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Femminicidio, se don Corsi non capisce

Vorrei condividere questa lettera aperta di suor Rita Giaretta, con cui lavoriamo da molti anni, lottando contro il traffico di esseri umani e per la dignità delle donne. Specialmente di quelle che subiscono violenze, fisiche e psicologiche, che vengono sminuite e oltraggiate, abusate e ridotte in schiavitù. Facciamo nostre la denuncia e l’indignazione di suor Rita, rinnovando il nostro impegno a lottare anche contro una mentalità violentemente maschilista, ancora troppo diffusa nella nostra società e purtroppo anche nella Chiesa.

In veste di responsabile di “Casa Rut” - Centro di accoglienza per donne vittime di tratta, di abusi e di violenze - sento il bisogno di esprimere tutta la mia indignazione di fronte al gesto “inquietante” e oserei dire “violento” compiuto dal parroco di San Terenzo (La Spezia), don Piero Corsi, con l’affissione in Chiesa del volantino in cui è riportato un editoriale del sito Pontifex dal titolo “Le donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano!”.
Ancora si ricade in quella vecchia mentalità, che purtroppo a troppi maschi ancora piace e soddisfa, che vede nella donna o la moglie sottomessa o la prostituta o ancor peggio la tentatrice. Quanto siamo lontani, a livello culturale e comportamentale, dal riconoscere, rispettare e valorizzare appieno la dignità della donna, da parte del mondo maschile (compresi i sacerdoti).
Se si pensa a tutte le donne uccise in quest’anno per mano di mariti, compagni e fidanzati, c’è non solo da rabbrividire ma da riflettere seriamente. Mi piace qui riportare quanto detto in una nostra “lettera aperta” del 27 gennaio 2011 - che ha avuto risonanza nazionale, nella quale all’Erode di turno - incarnato dall’allora Primo Ministro e capo di Governo - come donne, come cittadine e come religiose, avevamo gridato il nostro «non ti è lecito».
Nella lettera dicevo: «Ma davanti a questo spettacolo una domanda mi rode dentro: dove sono gli uomini, dove sono i maschi? Poche sono le loro voci, anche dei credenti, che si alzano chiare e forti. Nei loro silenzi c’è ancora troppa omertà, nascosta compiacenza e forse sottile invidia. Credo che dentro questo mondo maschile, dove le relazioni e i rapporti sono spesso esercitati nel segno del potere, c’è un grande bisogno di liberazione».
Parole, queste, che sento oggi con forza di rinnovare e di rivolgere non solo a don Piero Corsi, ma a tutto il mondo maschile, e soprattutto alla mia Chiesa, che purtroppo dal punto di vista istituzionale è ancora fortemente maschilista. Di fronte a questa realtà ecclesiale molte altre domande mi rodono dentro: che genere di formazione hanno avuto e soprattutto hanno oggi i sacerdoti? Vengono educati, formati e sostenuti a vivere relazioni positive, autentiche e libere con il genere femminile? O ancora oggi i seminari sono prevalentemente luoghi chiusi, riservati ai soli maschi - docenti e animatori - mentre le figure femminili presenti sono unicamente di contorno, con servizi generici: cucina, lavanderia, pulizie? Quale idea di donna può elaborare e coltivare un futuro sacerdote che è formato a vivere e a sentire il ruolo sacerdotale come un “privilegio sacro” riservato unicamente al genere maschile?
Mi auguro che la mia chiesa, di cui mi sento parte viva, possa sempre più aprirsi alla luce di Cristo per vivere in novità di vita il Vangelo nel quale, come afferma San Paolo nella lettera ai Galati, «non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti siete uno in Cristo», che significa tutti uguali in dignità.
E allora, di fronte a questi inquietanti e profondi interrogativi, non basta far rimuovere un volantino, ma bisogna impegnarci tutti, a partire dalla Chiesa, nelle sue istituzioni, a rimuovere una mentalità che ancora discrimina e uccide la donna. Anche oggi risuona il grande annuncio di vita e di speranza consegnato da Gesù alle donne: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ed esse, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri» (Lc 24,5-6).

