19 mar
In più occasioni ho cercato di far emergere le gravi problematiche legate al Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria. Oggi vorrei ricordare con riconoscenza il servizio di tante religiose che in questo Cie incontrano migliaia di donne immigrate di vari Paesi. Da dieci anni!
Era, infatti, il 15 marzo 2003, quando un primo gruppetto di cinque suore di diverse congregazioni e nazionalità varcavano timidamente per la prima volta i pesanti cancelli di quello che allora si chiamava Centro di permanenza temporanea (Cpt) di Ponte Galeria (Roma), per iniziare visite settimanali alle donne immigrate che vi sono recluse perché prive di documenti. Più tardi il Cpt è stato trasformato in Cie e la reclusione è passata da 30 giorni a 60 giorni e, dal giugno 2011, addirittura a 18 mesi.
Da allora andiamo a Ponte Galeria ininterrottamente tutti i sabati pomeriggio. Come donne e religiose volevamo entrare in quel luogo di sofferenza e solitudine per incontrare le donne immigrate in attesa di espulsione, offrire ascolto e conforto e condividere un momento di preghiera ecumenica specialmente con le donne africane di lingua inglese. Si tratta in maggioranza di nigeriane, quasi tutte vittime di tratta, trovate sulle strade, senza documenti.
All’inizio, l’impatto con tutte quelle donne (in certi momenti sino a 180!), stipate in dormitori squallidi, freddi e spogli, tra sbarre di ferro che si confondono con il grigiore del pavimento di cemento, ci ha terribilmente impressionate. Le donne avevano a disposizione solo un letto e vivevano tutto il giorno nell’inerzia assoluta, senza progetti, programmi o qualsiasi coinvolgimento e occupazione. L’assistenza pastorale e religiosa che volevamo offrire è stata subito accolta con molta riconoscenza soprattutto dalle nigeriane. Allo stesso tempo, altre donne di diverse nazionalità hanno chiesto di poter avere pure loro la visita di religiose provenienti dai loro Paesi e che parlassero la loro lingua. Ci siamo organizzate e, grazie alla presenza di altre suore, il loro desiderio è stato accolto.
In questi dieci anni di servizio al Centro abbiamo incontrato moltissime donne di Paesi africani: Nigeria, Togo, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Somalia, Eritrea, Etiopia, Kenya, Sudan e Tanzania. Seguono quelle provenienti dai Paesi arabi: Libia, Tunisia, Marocco. Dall’Est Europeo: Romania, Albania, Serbia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Kosovo. Dai Paesi dell’ex Unione Sovietica: Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Kazakhstan, Russia, Siberia. Dall’Asia: Mongolia e Cina. Ci sono anche presenze dall’America Centrale e del Sud, con ragazze provenienti da Colombia, Brasile, Ecuador, Perù, Bolivia, Argentina, Guatemala, Cile, San Salvador.
Nonostante il clima spesso triste e opprimente, non sono mancati in questi dieci anni i momenti di festa, in particolare in occasione del Natale, dell’Epifania, della Pasqua, ma anche della Festa delle donne e di quella della Mamma. Durante questi incontri oltre alla distribuzione di piccoli doni utili - indumenti personali, tute calde, borse… - si condividono canti, musica e danze improvvisate che creano comunione, aggregazione e gioia.
Il gruppo di religiose - che qualcuno ha ribattezzato la “squadra di Ponte Galeria” - è andato sempre più aumentando, con nuove presenze e provenienze, per rispondere ai bisogni di tutti i gruppi di vari Paesi. Pian, piano la nostra presenza fatta di relazioni e contatti, sia con le detenute come con il personale che gestiva il Centro, è diventata sempre più ricercata ed apprezzata per l’atmosfere di fiducia che aveva creato.
Questi dieci anni di servizio ininterrotto, in questo luogo di ingiustizia e di sofferenza inutile, ha visto il coinvolgimento e la presenza di 60 religiose provenienti da 27 Paesi e appartenenti a 28 congregazioni religiose. Un bellissimo esempio di lavoro in rete per una pastorale a difesa e protezione di donne povere, vulnerabili e senza diritti semplicemente perché senza documenti.
