostra stessa società, dove sono inserite e sono pure un esempio e uno stimolo per altre donne africane e non solo.

Alcune di loro erano presenti e hanno dato la loro testimonianza di donne che hanno rischiato, lottato e sofferto per ottenere una posizione e offrire a loro volta un contributo valido e prezioso nel mondo dell’immigrazione e di interazione nel nostro Paese. Tra queste donne, che hanno saputo raggiungere una posizione di rilievo, favorendo un vero scambio di valori umani e culturali, erano presenti Suzanne Diku Mbiye e Muanji Pauline Kashale della Repubblica Democratica del Congo; Maria Josè Mendes Evora e Dulce Araujo, capoverdiane; Marguerite Lottin, camerunese.

Quando mi hanno chiesto di parlare della mia esperienza di donna e missionaria italiana che opera a contatto con tante donne immigrate, specialmente africane, non ho potuto fare a meno di parlare della sofferenza di tante giovani venute in Italia con il miraggio di un lavoro onesto per aiutare le loro famiglie e che purtroppo sono finite nelle mani di nuovi schiavisti che le hanno derubate di tutto, dei loro sogni, della loro giovinezza e persino della loro dignità. Molte sono poi finite in un Centro di identificazione ed espulsione (Cie) perché prive di documenti, dove vengono trattenute in condizioni disumane per 18 mesi e vengono espulse senza un minimo di rispetto per la loro dignità. In uno di questi centri, quello di Ponte Galeria di Roma - che visito ogni sabato dal 2003, insieme a un gruppo di religiose di diversi Paesi e congregazioni - scopro ogni volta la sofferenza, la delusione e la rabbia di tante giovani donne, che si trovano rinchiuse un ambiente di uno squallore indescrivibile, fatto solo di cemento e sbarre di ferro.

Queste donne esigono di essere trattate come esseri umani e non come “criminali” o “clandestine”. Molte di loro vivono momenti di profonda disperazione, specie quando sono consapevoli che presto verranno espulse e dovranno tornare a casa a mani vuote, con il rischio di venir rifiutate anche dalla famiglia. Aisha, per esempio, era una donna tunisina terrorizzata dall’idea di tornare a casa. Sapeva che nel suo Paese l’avrebbero di certo uccisa e spesso ripeteva che piuttosto avrebbe preferito togliersi lei stessa la vita. Quando le hanno comunicato che il giorno dopo sarebbe stata rimpatriata, a nulla sono valsi i consigli e l’occhio attento delle amiche, che hanno vegliato con lei per quasi tutta la notte: il mattino presto, il suo corpo privo di vita è stato ritrovato appeso alla doccia. Sconvolte e addolorate, non ci è rimasto che interrogarci su cosa avremmo potuto fare per prevenire questo dramma e salvare quella giovane vita.

All’inizio i migranti potevano essere trattenuti per trenta giorni; poi i giorni sono stati raddoppiati fino ad arrivare a sei mesi. Oggi una nuova normativa prevede di prolungare la loro permanenza in questi centri addirittura sino a diciotto mesi. Un anno e mezzo di detenzione. È un’ingiustizia! Una terribile violazione dei diritti umani e un’inutile sofferenza inflitta a degli innocenti. Mi sconcerta e mi indigna che, ancora una volta, siano loro a pagare il prezzo più alto di politiche ingiuste che confondono le vittime coi carnefici. Intanto trafficanti e clienti rimangono impuniti, se non addirittura protetti dalla stessa legge, semplicemente perché in possesso di un permesso di soggiorno, magari ottenuto tramite corruzione, o di documenti in regola.

Pubblicato il 02 aprile 2012 - Commenti (0)

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Autore del blog

Noi donne oggi

Suor Eugenia Bonetti

Missionaria della Consolata, è stata per 24 anni in Kenya. Al ritorno comincia a lavorare in un Centro d’ascolto e accoglienza della Caritas di Torino, con donne immigrate, molte delle quali nigeriane, vittime di tratta. Dal 2000 è responsabile dell’Ufficio tratta dell’Unione superiori maggiori italiane (Usmi). Coordina una rete di 250 suore di 70 diverse congregazioni, che operano in più di cento case di accoglienza. Il presidente Ciampi l’ha nominata nel 2004 Commendatore della Repubblica italiana.
Ha scritto con Anna Pozzi il libro "Schiave" (Edizioni San Paolo).

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