Suor Rita Giaretta – Casa Rut, Caserta

Pubblicato il 28 dicembre 2012 - Commenti (8)

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Postato da francesco_correra il 13/01/2013 20:05

Più che un commento, offro all'attenzione dei lettori un racconto breve che ho scritto e che da tempo tenevo nel cassetto. Spero che possa offrire qualche spunto di riflessione. In particolar modo oggi che si è celebrata la "Giornata del Migrante". Ringrazio chi avrà la pazienza di leggerlo e offrirmi le proprie riflessioni. Francesco CorreraKatrina L’alba aveva incendiato il cielo a est, colorando di rosa intenso le poche nuvole presenti. Rischiarati da quella strana luce, anche gli enormi e anonimi palazzoni della periferia cittadina sembravano meno brutti e una rondine un po’ più mattiniera delle altre, pregustando la bella giornata che stava per iniziare, attraversava quello spazio libero in elegante solitudine. Dal mare, non lontano, si levava solo un brontolio soffuso, proprio come se stesse ancora sonnecchiando e le luci gialle dei lampioni, stemperandosi pian piano nel chiarore del giorno nascente, diffondevano gli ultimi riflessi dorati su quel grande piazzale vuoto che, di lì a poco, si sarebbe animato di uomini, donne e bambini di colori e culture ed etnie diverse. Se vi avesse posto attenzione, la ragazza avrebbe notato che solo quella rondine, libera e felice, con il suo grido di gioia aveva rotto quel silenzio tanto assoluto da sembrare magico e che, nel giro di poche ore, sarebbe stato totalmente sopraffatto da voci e suoni tanto diversi fra loro. Ma Katrina pensava ad altro. Con i lunghi capelli biondi raccolti in un’ampia fascia bianca, le braccia protese per abbracciare le ginocchia prudenzialmente tenute lontane dall’addome, già da un po’ era seduta a terra, sulla soglia di quella baracca di lamiera che, per circa sei mesi, era stata la sua casa. Ma ora anche su quel rifugio aveva perso ogni diritto. “Ormai la tua gravidanza è troppo avanti” - le aveva detto la mattina del giorno prima Michele, il presidente della cooperativa che si occupava di quel campo di accoglienza - “Non puoi più lavorare con noi. Puoi anche rimanere qui, se vuoi; un posto letto per te ci sarà sempre e, come sai bene, in stato di gravidanza nessuno può espellerti. Ma se dovesse accaderti qualcosa, come potrei giustificarmi? Mi dispiace proprio, Katrina, ma non posso più permetterti di lavorare qui”. Katrina aveva abbassato gli occhi verdi e profondi ed era uscita in fretta, quasi a voler nascondere quella lacrima che, suo malgrado, le era spuntata. In fondo, lei stimava molto Michele perché era stato uno dei pochi uomini che l’avevano rispettata. A dire il vero, qualche volta anche i suoi occhi avevano esplorato quel corpo flessuoso nonostante la gravidanza e gli occhi, si sa, non mentono ma Michele, a differenza di altri, non era andato oltre. Sicuramente, la straordinaria bellezza di lei aveva giocato un ruolo fondamentale quando, circa sei mesi prima, con un misero bagaglio si era presentata in quel campo di accoglienza senza neppure sapere bene cosa chiedere e in cosa sperare. E aveva dovuto faticare parecchio per raccontare la sua storia di ragazza giunta dall’Est con tanta speranza, ben presto accolta in casa da un ricco commerciante divorziato che, fingendo di essersi innamorato di lei, l’aveva subito ospitata anche nel suo letto. E quando, pazza di gioia, Katrina gli aveva comunicato di aspettare un bambino, quello non aveva neppure battuto ciglio. Aveva consultato la sua agenda telefonica e chiamato, all’istante, un suo amico medico che “avrebbe risolto il problema”. Non potendo rispondergli, lei aveva stretto gli occhi cercando di non far passare le lacrime, così come aveva fatto tante volte fin da bambina, ma non era riuscita a trattenere né loro né quell’urlo rauco e prolungato che le era uscito dal petto. E quella, giurò a se stessa, sarebbe stata l’ultima immagine che quel farabutto avrebbe avuto di lei. Aveva dovuto faticare parecchio per raccontare anche solo in parte ciò che le era accaduto perché, pur se bellissima, una ragazza muta ha spesso difficoltà a comunicare con gli altri. Anche se le cose che ha da dire sono tante e nel suo cuore pulsano sentimenti profondi e intensi. Affetta da una grave malformazione congenita alle corde vocali, Katrina era muta fin dalla nascita. Nonostante questo, aveva sempre cercato, con tutte le sue forze, di non essere inferiore agli altri ma a scuola, nonostante i brillanti risultati che raggiungeva, non riusciva mai a comprendere se le carezze che riceveva dai maestri fossero segno di sincero apprezzamento o patetiche espressioni di compassione. E