Spesso abbiamo alzato la voce per denunciare la terribile ingiustizia di lasciare queste donne a sprecare mesi preziosi della loro vita senza un motivo serio e in condizioni disumane. Abbiamo coinvolto e informato personale istituzionale e di governo, i media e tutto coloro a cui sta a cuore la dignità della persona. Più volte abbiamo auspicato che si formassero dei tavoli di confronto tra istituzioni governative e membri di associazioni coinvolte sul territorio per trovare insieme soluzioni degne di un Paese civile e rispettoso dei diritti umani, nel rispetto delle leggi ma anche della dignità della persona.
Purtroppo i nostri appelli non sono mai stati ascoltati. Eppure, sebbene la nostra presenza sembra non produrre frutti di cambiamento nelle istituzioni, noi non ci scoraggiamo e non vogliamo disertare questo impegno settimanale, continuando a garantire una presenza costante di consolazione e vicinanza a chi soffre.
Un ultimo pensiero riconoscente alle religiose e alle loro comunità e congregazioni per questo prezioso servizio che certamente comunica una piccola luce di conforto e speranza a tutte le donne che abbiamo incontrato, amato e sostenuto.
Pubblicato il 19 marzo 2013 - Commenti (0)
15 mar
Ancora una volta lo Spirito Santo ci ha spiazzati tutti e ci ha sorpresi con la scelta di un pastore che si è presentato così: «I Fratelli Cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo…».
Con la scelta del nome Francesco, lui, il gesuita cardinal Jorge Mario Bergoglio, si è mostrato immediatamente con un’identità ben precisa e un programma di vita inconfondibile, fatto di semplicità e umiltà, essenzialità e concretezza, povertà e servizio, e non certamente di potere o di prestigio.
Espressione sincera di una “Chiesa del grembiule” che vuole ritrovare il suo vero volto e la sua vera funzione nel mondo contemporaneo attraverso una testimonianza evangelica autentica tra e per i poveri, gli ultimi, gli emarginati, i disperati, per ridare speranza e coraggio in nome e sull’esempio di quel Cristo pastore che è venuto per servire e non per essere servito, per dare la vita per le sue pecore, specie le più abbandonate e le più sole.
Anche la Chiesa ha bisogno di rinnovamento e di nuova vitalità per essere coerente alla sua missione. Forse Papa Francesco potrà personificare e implementare quelle intuizioni e desideri di cambiamento che il suo confratello cardinal Carlo Maria Martini avevo espresso e condiviso in una delle sue ultime interviste. Due grandi Pastori, due grandi Testimoni e due grandi Maestri.
Ma ciò che mi ha maggiormente colpito dalla sua prima apparizione è stato certamente il suo atteggiamento umile e disarmante, sorpreso di trovarsi davanti alla folla di centinaia di migliaia di persone che lo acclamava e attendeva da lui la sua prima benedizione. E proprio di fronte a questa folla immensa, dopo aver ricordato e fatto pregare per il vescovo di Roma emerito, Benedetto XVI, lui stesso si è inchinato profondamente con un gesto di grande semplicità e umiltà per chiedere ai fedeli una preghiera silenziosa, implorando la loro benedizione su di lui e sul suo nuovo ministero.
Molte impressioni, auguri e auspici si sono susseguiti da Capi di Stato e di religioni, da varie personalità di Chiesa così come dalla gente comune. Tutti esprimono gli stessi sentimenti di speranza e di vicinanza, nonché il desiderio e l’auspicio di un autentico cambiamento nella Chiesa, che possa offrire risposte vere e concrete all’umanità odierna che sembra aver perso il senso della persona e dei suoi valori indelebili.
Personalmente condivido e mi faccio interprete del desiderio, espresso da molti, di una svolta culturale che faccia emergere maggiormente anche nella Chiesa la figura e la presenza della donna, dando seguito ai tanti quesiti e auspici emersi nel Concilio Vaticano II e purtroppo non ancora implementati.
Anche noi donne, religiose e laiche, madri e sorelle, impegnate in tutti i campi della vita quotidiana, nella politica, nella Chiesa e nella società, sentiamo il bisogno di esprimere la nostra speranza, affinché Papa Francesco possa ascoltare ancora quel grido udito dal Poverello d’Assisi che proveniva dal Crocifisso della diroccata chiesa di San Damiano, otto secoli fa. Un grido, forse, non ancora completamente attuato nella Chiesa: «Francesco, ripara la mia casa».