peggio ancora andarono le cose con i ragazzi. Quando, infatti, il fiorire giovanile della sua femminilità l’ebbe trasformata in una delle più belle ragazze della regione, ben presto dovette rendersi conto di essere diventata, suo malgrado, una specie di trofeo da conquistare ed esibire. “Sono stato con la muta” era diventato, col tempo, la massima espressione di vanteria che si permettevano parecchi suoi coetanei, poco intelligenti, molto rozzi e totalmente indifferenti alla sua sofferenza. Allo spalancarsi delle porte dell’occidente, anche Katrina partì per cercar fortuna, convinta che, molto presto, avrebbe finalmente trovato chi l’avesse apprezzata per quello che effettivamente valeva. E si sentì baciata dalla fortuna quando, appena giunta in Italia, quel ricco signore, dall’aria seria e un po’ attempata, l’aveva accolta nell’intimità della sua casa con quel meraviglioso balcone che si affacciava sul mare. E poiché al peggio non c’è fine, ben presto s’innamorò perdutamente di quell’uomo cui pensava di dare una notizia meravigliosa annunciandogli di aspettare un figlio da lui. E invece, quel bambino era nient’altro che “un problema da risolvere”. Nonostante le mille difficoltà che, nel corso della sua vita, aveva affrontato e superato, Katrina si sentiva in quel momento prigioniera di un labirinto verticale in cui l’unica strada percorribile portava verso il basso. Tuttavia, fra i tanti dubbi che assediavano la sua mente, vi era una sola, solida certezza: da quel bambino, da quel “problema da risolvere” non si sarebbe separata. Per nessun motivo. Quei cupi pensieri furono interrotti da passi felpati e da un inconfondibile profumo di caffè. Katrina alzò lo sguardo e vide Tommy che, con gli occhi assonnati per il turno di notte appena terminato, le si era avvicinato e le porgeva un caffè fumante nel solito bicchierino di plastica. Katrina ringraziò il giovane poliziotto con un accenno di sorriso e prese a sorseggiare il caffè bollente. Il suo sguardo era fisso su una nuvola che, un po’ alla volta, stava perdendo la colorazione rosa per assumerne una più consueta. Tommy si accovacciò accanto a lei, rimanendo in bilico sulla punta dei pesanti anfibi, e si schiarì la voce resa rauca dalla notte insonne. - Ho saputo che da oggi non lavorerai più con la cooperativa - disse quindi un po’ imbarazzato - e la cosa mi pare ovvia, visto il tuo stato -. Katrina non rispose, continuando a fissare quella nuvola. - E ora cosa farai? - le chiese quindi Tommy, ancora con voce incerta. La ragazza sollevò le spalle, abbassandole poi repentinamente. - Ascolta: - ricominciò il poliziotto - I miei genitori vivono da soli poco lontano da qui in una grande casa che, dato il carattere chiuso e taciturno di mio padre, è sempre immersa nel silenzio -. Katrina alzò lo sguardo verso Tommy e gli regalò un sorriso amaro. Cos’era quello? Il solito atto di compassione verso la ragazza bella e sfortunata che, magari, avrebbe in seguito restituito il favore nel modo in cui speravano tutti gli uomini che aveva conosciuto? Tommy sembrò capire tutto al volo. - Non mi fraintendere, Katrina – le disse quindi con dolcezza - Ti faccio questa proposta perché ho capito chi sei veramente. E quanto vali. In questi tre mesi che sono stato qui, ti ho osservato in continuazione e ho notato quanto tu sia accorta, opportuna, sensibile, volenterosa. Sei piena di un’inesauribile gioia di vivere. Ho parlato tanto di te anche a mia madre. “E anche di lui?” chiese la ragazza indicando il suo pancione. - Sì - rispose Tommy - le ho detto anche che sei incinta, ma questo non è un problema. Se tu accetti, puoi trasferirti da noi e far nascere il tuo bambino. I miei sono d’accordo. Avrai a disposizione quello che ti serve. Poi, quando il bambino sarà un po’ cresciuto, ti assumeranno come collaboratrice domestica. E’ da tempo che mia madre, con tutti i suoi acciacchi, ha bisogno di aiuto ma, per star dietro alle chiacchiere delle sue amiche, ha sempre diffidato di tutti con il solo risultato di non decidersi mai e di assillarmi con i suoi lamenti! -. Katrina, titubante, lo fissò con grande intensità, e capì subito che quegli occhi non mentivano. Erano gli occhi di un uomo buono. “E tu pensi davvero che una muta sia la migliore compagnia per tua madre? Non hai detto che si lamenta sempre del troppo silenzio che c’è in casa?” gli chiese allora con il linguaggio dei segni che Tommy, a furia di osservarla, ormai aveva imparato a comprendere. - Non ti preoccupare – rispose sorridendo il poliziotto – mia madre ha sempre parlato per due. Imparerà presto a parlare anche per tre! -. Abbassando lo sguardo, con infinita dolcezza la ragazza sorrise.

Postato da enfi il 30/12/2012 20:59

Non posso chiamarlo prete una persona che ragiona come uno della setta di CL. Infatti un altra persona, ordinata prete, non so da quale vescovo, ( mi pare provenga da cielle) ha sgridato studenti che frequentano il suo oratorio perchè hanno partecipato alle manifestazioni studentesche dicendo: voi non dovete far sentire la vostra voce ma dovete solo studiare. Inoltre i suoi talebani che occupano l'oratorio volevano impedire di proiettare il film (la bella addormentata), che tratta il dramma della Englaro. La chiesa non deve permettere a questi integralisti di occupare le parrocchie, e poi ci si meraviglia perchè ci sono poche vocazioni e i fedeli perdono fiducia nella chiesa dei preti e non nella chiesa di Cristo.

Postato da Andrea Zilio il 30/12/2012 15:51

Parlo con fatica e timore. Temo di essere frainteso. Abbraccio suor Rita. D'accordo su tutto. Su quanto ha detto, dopo l'episodio doloroso che ha coinvolto don Corsi. Ma tutto ciò che ha detto è grande, è condivisibile già prima. Indipendemente. Infatti dice di avere spresso questi concetti già il 27 gennaio 2011, ossia due anni fa. Risultati? Nessuno! Visto che ribadisce. C'è da riflettere. Su vari fronti. Anche oltre, per capire: perché? Noi piccoli fedeli, spesso, restiamo sbalestrati e confusi. Oso alzare la testa, a costo di sbagliare, e se così sarà, allora chinerò la testa, ed esprimere alcuni pensieri: 1)La violenza contro la persona è esecreabile; 2) la violenza verbale-fisica-economica è praticata da un prepotente contro chi è debole, solo, inerme; 3) la violenza è una minaccia, una lusinga, una forza ignobile presentata come una gradevole schiavitù, o, in alternativa, morte; 4) la violenza è cieca, inumana, indegna dell'essere umano, ma è la più praticata nel nostro mondo, anche in questo momento che voi ed io scriviamo; 5) la violenza subita può essere, nella follia o nella stupidità umana, provocata, sfidata, usata. La Chiesa è stata svelta. Ha schiacciato don Corsi. Subito. Certamente la Chiesa vede dove non ci arrivo. Però! Però ricordo che la Chiesa è sa essere prudente, paziente, lungimirante, saggia. Ricordiamoci di Galileo Galilei. Per fare un santo chiede tempo. Perché un demone lo fa subito? Ecco, io ci penso un attimo. Verifico tutto, prima di espimermi su don Corsi. Perché i pensieri elevati di suor Rita, energici e e convinti, vengono prima e vanno oltre.