Ripara la mia Chiesa, ripara le divisioni, le discriminazioni, i conflitti d’interesse, le relazioni, affinché la Chiesa del Terzo Millennio sia sempre e solo segno di speranza e di comunione, di servizio e di accoglienza, di fiducia e di perdono. E che sia sempre vicina a quanti sono affamati, assetati e stanchi, bisognosi di misericordia, di consolazione e di aiuto.
Quanto è più povera la Chiesa senza la presenza e l’intuizione del genio femminile! Moltissime sono state in passato le testimonianze di donne intuitive, equilibrate, semplici e profetiche che hanno operato nella Chiesa e nella società. Perché ancora oggi si tende a eludere o a misconoscere la collaborazione responsabile della donna negli ambienti ecclesiali? Eppure il messaggio evangelico passa anche oggi attraverso la presenza e il coinvolgimento delle donne, che continuano a essere gli agenti privilegiati della trasmissione della fede.
È quanto emerso con forza anche nell’ambito di un incontro organizzato da un gruppo francescano di donne, in collaborazione con il comune di Ravenna, all’indomani dell’elezione del nuovo Papa. Come spesso accade, mi sono state rivolte alcune domande sul ruolo della donna nella Chiesa. Perché il suo servizio non viene riconosciuto e valorizzato? Perché la donna non viene ammessa negli ambiti direttivi e decisionali nella Curia vaticana, nelle diocesi, nelle parrocchie, nei seminari, nei luoghi di pensiero e di impegno? Perché è ancora così difficile parlare di parità e uguaglianza.
Domande che a volte creano imbarazzo, perché non si trovano motivazioni esaurienti se non la costatazione che purtroppo, anche nella Chiesa, vige ancora una gerarchia completamente maschile - e spesso maschilista - e la donna ha ancora un ruolo di sottomissione e manovalanza, anche quando si tratta di decisioni che la riguardano direttamente: decisioni a volte prese per lei e non con lei.
Perché invece non riconoscere le donne e valorizzarle come è stato per Francesco e Chiara? Contiamo molto su Papa Francesco, perché anche in questo si ispiri al Poverello di Assisi.
Pubblicato il 15 marzo 2013 - Commenti (1)
08 mar
Tante volte, nell’ultimo anno, abbiamo parlato della dignità delle donne, e ancora più spesso della violazione dei loro diritti, di sfruttamento e “femminicidio”. Oggi, in questa Giornata internazionale della donna, vorrei invece parlare di noi, donne e religiose.
Quante volte e quante persone, di fronte alla costatazione del calo numerico di vocazioni, particolarmente femminili, si sono poste l’interrogativo se vi è ancora un senso e un futuro per questa categoria di donne consacrate nella Chiesa.
Per molti anni, in passato, le congregazioni femminili hanno avuto ruoli e offerto servizi di grande rilevanza, specie nel campo della carità e dell’assistenza. Ma come si presenta la vita religiosa femminile, oggi? Quali sono le sfide che deve affrontare e quali le forze operanti, specialmente nel mondo dell’emarginazione sociale, di fronte alle nuove povertà?
Il ministero della vita religiosa guardando al futuro: questo il titolo di un convegno che si è appena concluso presso l’Unione superiori maggiori d’Italia (USMI), che ha visto la partecipazione di oltre settanta religiose, in gran parte impegnate sul fronte del sociale, e particolarmente nei settori dell’emarginazione e immigrazione. Questo mi offre lo spunto per alcune riflessioni, allargando lo sguardo sugli avvenimenti di Chiesa e nazione di questi ultimi tempi. I molti e significativi eventi di questi giorni sia per la Chiesa universale con le dimissione del Santo Padre, da una parte, sia le elezioni legislative del nostro Paese, dall’altra, hanno in un certo senso focalizzato le riflessioni e le preoccupazioni, mettendo anche noi di fronte alle sfide che i nostri carismi ci impongo.