Postato da DOR1955 il 30/12/2012 15:05

Cara suor Rita, che don Corsi non capisca quello che ha detto ci può anche stare; tutti possiamo sbagliare e molte volte non capire lo sbaglio che abbiamo fatto. Forse più di don Corsi sono da "giudicare" i suoi superiori, quelle gerarchie ecclesiastiche (volutamente minuscolo) che dietro una apparente condanna non mi sembra abbiano avuto il coraggio di prendere una posizione ferma e decisa sulla questione del cosi detto "femminicidio". Eppure sia Papa Paolo VI che il Beato Giovanni Paolo II° hanno manifestato compiutamente il concetto che la "CHIESA" (quella di Dio) è MADRE, e come tale di genere femminile. Al contrario di questi 2.000 anni di cattolicesimo in cui imperante è stato ed è il principio che la chiesa (quella degli uomini) è di genere maschile. Quando lo capiremo forse sarà troppo tardi.

Postato da martinporres il 30/12/2012 14:45

Speriamo che Don Corsi sia un fuori di testa. Poi esiste un problema di decoro e di buon senso nell'abbigliamento che nella nostra società comprende uomini e donne. Esistono donne e uomini rozzi.

Postato da spark il 30/12/2012 13:36

Tieni duro Sorella Rita. Questa e' la chiesa, in cui mi riconosco! Mi permetto di prendere in prestito quanto da te riportato nella tua lettera aperta, per augurare a te , ai tuoi collaboratori, ai lettori ed alla redazione di FC , un Buon Anno : "non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti siete uno in Cristo». Di mio, voglio aggiungere un affettuoso pensiero alla ragazza stuprata e massacrata nei giorni scorsi in India: Damini, non e' solo la "daughter of India" e' anche la figlia di tutti noi e sono certo che anche lei, come dice San Paolo nella lettera ai Galati, in questo momento e' un tutt'uno con Cristo. Osvaldo Bardelli

Postato da lettore02 il 30/12/2012 13:27

Come uomo, di genere, non posso che chinare il capo; come cristiano non posso che riabbassarlo più ancora e come uomo che si riconosce figlio non posso che dire grazie al Padre che ci da insegnamenti non urlati, ammonimenti non minacciati, esempi non detti, ma persone rette chiare ed operose. Grazie Suor Rita Giaretta – Casa Rut

Postato da Andrea Annibale il 30/12/2012 13:14

La famiglia deve essere, cristianamente, il luogo dove regna la riconciliazione e la pace. Se c’è discordia e violenza, questa è la vittoria del diavolo, anzi c’è il diavolo. Mi spiace che questo sacerdote di cui si parla abbia preso un abbaglio, gettando benzina sul fuoco della “cattofobia”, cioè dell’odio verso il cattolicesimo. Ben altre parole avrebbe meritato il tema della violenza psicologica, che può arrivare al martirio di uno dei coniugi (uomo o donna, non importa), tema ben inquadrato in una delle sue Omelie sui Vangeli da San Gregorio Magno, come ebbi già occasione di scrivere. Il cristiano dovrebbe essere modello di sopportazione nel dolore ad imitazione del Signore, modello di pazienza e perseveranza nelle virtù cristiane anche quando la violenza psicologica proviene dalla donna o, viceversa, quando proviene dall’uomo. Il femminicidio, poi, non c’entra proprio niente con la virtù cristiana: è un atto disumano che va contro Dio e la sua legge, senza “se” e senza “ma”. Facebook: AAnnibaleChiodi; Twitter: @AAnnibale.

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Autore del blog

Noi donne oggi

Suor Eugenia Bonetti

Missionaria della Consolata, è stata per 24 anni in Kenya. Al ritorno comincia a lavorare in un Centro d’ascolto e accoglienza della Caritas di Torino, con donne immigrate, molte delle quali nigeriane, vittime di tratta. Dal 2000 è responsabile dell’Ufficio tratta dell’Unione superiori maggiori italiane (Usmi). Coordina una rete di 250 suore di 70 diverse congregazioni, che operano in più di cento case di accoglienza. Il presidente Ciampi l’ha nominata nel 2004 Commendatore della Repubblica italiana.
Ha scritto con Anna Pozzi il libro "Schiave" (Edizioni San Paolo).

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