Nei mesi scorsi, come team operativo dell’USMI nazionale ci siamo ritrovate insieme per mettere a fuoco un convegno che aiutasse la vita religiosa a vivere ogni giorno l’esperienza di manifestare la propria fede attraverso le opere di carità. Nessuna allora poteva immaginare che ci saremmo trovate a Roma a vivere, negli stessi giorni del convegno, avvenimenti di tale portata ecclesiale e sociale.
E allora mi è venuto spontaneo pensare ai nostri fondatori e fondatrici e alla grande visione e profezia di cui sono stati capaci. Non hanno avuto paura di rischiare, di scendere nelle strade e nei luoghi infami della povertà e del degrado sociale per rispondere alle necessità impellenti del loro tempo. Allo stesso modo, ancora oggi, dobbiamo lasciarci interrogare come donne, religiose e cittadine dalle grande sfide della società in cui siamo inserite e dobbiamo sapere trovare risposte lungimiranti e profetiche, attraverso i nostri servizi agli ultimi, facendoci semi fecondi e originali, all’interno della società e della Chiesa.
Dobbiamo, oggi più che mai, essere donne capaci di sognare, di osare, di metterci in gioco con coraggio e amore, in prima persona, per rispondere ai nuovi segni dei tempi e alle nuove richieste di presenza e servizio.
Pubblicato il 08 marzo 2013 - Commenti (0)
04 mar
Benedetto XVI, con la sua sconvolgente e inaspettata decisione dello scorso 11 febbraio di lasciare il timone della Chiesa di Cristo ad altre mani più forti e robuste, ha messo tutti noi di fronte al segno più tangibile ed eloquente di come vivere la fede oggi attraverso segni concreti e disarmanti, fatti di umiltà e coraggio, di novità e lungimiranza.
Questo gesto, così profetico e umano allo stesso tempo, avviene in un momento particolare non solo per la Chiesa di Pietro che ha sede a Roma; esso infatti si è posto, senza volerlo, in contrapposizione con la ricerca sfrenata, accanita, spudorata e violenta del potere ad ogni costo da parte di partiti e politici, non tanto per gli interessi della comunità, ma più spesso per il proprio tornaconto personale.
La dilagante corruzione e l’abuso di fondi pubblici hanno contribuito a impoverire l’Italia e gli italiani, non solo da un punto di vista economico, ma soprattutto di valori veri e umani. Questo è la visione e la realtà che molte persone hanno vissuto sia durante che dopo le elezioni. E questo è anche il desiderio di molti: condurre di nuovo l’Italia verso una cultura di onestà e rispetto, di accoglienza e cura, specialmente delle fasce di persone più deboli e a rischio.
Quante persone sono state deluse e sconcertate di fronte a una campagna elettorale meschina, denigratoria e non degna di un popolo civile, che chiede invece dignità e rispetto nelle parole e nei gesti. Quante persone sono rimaste confuse e hanno perso fiducia nelle istituzioni che i nostri politici di tutti gli schieramenti dicevano a parole di voler rappresentare. Quanti soldi sprecati in cartelloni pubblicitari con parole vuote di senso e di realtà.
Ora è tempo di voltare davvero pagina e di mettersi seriamente alla ricerca del bene comune per aiutare la nostra società a costruire un futuro fatto di umanità e soprattutto di attenzione ai giovani, alle donne, al mondo del lavoro e delle famiglie. Ma per fare questo dobbiamo tutti rimboccarci le maniche e assumerci ciascuno le nostre responsabilità: l’Italia, o la si si salverà tutti insieme o finirà per sprofondare - e noi con lei - nel baratro della povertà e dell’umiliazione anche a livello internazionale.
Ben venga quindi l’esempio di Benedetto XVI che, con il gesto della rinuncia al potere e ai suoi privilegi di capo e pastore della Chiesa, ci ha insegnato che cosa vuol dire essere coerenti con i principi della fede in Colui che, ancora oggi, ripete a noi tutti una cosa fondamentale: chi vuole essere il primo deve farsi il servo di tutti, giacché Lui, il Cristo è venuto per servire e non per essere servito. E con Giacomo anche noi ci ricordiamo che: la fede se non ha le opere, è morta in se stessa… «Mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». (Gc 2, 14-19)
Pubblicato il 04 marzo 2013 - Commenti (1)
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